Suor Annika Fabbian – Nuca rasata, codina alta, pantaloncini corti, calzettoni fino a sotto il ginocchio. Il velo lo indossa solo per le foto e le interviste istituzionali. «In campo è importabile» racconta. Suor Annika Fabbian, 32 anni, Dorotea, insegnante di storia dell’arte al “Farina” e assistente del Csi di Vicenza, da febbraio fa parte della neonata Nazionale italiana suore calcio. Interista sfegatata, attaccante grintosa, tira di destro e di sinistro, in gioventù ha giocato nel Vicenza Calcio. Quando la incontriamo è appena rientrata dal quadrangolare femminile di beneficenza “Un pallone per un sorriso” di calcio a 5 che si è svolto il 25 novembre (giornata mondiale contro la violenza sulle donne) al PalaBanco di Desio (Monza) con le pluripremiate farfalle azzurre della ginnastica ritmica, la rappresentativa nazionale del Vaticano e una selezione di donne che lavorano in tv. Ecco le sue dichiarazioni rilasciate alla Diocesi di Vicenza.
Suor Annika, com’è nata la passione per il calcio?
«Al campetto della parrocchia di Sant’Agostino a Vicenza, vicino casa. Ci andavo con mio fratello. All’inizio non ero ben accetta, perchè “le ragazze non possono giocare a calcio”. Poi mi dissero: “Se domani sai fare l’alzata di Pelè, il tunnel e segni puoi giocare con noi”. Io non sapevo neanche che cosa fosse l’alzata di Pelè. Corsi da mio padre, mi spiegò tutto e mi allenai l’intero pomeriggio. Il giorno dopo feci la sequenza al primo colpo: mossa di Pelè, doppio passo, tunnel e goal. La Provvidenza ci mise lo zampino. La parrocchia mi ha aiutato tanto, sono nate belle amicizie. Spesso mi è capitato di andare a prendere dei bambini a casa che erano incollati davanti a uno schermo. Sabato e domenica giocavo a calcio, durante la settimana danzavo».
Danzava?
«Sì ho praticato danza classica per 13 anni, da 4 ai 17. Poi sono passata al calcio».
Due sport agli antipodi.
«La danza mi ha inseganto le regole e la disciplina. Mi sono allenata tanto, con sacrifici ed esami a Montecarlo. Ma il calcio era la mia passione. Ho giocato nel Vicenza, dopo un infortunio sono passata al calcio a 5 e ho trovato la mia dimensione. Servono tecnica, precisione, tattica e grande gioco di squadra. Passai al Marano, oggi Thienese che milita in serie A. Tutto questo prima di farmi suora».
Ecco appunto, la fede e la decisione di farsi suora come e quando si inseriscono?
«A 18 anni ho capito che poteva essere la mia strada ma l’ho lasciata da parte. Era un grande punto di domanda. Mi sono laureata all’Accademia delle belle arti con indirizzo restauro, ho trovato lavoro a Padova e poi a Verona. Nel 2011 partecipai alla Gmg a Madrid, incontrai persone fantastiche, tra cui alcune dorotee. Tornai e mi dissi “devi mettere in ordine alcune cose”. Lo stesso anno entrai al Sichem, fu un anno incredibile, eravamo una quarantina. C’era suor Paola Germani, dorotea, che mi invitò a qualche incontro a Casa Sacro Cuore. Con la scusa di restaurare la Madonna di Casa Sacro Cuore, quando non giocavo a calcio, ero lì ogni fine settimana. Entrai in convento l’1 ottobre 2012, sono diventata suora nel 2017».
Come è stata contattata per entrare nella squadra nazionale delle suore?
«Il 10 febbraio scorso mi telefonò il mister della Nazionale preti, Moreno Buccianti (oggi allenatore anche delle suore ndr), dove gioca don Davide (Gasparotto, altro assistente Csi e cappellano nell’Up di Sandrigo ndr). Mi disse che ero la prima religiosa che contattava. Il giorno dopo, l’11, rinnovo i voti ogni anno perché non sono ancora perpetua. Pensai ad uno scherzo. Risposi che dovevo parlare con le mie superiori».
La Congregazione che atteggiamento ha avuto di fronte a questa proposta?
«Di apertura e appoggio fin da subito. La madre generale e la provinciale mi dissero “Magari è un nuovo modo di evangelizzare”. Ero d’accordissimo. All’inzio eravamo in poche suore in squadra. Oggi siamo 16 di 14 Congregazioni diverse».
Il 25 novembre scorso avete vinto il quadrangolare?
«Purtroppo no, abbiamo fatto vincere il Papa (sorride), la squadra femminile del Vaticano, composta da dipendenti e mogli di dipendenti. Il torneo è stato organizzato per raccogliere fondi per l’associazione Pangea».
Come riesce a conciliare le due cose?
«L’impegno non è molto. Ogni suora segue la sua vita. Ci troviamo quando riusciamo a incastrarci e partecipiamo ai tornei».
Che cosa rappresenta per lei lo sport?
«Prima di tutto rispetto per l’altro che è quello che ci insegna il Signore. Poi aiuto e altruismo, cammino comune. Anche quando giocavo nel Vicenza non ho mai fermato un’avversaria pensando di volerle fare male. In questo mi ha aiutato molto il mio allenatore di calcio a 5, decisamente sui generis. Era l’unico che non bestemmiava, che non diceva parolacce. Anzi, quando eravamo in difficoltà tirava fuori il rosario e pregava. Era fermo, ma mai aggressivo. Sport, scuola e famiglia formano un anello perfetto. Ogni parte deve alimentarsi con l’altra».
Ha qualche gesto scaramantico prima di entrare in campo?
«Chiedo sempre a Gesù: “Aiutami a non farmi male”. Allenandomi poco è facile infortunarsi».
Avete giocato anche contro le farfalle della ritmica, non aveva paura di spezzare le gambe a qualche ginnasta?
«Sì, ma in realtà cercavano loro il contrasto. Sono meno fragili di quello che sembra».
Oltre a religiosa, insegnante e calciatrice, da due anni lei è assistente del Csi Vicenza. Che ruolo è, che cosa fa esattamente?
«L’assistente Csi ricorda a tutti quali sono i principi del Vangelo. Le scelte che si prendono in presidenza devono seguire la linea del Vangelo. La persona la centro, prima di tutto. Iniziamo le riunioni sempre con una riflessione, ora stiamo lavorando sul Sinodo».