Papa – Un venerdì ricco di appuntamenti quello vissuto da Papa Francesco. La sua giornata ha avuto inizio con la celebrazione della Messa a Casa Santa Marta ed in seguito ha avuto altri due incontri di gran rilievo.
Il martirio di Giovanni, con l’immagine cruda e desolante dei discepoli che vanno a prendere da soli il suo corpo in cella per dargli una sepoltura, ha suggerito al Papa — nella messa celebrata stamane a Santa Marta — un appello a saper donare la propria esistenza agli altri. E a non cadere in quella corruzione, tra odio e vanità, di cui satana aveva avvolto il re Erode, Erodìade e sua figlia.
L’invito del Pontefice è a meditare sui quattro protagonisti della fine del Battista: il re corrotto e indeciso, la donna diabolica che odiava, la ballerina vanitosa e capricciosa, e il profeta decapitato solo in carcere, “l’uomo più grande nato da donna” che si è diminuito per far crescere Gesù
«I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro». È con queste parole — tratte dal passo del vangelo di Marco (6, 14-29) — che, ha fatto notare Francesco all’inizio della sua omelia, «finì la storia di quest’uomo al quale Gesù aveva dato la qualifica di “più grande uomo nato da donna”». Dunque, «il più grande finì così».
«Ma Giovanni — ha insistito il Pontefice — sapeva questo, sapeva che doveva annientarsi, non sapeva come sarebbe morto, ma sapeva che doveva annientarsi». E «dall’inizio lo aveva detto, parlando di Gesù: “Lui deve crescere, io invece diminuire”». Difatti, ha spiegato, Giovanni «si è diminuito fino alla morte. È stato il precursore della venuta di Gesù, l’annunciatore: lo ha fatto vedere ai discepoli, ai primi discepoli». E «poi la sua luce si era spenta poco a poco, poco a poco, fino all’oscuro di quella cella, nel carcere, dove, solo, è stato decapitato».
«Questa è la storia dell’ “uomo più grande nato da donna”» ha rilanciato il Papa, facendo presente che «la vita dei martiri non è facile da raccontare: il martirio è un servizio, è un mistero, è un dono della vita molto speciale e molto grande». E «alla fine le cose si svolgono violentemente, perché in mezzo ci sono atteggiamenti umani che portano a togliere la vita di un cristiano, di una persona onesta, e a farlo martire».
In particolare Francesco ha indicato «alcuni atteggiamenti in questo brano del Vangelo» proposto dalla liturgia. E «il primo è l’atteggiamento del re: si dice che credeva che Giovanni fosse un profeta. Credeva, lo ascoltava volentieri; a un certo punto lo proteggeva, ma lo aveva messo in carcere: metà e metà». Era «indeciso, perché Giovanni rimproverava al re il peccato dell’adulterio e lui rimaneva molto perplesso quando lo sentiva: sentiva la voce di Dio che gli diceva “cambia vita”, ma non riusciva a farlo». Insomma, ha affermato il Pontefice, «il re era corrotto e dove c’è corruzione è molto difficile uscire». Proprio perché «corrotto», il re «cercava di fare equilibri diplomatici, diciamo così, fra la propria vita — non solo quella adultera, ma anche la vita piena di tante ingiustizie che portava avanti questo re — e la santità del profeta che aveva avanti». E «questa era la perplessità, e mai arrivava a sciogliere quel nodo». Dunque, «il primo protagonista di questo finale è un corrotto».
«Il secondo protagonista è la moglie del fratello del re, Erodìade» ha proseguito il Papa. Soltanto di lei «il Vangelo dice che “odiava” Giovanni» e lo «odiava perché Giovanni parlava chiaro». Francesco ha tenuto a rimarcare bene la parola «odiava» perché «noi sappiamo che l’odio è capace di tutto, è una forza grande. L’odio è il respiro di satana: ricordiamoci che lui non sa amare, satana non sa amare, non può amare. Il suo “amore” è l’odio». E «questa donna aveva lo spirito satanico dell’odio» e «l’odio distrugge».
«Il terzo personaggio — ha detto ancora il Pontefice — è la ragazza, la figlia di Erodiade: era brava nel ballare, al punto che piacque tanto ai commensali, al re». E «il re, in quell’entusiasmo — un po’ di entusiasmo, troppo vino e tanta gente lì — a questa ragazza vanitosa fece una promessa: “Ti darò tutto”». Il Papa ha fatto notare che «usa le stesse parole che ha usato satana per tentare Gesù: “Se tu mi adori ti darò tutto, tutto il regno, tutto”». E neppure «sapeva che usava le stesse parole». Perchè «dietro questi personaggi c’è satana, seminatore di odio nella donna, seminatore di vanità nella ragazza, seminatore di corruzione nel re».
In questo contesto l’«uomo più grande nato da donna” finì solo, in una cella scura del carcere, per il capriccio di una ballerina vanitosa, l’odio di una donna diabolica e la corruzione di un re indeciso». Giovanni è «un martire che lasciò che la sua vita venisse meno, meno, meno, per dare il posto al Messia». E «muore lì, nell’anonimato, come tanti martiri nostri». Tanto che «soltanto il vangelo ci dice che i discepoli sono andati a prendere il cadavere per dargli sepoltura».
«Ognuno di noi può pensare: questa testimonianza è una grande testimonianza di un grande uomo, di un grande santo» ha affermato il Pontefice. «La vita — ha fatto notare — ha valore solo nel donarla, nel donarla nell’amore, nella verità, nel donarla agli altri, nella vita quotidiana, nella famiglia». Ma «sempre donarla». E «se qualcuno prende la vita per sé, per custodirla, come il re nella sua corruzione o la signora con l’odio, o la fanciulla, la ragazza, con la propria vanità — un po’ adolescente, incosciente — la vita muore, la vita finisce appassita, non serve». Al contrario, Giovanni «donò la sua vita: “Io invece devo diminuire perché Lui sia ascoltato, sia visto, perché Lui si manifesti, il Signore”».
In conclusione Francesco ha suggerito «di ricordare quattro personaggi: il re corrotto, la signora che soltanto sapeva odiare, la ragazza vanitosa che non ha coscienza di nulla e il profeta decapitato solo in cella». Con l’auspicio che «ognuno apra il cuore perché il Signore gli parli su questo».
Alle 11, nella sala del Concistoro il Pontefice ha incontrato i membri della Fondazione Galileo. La Fondazione promuove una molteplicità di iniziative basate sull’ethos cattolico e cristiano. Mira a sostenere progetti speciali del Santo Padre attraverso la filantropia, con particolare attenzione al lavoro delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali. “….Vorrei soprattutto sottolineare il vostro contributo per aumentare la consapevolezza sulla situazione di coloro che soffrono povertà e sfruttamento, specialmente di quanti sono prigionieri del crimine del traffico di esseri umani. Questo è un compito urgente ed essenziale per i cristiani di oggi. E perciò non è certo una coincidenza il fatto che ci incontriamo nella festa di Santa Giuseppina Bakhita, patrona delle vittime della tratta di esseri umani. Ella conobbe per dolorosa esperienza personale la realtà della schiavitù e le sue conseguenze violente e umilianti. Eppure, per grazia di Dio, lei arrivò a conoscere la vera libertà e la vera gioia. La sua santità di vita è un richiamo non solo ad affrontare con maggiore determinazione le moderne forme di schiavitù, che sono una ferita aperta nel corpo della società, una piaga nella carne di Cristo e un crimine contro l’umanità (cfr Discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla tratta delle persone umane, 10 aprile 2014), ma anche a imparare dal suo grande esempio. Cosa ci dice? Lei ci insegna come dedicarci ai poveri con tenerezza, delicatezza e compassione” ha sottolineato il Vescovo di Roma che poi ha concluso:”Cari amici, nei progetti e nelle attività che state preparando, possiate essere sostenuti da un radicamento sempre più profondo nella preghiera, dall’intercessione di Santa Giuseppina Bakhita e dalla forza che solo lo Spirito Santo può dare. E mentre servite il Signore, invoco da Lui su di voi e sulle vostre famiglie benedizioni di gioia e di pace. Vi ringrazio per le vostre preghiere e vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me. Grazie”.
A seguire, nella sala Clementina, Papa Francesco ha incontrato i missionari d’Africa in occasione del 150.mo anniversario di fondazione ad opera del cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie.
Il Pontefice ha espresso riconoscenza per il “servizio alla missione della Chiesa, vissuto con passione e generosità”.
“Nel corso degli ultimi tre anni, vi siete preparati a celebrare questo giubileo. Come membri della grande “famiglia Lavigerie”, siete ritornati alle vostre radici, avete guardato alla vostra storia con riconoscenza, per mettervi in grado di vivere il vostro impegno presente con una rinnovata passione per il Vangelo ed essere seminatori di speranza. Insieme a voi rendo grazie a Dio, non solo per i doni che ha fatto alla Chiesa attraverso i vostri Istituti, ma anche e soprattutto per la fedeltà del suo amore, che voi celebrate in questo giubileo. Che questo anno giubilare rafforzi in voi la certezza che «degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1 Cor 1,9). Che la vostra consacrazione, il vostro ministero possano così manifestare concretamente, nella vostra vita fraterna e nei vostri vari impegni, la fedeltà dell’amore di Dio e la sua vicinanza, per seminare la speranza nei cuori di quanti sono feriti, provati, scoraggiati, e si sentono tante volte abbandonati.
Cari amici, voi lo sapete: quando Monsignor Lavigerie, allora arcivescovo di Algeri, è stato guidato dallo Spirito a fondare la Società dei Missionari d’Africa, e poi la Congregazione delle Suore Missionarie, aveva nel cuore la passione per il Vangelo e il desiderio di annunciarlo a tutti, facendosi “tutto a tutti” (cfr 1 Cor 9,22). Per questo motivo, le vostre radici sono segnate dalla missione ad extra: è nel vostro DNA. Così, sulle orme del Fondatore, la vostra prima preoccupazione, la vostra santa inquietudine, è «che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Ma, alla luce del cammino fatto fino adesso a partire dalla vostra fondazione, sapete che l’annuncio del Vangelo non è sinonimo di proselitismo; è quella dinamica che conduce a farsi prossimo degli altri per condividere il dono ricevuto, l’incontro d’amore che ha cambiato la vostra vita e vi ha portato a scegliere di consacrare la vita al Signore Gesù, Vangelo per la vita e la salvezza del mondo. È sempre per Lui, con Lui e in Lui che si vive la missione. Pertanto, vi incoraggio a tenere lo sguardo fisso su Gesù Cristo, per non scordare mai che il vero missionario è prima di tutto un discepolo. Abbiate cura di coltivare il legame particolare che vi unisce al Signore, mediante l’ascolto della sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e il servizio ai fratelli, affinché i vostri gesti manifestino la sua presenza, il suo amore misericordioso, la sua compassione a coloro ai quali lo Spirito vi manda e vi conduce. Che la celebrazione del vostro giubileo vi aiuti così a diventare dei “nomadi per il Vangelo”, uomini e donne che non hanno paura di andare nei deserti di questo mondo e di cercare insieme i mezzi per accompagnare i fratelli fino all’oasi che è il Signore, perché l’acqua viva del suo amore spenga ogni loro sete.
Auspico che questo anno giubilare contribuisca anche a sviluppare i legami fraterni tra di voi, perché l’annuncio del Vangelo non si può vivere se non grazie a un’autentica comunione missionaria. Con la forza dello Spirito Santo, siate testimoni della speranza che non delude (cfr Rm 5,5), malgrado le difficoltà. Nella fedeltà alle vostre radici, non abbiate paura di arrischiarvi sulle strade della missione, per testimoniare che «Dio è sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 135). Lo Spirito Santo faccia di voi dei costruttori di ponti tra gli uomini. Là dove il Signore vi ha mandati, possiate contribuire a far crescere una cultura dell’incontro, essere al servizio di un dialogo che, nel rispetto delle differenze, sa trarre ricchezza dalle diversità degli altri. E vi ringrazio in particolare per il lavoro che avete già compiuto in favore del dialogo con l’Islam, con le sorelle e i fratelli musulmani. Con lo stile e la semplicità del vostro modo di vivere, voi manifestate anche la necessità di prendersi cura della nostra casa comune, la terra. Infine, nella scia del Cardinale Lavigerie, siete chiamati a seminare speranza, lottando contro tutte le odierne forme di schiavitù; facendovi prossimi dei piccoli e dei poveri, di quanti aspettano, nelle periferie delle nostre società, di essere riconosciuti nella loro dignità, di essere accolti, protetti, rialzati, accompagnati, promossi e integrati. Con questa speranza, vi affido al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Nostra Signora d’Africa. Imparto la Benedizione Apostolica a voi e a tutti i membri delle vostre comunità, e invoco la benedizione di Dio su coloro di cui condividete la vita, là dove il Signore vi ha inviati. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie”.