Vaticano -“Durante il Covid siamo rimasti prigionieri della paura perché siamo abituati a vivere solo nell’orizzonte terreno, per cui se perdiamo la salute sentiamo di aver perso tutto. Questa riduzione dell’uomo al suo presente, all’hic et nunc, è una tragedia, in quanto lo rende ricattabile, visto che quando è in crisi il suo benessere psicofisico egli è capace di cedere perfino la libertà e i diritti elementari. Come di fatto è accaduto.”
Dom Giulio Meiattini, teologo e monaco benedettino dell’Abbazia della Madonna della Scala a Noci, è tra i pochi ecclesiastici che non ha paura di riconoscere la realtà che la pandemia ha brutalmente evidenziato: il dispotismo di un nuovo potere terapeutico che ha trasformato le persone in pazienti e al quale ha lasciato campo libero la “ritirata” della Chiesa che, dice, ha “obbedito senza pensare”.
Martina Pastorelli: In che modo la pandemia ha segnato una riduzione dell’essere umano?
Dom Giulio Meiattini: Nei primi tre anni si è profilato quello che Marcuse chiamava “l’uomo a una dimensione”: i tamponi, ripetuti e a tappeto, e la vaccinazione altrettanto estesa hanno evidenziato una nuova condizione del cittadino, considerato innanzitutto come un paziente sano. Chi voleva far parte del consorzio civile e della vita relazionale doveva “prendere la tessera” -parafrasando un’espressione d’altri tempi – del paziente prono ai dettami della sanità pubblica. Comunque, oggi sarei più cauto a parlare di riduzione dell’uomo.
Perché?
Perché l’accentuazione della mala sanità che constatiamo sembra contraddire questo aspetto: l’essere umano ha sperimentato da una parte una costrizione a entrare nella categoria del “paziente a prescindere”, dall’altra una crescente difficoltà ad accedere ai servizi sanitari.
Come spiega questo paradosso?
Con l’interesse segreto del sistema, che va verso la profilassi piuttosto che verso la cura: le innumerevoli vaccinazioni obbligatorie per l’infanzia, la vaccinazione Covid, l’insistenza nel proporre dopo una certa età controlli per determinate malattie…in questi casi il sistema sanitario ti anticipa e viene a cercarti, dicendo di prendersi cura della tua salute; ma se hai bisogno di un elettrocardiogramma o di una visita specialistica perché avverti un disagio reale, in quel caso aspetti settimane o mesi. La profilassi che fa diagnosi sui sani è un’arma a doppio taglio: fa rientrare a priori tutti i cittadini nella categoria del paziente.
È una forma di ricerca del potere?
L’utilizzo della sanità per acquisire un maggiore potere sui cittadini è una possibile lettura di questo fenomeno distonico: si sono sprecate risorse per la campagna vaccinale ma si è scaduti nel prestare servizi elementari e primari.
In questi anni è emerso un potere terapeutico che ha spodestato ogni altro approccio. La cura medica gestita in modo puramente tecnico sconfina nel nichilismo?
La tecnica svincolata da ogni quadro di riferimento valoriale e antropologico globale diventa fine a se stessa e si presta ad essere utilizzata in maniera strumentale. Il potere che attraverso la tecnica cerca il proprio potenziamento senza altra finalità che se stesso è l’anima del nichilismo.
La “scienza non pensa” scriveva Heidegger. La scienza non è in grado di decidere su ciò che è bene e male, sosteneva Weber. Cosa diventa la medicina abbandonata a se stessa?
La scienza non dà giudizi di valore, obbedisce semplicemente all’efficacia del proprio esperimento, delle proprie scoperte e del loro utilizzo pratico ma è incapace di valutare: non pensa nel senso che non guarda alla dimensione dell’essere umano nella sua ampiezza ma alla propria interna auto coerenza. Non solo la scienza scissa da una antropologia integrale diventa nichilista ma questa laicizzazione della tecnica da ogni quadro valoriale determina una sacralizzazione della scienza.
All’avanzata sanitaria è corrisposta una ritirata metafisica che le gerarchie ecclesiali hanno aggravato, mettendo al primo posto la salute corporale e la medicina quale sommo sapere. Perché è successo?
Il Covid ha rivelato nella Chiesa una debolezza spirituale e una crisi di fede che già c’era. Negli ultimi anni si era tanto contestato il fatto che la dimensione ecclesiale fosse troppo nelle sacrestie mentre era necessario “uscire” nel mondo, ma durante il periodo del Covid abbiamo visto proprio una Chiesa ritirata, asserragliata, con i sacerdoti che celebravano a porte chiuse e in qualche caso con le stesse chiese chiuse. Una Chiesa più chiusa di così, nel periodo del massimo bisogno, io sinceramente non l’avevo mai vista. Un altro paradosso, dopo quello di una scienza tesa fra laicità e sua sacralizzazione è questo di una Chiesa che si è impegnata in una apertura sempre maggiore al mondo e che al momento della prova si rivela autocentrata e in difensiva.
Una ritirata che è stata anche un abbandono: molte persone sono state sepolte senza un funerale…
Pensare che anche molto dopo la fine delle misure più restrittive si assisteva allo strano fenomeno per cui le esequie venivano celebrate alla presenza dei familiari ma senza il feretro se il morto era deceduto per o con il Covid: una assurdità dal punto di vista scientifico ed una offesa alla ragione e al buon senso visto che la salma, sigillata in una cassa di zinco, non poteva partecipare ma i vivi, potenzialmente esposti sia a ricevere che a trasmettere il contagio, sì. Essersi prostrati a queste disposizioni senza ratio è un fatto preoccupante perché significa che abbiamo obbedito senza pensare.
Perché la Chiesa continua a non adoperare quel discernimento che oggi – alla luce di quanto sappiamo – impone una revisione delle precedenti posizioni?
Dal punto di vista ecclesiale non si intravedono incipienti verifiche o esami di coscienza su come abbiamo gestito questo periodo. Chiediamo perdono delle colpe di secoli fa, con tutti gli interrogativi che le prospettive pongono sulla sensatezza di questo gesto, ma non siamo in grado di riconoscere le nostre mancanze attuali.
Come se la Chiesa rispondesse solo sui temi che il pensiero dominante impone?
Sembra che il cattolicesimo istituzionale – “Chiesa” è un termine molto impegnativo poiché implica una dimensione di mistero che rischia di essere appiattita – si trovi oggi nell’incapacità di porre delle domande ma tenda a rispondere sempre a quelle poste da fuori e che per placare le critiche e mostrarsi “moderno” adotti il meccanismo dell’addolcimento e dell’adeguamento. Non riusciamo più a porre il mondo di fronte alle vere domande ultime: il destino eterno dell’uomo, la sua dimensione spirituale trascendente, la questione del peccato… Il cattolicesimo attuale è in difesa.
Rimosso Dio, il suo posto è stato preso dalla scienza: il suo verbo (“lo dice la scienza”) tappa la bocca a tutti e la sanità assolutizza se stessa. Abbiamo una nuova religione?
Negli ultimi anni c’è un atteggiamento scientista fortemente diffuso nella cultura media, per cui la scienza è l’auctoritas di riferimento. Da questa assolutizzazione del criterio scientifico alla sua trasformazione in una nuova forma di religione il passo è breve. Ne abbiamo avuto esempi quando abbiamo sentito usare il linguaggio della fede – “io mi fido della scienza”, “io credo nei vaccini” – trasferito nell’ambito medico.
Al cattolicesimo sono state scippate, deformandole, categorie linguistiche e di pensiero?
Alla base di questo scippo sta la perdita della dimensione trascendente: si è indebolita anche all’interno del cattolicesimo la percezione che l’uomo è fondamentalmente orientato a Dio e alla vita eterna; che la terra non è l’ultimo orizzonte. Oggi il cristianesimo si limita a “religione terapeutica”, come l’ha chiamata Rod Dreher, che ha ridotto il proprio compito a far sentire bene e a rassicurare le persone ma non a orientarle a ciò che sta oltre ogni situazione terrena.
L’intervista è stata pubblicata sul quotidiano La Verità il 18.02.2025.