Papa Francesco conclude il ciclo di catechesi dell’udienza generale sul “Padre nostro” e sottolinea che la preghiera cristiana nasce dall’audacia di chiamare Dio “Padre”. Ma è lo Spirito Santo a pregare in noi: “senza la sua forza non potremmo mai pregare” da qui le difficoltà di alcuni a prgare con costanza.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” sono le cordiali parole del Pontefice che danno inizio al suo discorso.
“Oggi concludiamo il ciclo di catechesi sul “Padre nostro”. Possiamo dire che la preghiera cristiana nasce dall’audacia di chiamare Dio con il nome di “Padre”. Questa è la radice della preghiera cristiana: dire “Padre” a Dio. Ma ci vuole coraggio! Non si tratta tanto di una formula, quanto di un’intimità filiale in cui siamo introdotti per grazia: Gesù è il rivelatore del Padre e ci dona la familiarità con Lui. «Non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2766). Gesù stesso ha usato diverse espressioni per pregare il Padre. Se leggiamo con attenzione i Vangeli, scopriamo che queste espressioni di preghiera che affiorano sulle labbra di Gesù richiamano il testo del “Padre nostro”.
Per esempio, nella notte del Getsemani Gesù prega in questa maniera: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Abbiamo già richiamato questo testo del Vangelo di Marco. Come non riconoscere in questa preghiera, per quanto breve, una traccia del “Padre nostro”? In mezzo alle tenebre, Gesù invoca Dio col nome di “Abbà”, con fiducia filiale e, pur sentendo paura e angoscia, chiede che si compia la sua volontà.
In altri passi del Vangelo Gesù insiste con i suoi discepoli, perché coltivino uno spirito di orazione. La preghiera deve essere insistente, e soprattutto deve portare il ricordo dei fratelli, specialmente quando viviamo rapporti difficili con loro. Dice Gesù: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe» (Mc 11,25). Come non riconoscere in queste espressioni l’assonanza con il “Padre nostro”? E gli esempi potrebbero essere numerosi, anche per noi.
Negli scritti di San Paolo non troviamo il testo del “Padre nostro”, ma la sua presenza emerge in quella sintesi stupenda dove l’invocazione del cristiano si condensa in una sola parola: “Abbà!” (cfr Rm 8,15; Gal 4,6).
Nel Vangelo di Luca, Gesù soddisfa pienamente la richiesta dei discepoli che, vedendolo spesso appartarsi e immergersi in preghiera, un giorno si decidono a chiedergli: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni – il Battista – ha insegnato ai suoi discepoli» (11,1). E allora il Maestro insegnò loro la preghiera al Padre.
Considerando nel complesso il Nuovo Testamento, si vede chiaramente che il primo protagonista di ogni preghiera cristiana è lo Spirito Santo. Ma non dimentichiamo questo: protagonista di ogni preghiera cristiana è lo Spirito Santo. Noi non potremmo mai pregare senza la forza dello Spirito Santo. È Lui che prega in noi e ci muove a pregare bene. Possiamo chiedere allo Spirito che ci insegni a pregare, perché Lui è il protagonista, quello che fa la vera preghiera in noi. Lui soffia nel cuore di ognuno di noi, che siamo discepoli di Gesù. Lo Spirito ci rende capaci di pregare come figli di Dio, quali realmente siamo per il Battesimo. Lo Spirito ci fa pregare nel “solco” che Gesù ha scavato per noi. Questo è il mistero della preghiera cristiana: per grazia siamo attratti in quel dialogo di amore della Santissima Trinità.
Gesù pregava così. Qualche volta ha usato espressioni che sono sicuramente molto lontane dal testo del “Padre nostro”. Pensiamo alle parole iniziali del salmo 22, che Gesù pronuncia sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Può il Padre celeste abbandonare il suo Figlio? No, certamente. Eppure l’amore per noi, peccatori, ha portato Gesù fino a questo punto: fino a sperimentare l’abbandono di Dio, la sua lontananza, perché ha preso su di sé tutti i nostri peccati. Ma anche nel grido angosciato, rimane il «Dio mio, Dio mio». In quel “mio” c’è il nucleo della relazione col Padre, c’è il nucleo della fede e della preghiera.
Ecco perché, a partire da questo nucleo, un cristiano può pregare in ogni situazione. Può assumere tutte le preghiere della Bibbia, dei Salmi specialmente; ma può pregare anche con tante espressioni che in millenni di storia sono sgorgate dal cuore degli uomini. E al Padre non cessiamo mai di raccontare dei nostri fratelli e sorelle in umanità, perché nessuno di loro, i poveri specialmente, rimanga senza una consolazione e una porzione di amore.
Al termine di questa catechesi, possiamo ripetere quella preghiera di Gesù: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10,21). Per pregare dobbiamo farci piccoli, perché lo Spirito Santo venga in noi e sia Lui a guidarci nella preghiera.
Nel salutare i pellegrini dall’Ucraina, tra i quali i militari che hanno partecipato all’annuale Pellegrinaggio militare nazionale a Lourdes, Francesco ricorda infine che prega continuamente “il Signore Risorto, affinché riempia di amore e di serenità i cuori degli ucraini e doni a tutto il Paese la sua pace”.
La preghiera cristiana appare dunque la risposta dell’uomo alla decisione gratuita e prioritaria di Dio di entrare in relazione con l’uomo. È Dio che, secondo le pagine bibliche, cerca, interroga, chiama l’uomo, il quale è condotto dall’ascolto alla fede, e nella fede reagisce attraverso il rendimento di grazie e la domanda cioè attraverso la preghiera sintetizzata nei suoi due movimenti fondamentali. La preghiera è dunque oratio fidei, preghiera della fede (Giacomo 5,15), eloquenza della fede, espressione dell’adesione personale al Signore. Al tempo stesso la rivelazione biblica attesta anche la dimensione della preghiera come ricerca di Dio fatta dall’uomo: ricerca come spazio che l’uomo predispone allo svelarsi, che resta libero e sovrano, di Dio a lui; ricerca come apertura dell’uomo all’evento dell’incontro in vista della comunione; ricerca come affermazione dell’alterità di Dio stesso rispetto all’uomo, come segno del fatto che egli non può essere posseduto dall’uomo anche quando dall’uomo è conosciuto; ricerca come elemento costitutivo della dialettica dell’amore, della relazione di dialogicità centrale nella preghiera. Se la preghiera cristiana è risposta al Dio che ci ha parlato per primo, essa è anche invocazione e ricerca del Dio che si nasconde, che tace, che cela la sua presenza. È questa dimensione relazionale ciò che meglio esprime il proprio della preghiera cristiana, preghiera che si immette e vive all’interno della relazione di alleanza stabilita da Dio con l’uomo.
Se la vita è adattamento all’ambiente, la preghiera che è vita spirituale in atto, è adattamento al nostro ambiente vitale ultimo che è la realtà di Dio in cui tutto e tutti sono contenuti.
Pregare dunque non è semplice ma è sicuramente utile!