Vaticano – L’inizio del pontificato di Benedetto XVI

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Benedetto XVI – Il 24 Aprile 2005 è un giorno storico nella Chiesa: è il giorno che segna l’inizio di un nuovo papato dopo quello venticinquennale di Giovanni Paolo II ecco sul soglio pontificio il “suo amico”, Joseph Ratzinger.
Ratzinger fu eletto papa durante il secondo giorno del conclave del 2005, al quarto scrutinio, nel pomeriggio del 19 aprile 2005. Scelse il nome di papa “Benedetto XVI”. Alle 17:56 fu dato l’annuncio dell’elezione con la tradizionale fumata bianca del comignolo della Cappella Sistina (ci fu in effetti un’iniziale incertezza sul colore del fumo, ma i dubbi furono sciolti alle 18:07, dal suono delle campane della basilica di San Pietro in Vaticano). Dopo circa mezz’ora, il cardinale protodiacono Jorge Arturo Medina Estévez si affacciò dal balcone della loggia centrale della basilica per annunciare l’avvenuta elezione.
Nel suo primo discorso da papa, seguito dalla benedizione Urbi et Orbi, riservò un ricordo al suo amico e predecessore Giovanni Paolo II:
«Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre, starà dalla nostra parte. Grazie.»
Secondo la ricostruzione più puntuale del conclave, raccolta dal vaticanista Lucio Brunelli, il cardinale più votato dopo Ratzinger sarebbe stato l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio (poi diventato il suo successore come papa Francesco), mentre gli altri candidati (come Carlo Maria Martini, Camillo Ruini e Angelo Sodano) avrebbero ricevuto poche preferenze.
Ma che cosa avvenne in queli giorni?
La mattina del 18 aprile, nella basilica di San Pietro, venne celebrata la messa Pro Eligendo Romano Pontifice, che diede inizio ai riti del primo conclave del terzo millennio. Presiedette il rito, concelebrato da tutti i 115 cardinali elettori, il decano del collegio cardinalizio e prefetto della congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger. Questi, dopo che fu letto il passo del vangelo concernente la presentazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth (Lc 4, 21), pronunciò l’omelia. In uno dei passaggi del suo discorso, Ratzinger richiamò la necessità di riscoprire una «fede matura, radicata nell’amicizia con Cristo», senza lasciarsi illudere dal relativismo, cioè senza «lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina».
Proprio mentre «si va costituendo una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Il cardinale collegò tali concetti alla figura del Papa scomparso, auspicando l’elezione di un successore che proseguisse in tal senso: «in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia».
I contenuti di tale omelia, come osserverà, otto anni dopo, la stessa Radio Vaticana, furono quelli di una forte candidatura alla successione da parte del cardinale decano: «È il cardinale anziano che sta parlando, non il Papa, ma forse qualcuno, in quei 29 minuti, non avrà notato la differenza. Forse neanche quando, quell’uomo in piedi vestito di rosso, tira le conclusioni del suo discorso scrutando i cardinali e, attraverso di loro, il futuro della Chiesa, che sta per giungere».
Nel primo pomeriggio i cardinali entrarono in processione nella Cappella Sistina e, dopo il canto del Veni Creator Spiritus e dopo aver pronunciato in latino il solenne giuramento di fedeltà al segreto del conclave, con la tradizionale formula Extra omnes pronunciata dal maestro delle celebrazioni liturgiche Piero Marini le porte della Sistina si chiusero. Il cardinale Tomáš Špidlík, ottantacinquenne e quindi non elettore, esperto in spiritualità orientale, guidò la meditazione, per lasciare poi la sala e permettere l’avvio dei lavori con l’estrazione a sorte dei tre cardinali scrutatori e degli altrettanti revisori.
La sera del 18 aprile le votazioni si aprirono con l’unica candidatura organizzata in grado di contare su un blocco di voti sicuri, quella del cardinale Ratzinger. Le previsioni dei vaticanisti più informati oscillavano fra i 30 e i 50 voti già sicuri per lui. Molto inferiori alle aspettative della vigilia, furono gli elettori orientati verso il cardinale Carlo Maria Martini.


Il primo scrutinio, che non era scontato avvenisse entro la giornata, ebbe esito negativo: alle ore 20:05 uscì dal comignolo della Cappella Sistina la fumata nera. Le prime indiscrezioni sulle votazioni furono pubblicate poche settimane dopo il conclave. Andrea Tornielli indicava che nel primo scrutinio Ratzinger avesse ottenuto 40 voti, Martini 30. Secondo Lucio Brunelli, invece, dietro a Ratzinger si sarebbe collocato il cardinale argentino Bergoglio con Martini fermo a 9 voti; vi sarebbero stati anche 6 voti per Ruini, 4 per Sodano e una trentina di voti dispersi.
Il giorno successivo, 19 aprile, i sostenitori di Ratzinger si concentrarono sul vasto blocco degli incerti. I cardinali dalla parte di Camillo Ruini fecero sapere che il loro piccolo pacchetto di voti si sarebbe riversato su Ratzinger. Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires poteva contare su tutti i voti dei cardinali provenienti dall’America latina, esclusi solo il colombiano Alfonso López Trujillo, avversario della teologia della liberazione e il cileno Jorge Medina Estévez, responsabile dell’edizione cilena della rivista Communio, creatura teologica di Ratzinger. Prevalse allora, sul fronte opposto a Ratzinger, l’orientamento a sostenere il porporato argentino e anche i cardinali che avevano votato per Martini si convinsero a puntare su Bergoglio.
Al secondo scrutinio i voti per Ratzinger, come previsto, aumentarono rispetto al giorno prima, ma anche Bergoglio ottenne un numero di preferenze non trascurabile. Al terzo scrutinio a Ratzinger mancarono pochissimi voti per essere eletto, ma i sostenitori di Bergoglio decisero di resistere a oltranza, sperando di portare a una situazione di stallo continuo che avrebbe reso necessaria la messa da parte del cardinale tedesco e la ricerca di un nuovo candidato. Anche Martini era della stessa idea, e, sospettando il blocco duraturo di Ratzinger, prevedeva un cambio di candidati per il giorno successivo.
In termini concreti sembra che, al terzo turno, i sostenitori di Bergoglio fossero riusciti a far ottenere al cardinale argentino 40 voti: poiché i votanti erano 115 e poiché per essere eletti erano necessari i due terzi dei consensi, ossia 77 voti, a Bergoglio bastava mantenere quei 40 voti per rendere aritmeticamente impossibile l’elezione di Ratzinger, che, nel caso, si sarebbe potuto fermare al massimo a 74 (dato che non poteva votare per se stesso). A questo punto sembra che sia stato l’atteggiamento dello stesso Bergoglio a far capire a molti suoi sostenitori che fosse meglio desistere, per evitare una spaccatura nel conclave.
Diversi cardinali del blocco di Bergoglio, quindi, allo scrutinio successivo si arresero e diedero a Ratzinger i voti che gli mancavano per l’elezione.
Alle 17:50 del 19 aprile, dopo il quarto scrutinio, dal comignolo della Sistina si levò la fumata bianca. Poco più di un’ora dopo, alle 18:53, il cardinale protodiacono Jorge Medina Estévez, con la tradizionale locuzione Habemus Papam, annunciò l’elezione di Joseph Ratzinger, che scelse il nome di Benedetto XVI.
Sono numerose le indiscrezioni diffuse sull’esito del conclave che elesse Benedetto XVI, alcune anche in contrapposizione fra loro. Tuttavia, è possibile confrontare queste ipotesi con il racconto diretto di papa Ratzinger. Quest’ultimo, infatti, ebbe modo di raccontare alle delegazioni e ai pellegrini accorsi dalla Germania i momenti che precedettero la sua elezione: «Quando, lentamente, l’andamento delle votazioni mi ha fatto capire che, per così dire, la scure sarebbe caduta su di me, la mia testa ha incominciato a girare. Ero convinto di aver svolto l’opera di tutta una vita e di poter sperare di finire i miei giorni in tranquillità. Con profonda convinzione ho detto al Signore: non farmi questo! Disponi di persone più giovani e migliori, che possono affrontare questo grande compito con tutt’altro slancio e tutt’altra forza.
Allora sono rimasto molto toccato da una breve lettera scrittami da un confratello del collegio cardinalizio. Mi ha ricordato che in occasione della Messa per Giovanni Paolo II avevo incentrato l’Omelia, partendo dal Vangelo, sulla parola che il Signore disse a Pietro presso il lago di Genesaret: seguimi!
Avevo spiegato come Karol Wojtyla aveva sempre ricevuto di nuovo questa chiamata dal Signore, e come sempre di nuovo aveva dovuto rinunciare a molto e dire semplicemente: sì, ti seguo, anche se mi conduci dove non avrei voluto. Il confratello mi ha scritto: Se il Signore ora dovesse dire a te “seguimi”, allora ricorda ciò che hai predicato. Non rifiutarti! Sii obbediente come hai descritto il grande Papa, tornato alla casa del Padre. Questo mi ha colpito nel profondo. Le vie del Signore non sono comode, ma noi non siamo creati per la comodità, bensì per le cose grandi, per il bene. Così alla fine non ho potuto fare altro che dire sì. Confido nel Signore, e confido in voi, cari amici».
Domenica 24 aprile 2005 si tenne in piazza San Pietro la messa (“Santa Messa di imposizione del pallio e consegna dell’anello del pescatore per l’inizio del Ministero petrino del vescovo di Roma”, tradizionalmente detta “Messa di incoronazione” fino a papa Paolo VI) per l’inizio del ministero petrino di Benedetto XVI, il quale pronunciò un’omelia, interrotta 35 volte dagli applausi dei fedeli in piazza San Pietro, all’insegna dell’ecumenismo, della continuità nei confronti del suo predecessore e dell’apertura verso i fedeli.
«Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l’intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano»
Al termine della cerimonia il Papa attraversò con la jeep piazza San Pietro, gremita di oltre 400 000 persone, e ricevette le delegazioni internazionali nella basilica.


Il 27 aprile Benedetto XVI spiegò, in occasione della sua prima udienza generale in piazza San Pietro, le ragioni della scelta del suo nome pontificale: «Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti.»
«Il nome Benedetto evoca, inoltre, la straordinaria figura del grande “Patriarca del monachesimo occidentale”, san Benedetto da Norcia, compatrono d’Europa insieme ai santi Cirillo e Metodio e le sante donne Brigida di Svezia, Caterina da Siena ed Edith Stein. La progressiva espansione dell’ordine benedettino da lui fondato ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il continente. San Benedetto è perciò molto venerato anche in Germania e, in particolare, nella Baviera, la mia terra d’origine; costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà.»
Prima del 1º marzo 2006, nella lista dei titoli di Benedetto XVI era incluso anche quello di “Patriarca d’Occidente”, tradizionalmente indicato prima di quello di “Primate d’Italia”. Il titolo di “Patriarca d’Occidente” venne introdotto per la prima volta nel 1870 col Concilio Vaticano I ed è proseguito nelle pubblicazioni dell’Annuario Pontificio dal quale appunto è stato rimosso nell’edizione del 2006. Papa Benedetto ha deciso di rinunciare a tale titolo per facilitare il dialogo con le chiese ortodosse, pure ampiamente diffuse nel mondo occidentale.
Il 7 maggio 2005 nella basilica di San Giovanni in Laterano si tenne la messa d’insediamento sulla cattedra romana del vescovo di Roma.
Durante l’omelia il Papa riprese il concetto di “debole servitore di Dio”: «Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole – come sono fragili e deboli le sue proprie forze – costantemente bisognoso di purificazione e di conversione».
La teologia di Benedetto XVI è il frutto di lunghe riflessioni in tutta la sua vita, in gran parte caratterizzate dal suo periodo di guida della Congregazione della Dottrina della Fede, che lo hanno portato al desiderio ardente di preservare la fede cattolica nella sua integrità. La sua teologia si origina dal concetto che “Dio ci parla oggi attraverso la sua Chiesa e non solo attraverso la Bibbia”. “La Bibbia non è un testo di scienze naturali, ma piuttosto è la testimonianza essenziale della rivelazione di Dio” nelle parole di papa Benedetto. Sempre secondo la visione teologica del pontefice, “è impossibile trarre delle spiegazioni scientifiche dalla Bibbia, ma se ne può trarre unicamente un’esperienza religiosa. La Scrittura non ci riferirà dunque mai di quante specie di piante siano apparse gradualmente sulla terra o come nacquero il sole o la luna, ma il suo proposito è quello di ribadire che Dio ha creato il mondo”.
Nella visione di Benedetto XVI il mondo non è un caos di forze opposte tra loro né un duello di forze demoniache da cui l’umanità deve proteggersi. Piuttosto, tutto ciò che esiste viene da un’unica potenza, quella di Dio, che si è rivelata col potere della creazione. Tutto ciò viene dalla Parola di Dio che si pronuncia nella parola della fede.
La Bibbia, venne scritta per aiutarci a comprendere l’”eterna Ragione di Dio”. La Santas scrittura non è stata scritta nella sua interezza dall’inizio alla fine come un racconto o una favola; essa appare piuttosto come l’eco della storia di Dio e del suo popolo nella visione ratzingeriana. Il tema della creazione non è risolvibile in un solo luogo o in una sola parola; esso piuttosto accompagna Israele nella sua storia e pertanto anche il Vecchio Testamento appare intriso della Parola di Dio.


Con queste considerazioni, papa Benedetto ha presentato la reciproca appartenenza tra Vecchio e Nuovo Testamento. L’individualità delle due parti deriva dal tutto e il tutto deriva da Cristo.
La Bibbia, secondo il pontefice, riadatta costantemente la sua immagine al percorso di vita dell’umanità e così facendo si rivela un processo interattivo più profondo e più grande. I cristiani non devono quindi leggere, secondo papa Benedetto, il Vecchio Testamento come indipendente rispetto al Nuovo, ma sempre tenendo presente l’opera salvifica di Cristo e tramite Cristo.




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