Siria – Vaticano – A sei anni dal rapimento del gesuita, avvenuto a Raqqa, in Siria, la famiglia in una conferenza stampa chiede che non si dimentichi il dolore del popolo siriano e si faccia il possibile per giungere alla verità sulla sorte di padre Paolo Dell’Oglio.
PREGARE e CREDERE
Verità e speranza sono le rocce alle quali Immacolata, Francesca e Giovanni Dall’Oglio si aggrappano da sei anni, dal 29 luglio 2013, da quando non si hanno più notizie di padre Paolo, gesuita, fondatore del monastero siro-cattolico di Mar Musa, fatto rinascere proprio dal religioso nel 1982. Nella conferenza stampa presso l’Associazione Stampa Estera, a Roma, i famigliari hanno raccontato le alterne tappe della vicenda, segnata da tante voci che negli anni si sono rincorse: dalla morte di padre Dall’Oglio che sarebbe avvenuta proprio a Raqqa dopo il suo sequestro, alla prigionia a Baghouz, sempre in Siria.
Nella conferenza stampa, i fratelli di padre Paolo hanno ribadito di non sapere se è vivo o morto, ma di confidare ciecamente nella speranza di riabbracciarlo. “Il silenzio – ha spiegato Immacolata Dall’Oglio – non vuol dire che Paolo non ci sia più. Il contesto siriano è particolare, è tutto possibile, in passato ci sono state lunghe prigionie che si sono concluse in modo positivo”. A dare forza alla famiglia anche la carezza di Papa Francesco, incontrato il 30 gennaio scorso a Santa Marta, “un incontro riservato – ha affermato la sorella Francesca – con parole di vicinanza e affetto profondo per nostra madre. Parlare con il Papa ci ha dato fiducia, ci ha donato la speranza cristiana”. “Un gesto forte e coraggioso” è l’aver scritto, secondo Francesca Dall’Oglio, al presidente siriano Assad perché, in questo modo, il Pontefice si è fatto interprete del dolore siriano.
INDAGARE
La richiesta della famiglia a chi sa qualcosa su padre Paolo è di parlare, indagare a fondo, spingersi fino a Raqqa che ora è stata liberata dalla presenza del sedicente Stato Islamico. Una richiesta che arriva dopo momenti difficili come il ritrovamento di una valigia appartenuta al gesuita, contenente effetti personali, e consegnata ai famigliari solo 4 anni dopo. “Cruciale”, secondo le sorelle e i fratelli di padre Paolo, è la questione dei rapiti; risolverla aiuterebbe a pacificare la Siria.
La speranza
“Siamo qui per sperare ancora”, ha detto Giovanni Dall’Oglio, dottore per il Cuamm – Medici per l’Africa, “Paolo si arrabbierebbe perché non vorrebbe che si parlasse soltanto di lui e non della Siria”. Una speranza sempre viva, forte, “che – ha affermato Immacolata – a volte va e a volte viene ma possiamo dire che tutti noi, guardando quello che è successo, siamo diventati malati di speranza”.