Vaticano – LA CHIESA OMAGGIA SAN PAOLO VI

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Paolo VI – Ricorre il 29 maggio di ogni anno la memoria liturgica di San Paolo VI, il Pontefice proclamato santo il 14 ottobre 2018 da Papa Francesco. La data è quella in cui Giovanni Battista Montini, nato il 26 settembre 1897 a Concesio (Brescia), fu ordinato sacerdote, il 29 maggio 1920.


«Considerata la santità di vita di questo Sommo Pontefice – riporta il decreto della Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, a firma del prefetto il cardinale Robert Sarah -, testimoniata nelle opere e nelle parole, tenendo conto del grande influsso esercitato dal suo ministero apostolico per la Chiesa sparsa su tutta la terra, il Santo Padre Francesco, accogliendo le petizioni e i desideri del Popolo di Dio, ha disposto che la celebrazione di san Paolo VI, papa, sia iscritta nel Calendario Romano Generale, il 29 maggio, con il grado di memoria facoltativa».
La nuova memoria – si legge nel documento, che reca la data del 25 gennaio scorso – «dovrà essere inserita in tutti i Calendari e Libri liturgici per la celebrazione della Messa e della Liturgia delle Ore; i testi liturgici da adottare, allegati al presente decreto, devono essere tradotti, approvati e, dopo la conferma di questo Dicastero, pubblicati a cura delle Conferenze episcopali».
In un commento diffuso dalla Sala Stampa vaticana insieme al decreto, il cardinale Sarah spiega che il giorno celebrativo di San Paolo VI «sarà il 29 maggio, data della sua ordinazione presbiterale nel 1920, essendo il 6 agosto, giorno della sua nascita al cielo (cioè della morte, ndr), festa della Trasfigurazione del Signore».
«Affascinato dalla figura e attività apostolica di san Paolo – afferma il porporato guineano – quando lo Spirito Santo lo indicò quale successore di san Pietro, non risparmiò le sue energie a servizio del Vangelo di Cristo, della Chiesa e dell’umanità, vista alla luce del piano divino di salvezza».
«Difensore della vita umana, della pace e del vero progresso dell’umanità – prosegue -, come mostrano i suoi insegnamenti, volle che la Chiesa, ispirandosi al Concilio e mettendone in pratica i principi normativi, riscoprisse sempre più la sua identità, superando le divisioni del passato e molto attenta ai nuovi tempi: Chiesa di Cristo, che mette al primo posto Dio, l’annuncio del Vangelo, anche quando si prodiga per i fratelli, per costruire quella “civiltà dell’amore” inaugurata dallo Spirito nella Pentecoste».


Sarah ricorda anche le Note per il mio testamento, in cui Paolo VI scriveva: «Niente monumento per me. Anche se nell’ottobre del 1989 un monumento gli fu eretto nel duomo di Milano, il vero monumento Paolo VI se l’è costruito con la sua testimonianza, con le opere, con i viaggi apostolici, con il suo ecumenismo, con il lavoro per la Nova Vulgata, con il rinnovamento liturgico e con i suoi molteplici insegnamenti ed esempi, mostrando così il volto di Cristo, la missione della Chiesa, la vocazione dell’uomo moderno e conciliando il pensiero cristiano con le esigenze dell’ora difficile nella quale ha dovuto guidare, soffrendo molto, la Chiesa».
Secondogenito di Giorgio e di Giuditta Alghisi, Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, un piccolo paese del Bresciano, il 26 settembre 1897. Di famiglia cattolica molto impegnata sul piano politico e sociale, tra il 1903 e il 1915 frequentò le elementari, il ginnasio e parte del liceo nel collegio Cesare Arici, tenuto a Brescia dai gesuiti, concludendo gli studi secondari presso il liceo statale cittadino nel 1916.
Nell’autunno di quell’anno entrò nel seminario di Brescia e quattro anni dopo, il 29 maggio 1920, ricevette in cattedrale l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Giacinto Gaggia. Dopo l’estate si trasferì a Roma, dove seguì i corsi di filosofia della Pontificia Università Gregoriana e quelli di lettere dell’università statale, laureandosi poi in diritto canonico nel 1922 e in diritto civile nel 1924. Intanto, in seguito a un incontro con il sostituto della Segreteria di Stato Giuseppe Pizzardo nell’ottobre 1921, fu destinato al servizio diplomatico e per alcuni mesi del 1923 lavorò come addetto alla nunziatura apostolica di Varsavia.
Entrato nella Segreteria di Stato il 24 ottobre 1924, l’anno dopo vi fu nominato minutante. In quel periodo partecipò da vicino all’attività degli studenti universitari cattolici organizzati nella Fuci, della quale fu assistente ecclesiastico nazionale dal 1925 al 1933. Nel frattempo, agli inizi del 1930, era stato nominato segretario di Stato il cardinale Eugenio Pacelli, di cui egli divenne progressivamente uno dei più stretti collaboratori, finché nel 1937 fu promosso sostituto della Segreteria di Stato. Ufficio che mantenne anche quando a Pacelli — che fu eletto Papa nel 1939 prendendo il nome di Pio XII — successe il cardinale Luigi Maglione, morto nel 1944. Otto anni più tardi, nel 1952 divenne prosegretario di Stato per gli affari ordinari.


Fu lui a preparare l’abbozzo dell’estremo ma inutile appello di pace che Papa Pacelli lanciò per radio il 24 agosto 1939, alla vigilia del conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra».
Il 1° novembre 1954 gli arrivò inattesa la nomina ad arcivescovo di Milano, dove fece ingresso il 6 gennaio 1955. Alla guida della Chiesa ambrosiana si impegnò a fondo sul piano pastorale, dedicando una speciale attenzione ai problemi del mondo del lavoro, dell’immigrazione e delle periferie, dove promosse la costruzione di oltre cento nuove chiese. Dal 5 al 24 novembre 1957 tenne una capillare «Missione per Milano», sottoscrivendo nell’occasione un significativo «invito» rivolto «ai fratelli lontani».
Primo cardinale a ricevere la porpora da Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958, partecipò al concilio Vaticano II, dove sostenne apertamente la linea riformatrice. Morto Roncalli, il 21 giugno 1963 fu eletto Papa e scelse il nome di Paolo, con un chiaro riferimento all’apostolo evangelizzatore.
Nei primi atti del pontificato volle sottolineare in ogni modo la continuità con il predecessore, in particolare con la decisione di riprendere il Vaticano II, che si riaprì il 29 settembre 1963. Condusse i lavori conciliari con attente mediazioni, favorendo e moderando la maggioranza riformatrice, fino alla conclusione avvenuta l’8 dicembre 1965 e preceduta dalla reciproca revoca delle scomuniche intercorse nel 1054 tra Roma e Costantinopoli. Al periodo del concilio risalgono anche i primi tre dei nove viaggi che nel corso del pontificato lo portarono a toccare i cinque continenti (dieci furono invece le visite compiute in Italia): nel 1964 si recò in Terra santa e poi in India, e nel 1965 a New York, dove pronunciò uno storico discorso davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite. In quello stesso anno iniziò una profonda azione di modifica delle strutture del governo centrale della Chiesa, creando nuovi organismi per il dialogo con i non cristiani e i non credenti, istituendo il Sinodo dei vescovi — che durante il suo pontificato tenne quattro assemblee ordinarie e una straordinaria tra il 1967 e il 1977 — e attuando la riforma del Sant’Uffizio.


La sua volontà di dialogo all’interno della Chiesa, con le diverse confessioni e religioni e con il mondo fu al centro della prima enciclica Ecclesiam suam del 1964, seguita da altre sei: tra queste sono da ricordare la Populorum progressio del 1967 sullo sviluppo dei popoli, che ebbe una risonanza molto ampia, e la Humanae vitae del 1968, dedicata alla questione dei metodi per il controllo delle nascite, che suscitò numerose polemiche anche in molti ambienti cattolici. Altri documenti significativi del pontificato sono la lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971 per il pluralismo dell’impegno politico e sociale dei cattolici, e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo.
Impegnato nel non facile compito di attuare e applicare le indicazioni emerse dal concilio, impresse un’accelerazione al dialogo ecumenico attraverso incontri e iniziative rilevanti. L’impulso rinnovatore nell’ambito del governo della Chiesa si tradusse poi nella riforma della Curia nel 1967, della corte pontificia nel 1968 e del conclave nel 1970 e nel 1975. Anche nel campo della liturgia svolse una paziente opera di mediazione per favorire il rinnovamento raccomandato dal Vaticano II, senza tuttavia riuscire a evitare le critiche dei settori ecclesiali più avanzati e la tenace opposizione dei conservatori, tra i quali l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre, sospeso a divinis nel 1976.
Con la creazione di 144 porporati, la maggior parte dei quali non italiani, in sei concistori rimodellò notevolmente il collegio cardinalizio e ne accentuò il carattere di rappresentanza universale. Durante il pontificato sviluppò inoltre in modo considerevole l’azione diplomatica e la politica internazionale della Santa Sede, adoperandosi in ogni modo per la pace — anche grazie all’istituzione di una apposita giornata mondiale celebrata dal 1968 il 1° gennaio di ogni anno — e proseguendo il dialogo con i Paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale (la cosiddetta Ostpolitik) avviato da Giovanni XXIII.
Nel 1970, con una decisione senza precedenti, dichiarò dottori della Chiesa due donne, santa Teresa d’Ávila e santa Caterina da Siena. E nel 1975 — dopo il giubileo straordinario tenuto nel 1966 per la conclusione del Vaticano II e l’Anno della fede celebrato tra il 1967 e il 1968 per il diciannovesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo — indisse e celebrò un Anno santo.


La fase conclusiva del pontificato fu segnata drammaticamente dalla vicenda del sequestro e dell’uccisione del suo amico Aldo Moro, per il quale nell’aprile 1978 indirizzò un appello agli «uomini delle Brigate Rosse» chiedendone invano la liberazione. Il 29 giugno successivo celebrò in San Pietro il quindicesimo dell’elezione. Morì la sera del 6 agosto, nella residenza di Castel Gandolfo, quasi improvvisamente, dopo un giorno di permanenza a letto. Dopo il funerale celebrato il 12 in piazza San Pietro, fu sepolto nella basilica vaticana.
Lasciò un testamento, scritto il 30 giugno 1965, salvo due successive lievi aggiunte; esso fu reso noto cinque giorni dopo la morte, l’11 agosto. In esso egli confida le sue paure, la sua esperienza di vita, le sue debolezze, ma anche le proprie gioie per una vita donata al servizio di Cristo e della Chiesa. «Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara. […] Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? […] E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore […] ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore» –
Nelle sue ultime disposizioni, Paolo VI dispose l’abbandono dei tradizionali fasti delle esequie pontificali: «[…] i funerali: siano pii e semplici […] La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.» (Paolo VI, Testamento)
La salma, rivestita senza sfarzo (una semplice casula rossa, pallio, mitra e camice bianchi, mocassini rossi), dopo un primo omaggio riservato agli intimi e alle autorità, venne ricondotta in Vaticano il 9 agosto ed esposta per tre giorni all’omaggio dei fedeli dinnanzi al baldacchino di San Pietro: sempre su indicazioni testamentarie, l’ostensione non avvenne su di un alto catafalco (come da prassi secolare), ma su un basso cataletto.
Innovativa e sobria fu anche la messa esequiale, celebrata il 12 agosto, per la prima volta non nella basilica petrina, ma in Piazza San Pietro: la salma venne ricomposta in una bara semplicissima, di legno chiaro, che fu deposta a terra sul sagrato; sopra di essa venne posto un Vangelo aperto. Terminata la cerimonia, la cassa, inserita in altre due casse di zinco e legno, fu tumulata nelle Grotte Vaticane.
Fu la prima volta da secoli che il funerale di un pontefice romano si svolse con un rito così sobrio: i suoi due successori, che non mancheranno di richiamarsi a Paolo VI e di citarlo come loro guida spirituale, si conformeranno a tali novità.
L’11 maggio 1993 è stata avviata nella diocesi di Roma la causa di canonizzazione. Il 9 maggio 2014 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il miracolo attribuito alla sua intercessione. Paolo VI è stato dichiarato beato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco.
È stato canonizzato da Papa Francesco in Piazza San Pietro il 14 ottobre 2018.
Una delle questioni più rilevanti, per la quale papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio, fu quella della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.
Tali questioni furono trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica. Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un’epoca in cui il cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, appannò la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente i suoi critici gli affibbiarono il nomignolo di Paolo Mesto.
Il Pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento.
Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell’ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò.


La decisione era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa su temi non strettamente legati alla dottrina religiosa. Tuttavia il Papa ribatté a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d’intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito. Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della “pillola cattolica” (come venne soprannominata), ma una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l’utilizzo degli anticoncezionali violasse la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa.
Paolo VI appoggiò questa posizione e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell’enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l’utilizzo degli anticoncezionali di natura chimica o artificiale:
«Richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. […] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione.» (Paolo VI, Humanae vitae)
Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice: «In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete.»
Questa decisione di papa Montini ricevette molte critiche. Tuttavia, Paolo VI non ritrattò mai il contenuto dell’enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni: «Noi portiamo il peso dell’umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l’uomo accetta di dissociare nell’amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo “una medicina” diventa per l’uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell’amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all’amore e l’amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell’umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere.» (Jean Guitton, Paolo VI segreto)
Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che: «è contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell’incertezza circa la dottrina della fede».n




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