Papa Pio XI – Era il 10 Febbraio del 1939 quando papa Pio XI concluse il sui pontificato mettendo fine alla sua vita terrena.
Ricostruiamo la sua intensa storia negli eventi principali della sua vita.
E’ stato il 259° successore di S. Pietro alla guida della Chiesa di Cristo, il suo fu il pontificato del primo difficile dopoguerra, del sorgere e consolidarsi delle ideologie fasciste e naziste e terminò con l’angoscia di vedere approssimarsi sull’Europa e sul mondo, la grande catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, che scoppiò sette mesi dopo la sua morte.
La profonda competenza negli studi portò Ratti all’attenzione di papa Leone XIII. Nel giugno 1891 e nel 1893 fu così invitato a partecipare ad alcune missioni diplomatiche al seguito di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia. Ciò avvenne su segnalazione dello stesso Radini-Tedeschi, il quale aveva studiato con Ratti presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma.
Nell’agosto 1882 fu nominato parroco sostituto di Barni, ove ancora oggi è affissa una targa in suo onore nella chiesa parrocchiale dedicata all’Annunciazione.
Nel 1888 entrò a far parte del collegio dei dottori della Biblioteca Ambrosiana, per diventarne prefetto nel 1907. Il 6 marzo 1907 fu nominato prelato di Sua Santità con il titolo di monsignore.
Intanto nel 1894 era entrato a far parte degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, un istituto di sacerdoti secolari profondamente milanese, radicato nella spiritualità di san Carlo Borromeo e sant’Ignazio di Loyola. Agli esercizi spirituali ignaziani don Ratti resterà sempre legato, ad esempio mediterà gli esercizi del 1908, del 1910 e del 1911 presso i gesuitidi Feldkirch, in Austria.
Chiamato da Pio X a Roma, fu socio del Circolo San Pietro, fu nominato l’8 novembre 1911 viceprefetto con diritto di successione e, il 27 settembre 1914, regnante Benedetto XV, prefetto della Biblioteca Vaticana
Nel 1918 papa Benedetto XV lo nominò visitatore apostolico per la Polonia e la Lituania e successivamente, nel 1919, nunzio apostolico(cioè rappresentante diplomatico presso la Polonia) e all’età di 62 anni fu elevato al rango di arcivescovo con il titolo di Lepanto. Scelse come suo segretario don Ermenegildo Pellegrinetti, dottore in teologia e diritto canonico e soprattutto poliglotta, che tenne un diario della missione in Polonia di mons. Ratti.
La sua missione lo portò ad affrontare la difficile situazione verificatasi con l’invasione sovietica nell’agosto del 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini dopo la I Guerra Mondiale. Ratti chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all’assedio ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio, cosa che fece dopo che si erano ritirate tutte le altre postazioni diplomatiche. Fu in seguito nominato Alto Commissario ecclesiastico per il plebiscito nell’Alta Slesia, plebiscito che si doveva svolgere tra la popolazione per scegliere fra l’adesione alla Polonia o alla Germania. Nella regione era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall’arcivescovo di Breslavia cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l’imparzialità in occasione del plebiscito.
Il compito specifico di Ratti, infatti, era quello di richiamare alla concordia il clero tedesco e quello polacco e, tramite costoro, la popolazione tutta. Avvenne però che l’arcivescovo Bertram vietò ai sacerdoti stranieri della sua arcidiocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Inoltre Bertram fece sapere di avere avuto l’appoggio della Santa Sede: il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, aveva dato l’appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informare però Ratti. Non solo Ratti dovette subire questo sgarbo, ma vide scatenarsi contro di lui la stampa polacca, che lo accusava, ingiustamente, di essere filotedesco. Fu pertanto richiamato a Roma e il 4 giugno 1921 Ratti lasciò la Polonia.
Un suo successo fu ottenere la liberazione di Eduard von der Ropp, arcivescovo di Mahilëŭ, arrestato dalle autorità sovietiche nell’aprile del 1919 con l’accusa di attività controrivoluzionaria e rilasciato nell’ottobre dello stesso anno. Nei primi mesi del 1920 compì un lungo viaggio diplomatico in Lituania, recandosi in pellegrinaggio nei luoghi più cari ai cattolici lituani, e in Lettonia. In quest’ultimo Stato gettò le basi del futuro concordato, che sarà il primo concordato da lui concluso dopo l’ascesa al pontificato. Si occupò anche della diocesi di Riga, da poco ristabilita, che subiva una grande penuria di clero e l’assenza di ordini religiosi; si progettava anche l’elevazione ad arcidiocesi.
Tuttavia nell’ottobre 1921, una volta divenuto arcivescovo di Milano, dall’Università di Varsavia ricevette la laurea honoris causa in teologia. In questo periodo nel cardinale Ratti probabilmente si venne a formare la convinzioneche il pericolo principale dal quale la Chiesa cattolica si doveva difendere fosse il bolscevismo. Di qui la cifra che spiega il suo operato successivo: la sua politica sociale volta a contendere le masse al comunismo e ai nazionalismi.
Nel concistoro del 13 giugno 1921 Achille Ratti fu nominato arcivescovo di Milano e lo stesso giorno fu creato cardinale del titolo dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.
Prese possesso dell’arcidiocesi l’8 settembre. Nel suo breve episcopato dispose che il Catechismo di Pio X dovesse essere l’unico usato nell’arcidiocesi, inaugurò l’Università Cattolica del Sacro Cuore e iniziò la fase diocesana della causa di canonizzazione di padre Giorgio Maria Martinelli, il fondatore degli Oblati di Rho.
Achille Ratti fu eletto papa il 6 febbraio 1922 alla quattordicesima votazione di un conclave contrastato. Gli elettori erano in effetti divisi in due fazioni: da un lato i “conservatori”, che puntavano sul cardinale Merry del Val (ex Segretario di Stato sotto papa Pio X), dall’altro i “liberali”, riuniti nella preferenza per il Segretario di Stato uscente, cardinale Pietro Gasparri. La convergenza sul nome del cardinale lombardo risultò dunque frutto di un compromesso.
Una volta accettata l’elezione e scelto il nome, Pio XI, rivestito dell’abito corale, chiese di potersi affacciare dalla loggia esterna della basilica vaticana (in luogo di quella interna utilizzata dai suoi tre ultimi predecessori): la possibilità gli fu accordata e, una volta recuperato uno stendardo per adornare il balcone (nello specifico quello di Pio IX, il più recente tra quelli a disposizione), il nuovo pontefice poté presentarsi alla folla raccolta in Piazza San Pietro, alla quale impartì una semplice benedizione Urbi et Orbi, senza tuttavia pronunziare alcuna parola.
La scelta di presentarsi con lo sguardo rivolto verso la città di Roma e non entro le mura vaticane indicò la sua volontà di risolvere la questione romana, con l’irrisolto conflitto tra i suoi ruoli di capitale d’Italia e sede del potere temporale del papa. Significativamente, dagli astanti accorsi dinnanzi alla basilica petrina si levò il grido Viva Pio XI! Viva l’Italia.
Nel febbraio 1939 Pio XI convocò a Roma tutto l’episcopato italiano in occasione del I decennale della “conciliazione” con lo Stato Italiano, del XVII anno del suo pontificato e il 60º anno del suo sacerdozio. Nei giorni 11 e 12 febbraio egli avrebbe pronunciato un importante discorso, preparato da mesi, che sarebbe stato il suo testamento spirituale e dove, probabilmente, avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del governo fascista e le persecuzioni razziali in Germania. Tale discorso è rimasto segreto fino al pontificato di papa Giovanni XXIII quando nel 1959 vennero pubblicate alcune parti. Egli infatti morì per un attacco cardiaco dopo una lunga malattia,nella notte del 10 febbraio 1939. È ormai assodato che il testo del discorso fu fatto distruggere per ordine di Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e responsabile di gestire il Vaticano nell’attesa della nomina di un nuovo papa.
Nel settembre 2008, un congresso organizzato a Roma dalla Pave The Way Foundation sull’operato di Pio XII nei confronti degli ebrei ha riportato la questione dei rapporti tra il Vaticano e le dittature totalitarie nell’interesse dei media. Un’ex dirigente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, Bianca Penco (vicepresidente della federazione tra il 1939 e il 1942 e presidente nazionale insieme a Giulio Andreotti e Ivo Murgia tra il 1942 e il 1947), ha rilasciato un’intervista al Secolo XIX in cui parla della questione. Secondo il racconto della Penco, Pio XI avrebbe ricevuto alcuni esponenti di spicco della federazione nel febbraio del 1939, annunciando a questi che aveva preparato un discorso che era intenzionato a tenere l’11 febbraio, in occasione del decennale del Concordato: questo discorso sarebbe stato critico nei confronti del nazismo e del fascismo, e avrebbe anche contenuto riferimenti alle persecuzioni dei cristiani che in quegli anni avvenivano in Germania.
Il papa, secondo l’intervista, avrebbe dovuto anche annunciare un’enciclica contro l’antisemitismo, intitolata Humani generis unitas. Ma Achille Ratti morì la notte prima, il 10 febbraio e Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e dopo poco meno di un mese eletto al pontificato come papa Pio XII, avrebbe deciso di non divulgare il contenuto di questi documenti. La Penco afferma anche che dopo la morte di papa Ratti, alle richieste dei rappresentanti della FUCI di avere informazioni sul destino del discorso che avevano potuto osservare in anteprima, l’esistenza stessa di questo sarebbe stata negata. In realtà, la cosiddetta “enciclica nascosta” era già stata commissionata da Pio XI al gesuita LaFarge e ad altri due estensori. Lo schema di enciclica, a causa del ritardo con cui arrivò a Pio XI, non trovò papa Ratti nelle condizioni di salute idonee affinché potesse leggerla e promulgarla. Infatti morì pochi giorni dopo che lo schema pervenne sul suo tavolo.
Pio XII, suo successore, non ritenne di promulgarla non certo per simpatie verso il fascismo e il nazismo, ma perché quello schema di enciclica conteneva, insieme a una chiara e netta condanna di ogni forma di razzismo e in particolare del razzismo antisemita, anche una riconferma del tradizionale antigiudaismo teologico che, sebbene nulla avesse a che fare, come ritiene la studiosa ebrea Anna Foa, con l’antisemitismo moderno le cui origini sono invece darwiniane, positiviste e teosofiche, avrebbe potuto essere facilmente strumentalizzato dal regime nazista. Se papa Pacelli avesse pubblicato integralmente quello schema di enciclica, sarebbe stato poi accusato di avere prestato argomenti teologici al razzismo hitleriano. Invece, Pio XII, ad ulteriore dimostrazione della sua ferma opposizione al nazismo e ad ogni forma di razzismo, riprese la parte antirazzista di quella “enciclica nascosta” e la inserì nella sua prima enciclica, quella contenente il programma del suo appena iniziato pontificato, la Summi Pontificatus del 1939.
Sulla base di un presunto memoriale del cardinale Eugène Tisserant ritrovato nel 1972, prese corpo la leggenda che Pio XI fosse stato avvelenato per ordine di Benito Mussolini, il quale avendo avuto sentore della possibilità di essere condannato e forse scomunicato avrebbe incaricato il medico Francesco Petacci, padre di Clara Petacci, di avvelenare il Pontefice. Questa teoria venne seccamente smentita dal cardinale Carlo Confalonieri, segretario personale di Pio XI. Questa teoria è stata inoltre esclusa dalla studiosa Emma Fattorini, reputando la tesi come un eccesso di immaginazione che non ritrova il minimo riscontro.