Se le nozze le fissa il commercialista
Nel salotto de la vita in diretta l’altro ieri pomeriggio hanno affrontato, con la solita fulminea rapidità dettata dai tempi televisivi mordi e fuggi, l’argomento matrimoni e divorzi. A commentare gli ultimi dati istat c’erano Simona Izzo, Gian Ettore Gassani, Vira Carbone e Carmen Di Pietro (che totalizzavano 7 matrimoni in 4, con una ragguardevole media di 1.75 matrimoni a testa, ma si sa che le persone dello spettacolo alzano la media).
Nel 2015 i matrimoni sono aumentati, ma i divorzi sono schizzati in su con un +57% rispetto al 2014, evidentemente a causa della novella legge sul divorzio breve. Gli ospiti, con la leggerezza che si addice ad uno studio televisivo come questo, hanno sparato in libertà diverse impressioni personali sul tema: si è detto che sposarsi giovani è un male, perché il matrimonio è un impegno serio, per cui l’aumento dell’età media per convolare a nozze è una cosa buona; bisogna sposarsi quando arriva il momento giusto, salvo poi che questo momento giusto non lo sa definire nessuno.
Fino ai 45 anni è più la donna che chiede il divorzio, dopo i 65 invece è l’uomo, che viene preso dalla sindrome di Peter Pan e vuole rifarsi una vita. La crisi del settimo anno non esiste più: tutte le età sono buone per sfasciare un’unione.
E poi il capitolo figli: l’avvocato in studio dice che spesso sono la causa che fa scoppiare un matrimonio, non sono affatto un collante (e lo dice rifacendosi a delle statistiche personali, essendo divorzista). Spesso su come educare i figli i coniugi si trovano in disaccordo e così emergono delle conflittualità impreviste su argomenti che (evidentemente) non erano stati mai presi in considerazione (e qui si ritorna al capitolo il matrimonio è una cosa seria, da fare non solo al momento giusto ma anche dopo il giusto percorso di approfondimento della conoscenza reciproca, soprattutto conoscenza dei valori altrui).
In ultimo è stato affrontato il tema della crisi economica: è difficile vivere insieme quando la pagnotta è poca e c’è da fare i conti con le bollette, l’affitto, il mutuo. Insomma, l’armonia a due nelle avversità è messa alla prova, l’ansia e le preoccupazioni logorano i singoli e, di riflesso, le relazioni.
Un’intervista alla gente per strada ha fatto emergere anche la novella e simpaticamente contradditoria ipotesi che ci si sposi di più perché si divorzia più facilmente, grazie alla legge sul divorzio breve: in sostanza, il concetto di amore eterno è svanito, non solo dal panorama dei vips (e questo è vero da un pezzo), ma anche tra il popolo. L’amore è una cosa così bella e importante, da preservare, inseguire, sognare, che non può restare imbrigliata nei lacci stretti di un didascalico matrimonio. Quando la realtà non collima più con la fantasia, rottamiamo la realtà.
Insomma, in cinque minuti di dibattito sono emerse tutte le contraddizioni della nostra società alla voce matrimonio: da una parte 3 donne benestanti, lontane dai problemi della gente comune e dall’altra l’avvocato divorzista col suo pragmatismo, a generare stupore su stupore nello snocciolare i suoi dati.
Novantenni che vogliono il divorzio per rifarsi una vita, accanto ad anziani che sposano le badanti per garantire loro la reversibilità. E poi, oltre ai matrimoni di convenienza, adesso abbiamo i divorzi di convenienza: in Italia essere sposati è fiscalmente più oneroso che convivere e questo lo hanno scoperto già in parecchi, che si separano per finta, nonostante ciò venga ritenuta dalla finanza una vera e propria evasione fiscale e sia quindi un reato perseguibile.
Si separano soprattutto i ceti medio bassi, quelli che vogliono intestarsi la casetta al mare come prima casa per non farsi rovinare dalle tasse, quelli che hanno i figli da far accettare al nido e salire un po’ di graduatoria. Insomma, sono escamotage fiscali che la guardia di finanza persegue e sanziona. In studio si è sollevato un coro di disapprovazione per costoro, mostrando grande disprezzo per chi semplicemente cerca di essere parificato ai conviventi, categoria vastissima non stigmatizzata da nessuno, ma si sa che il divorzio di convenienza è un tema scottante da quando il parlamento ha approvato la legge sulle unioni civili: uno degli argomenti forti della propaganda a favore era proprio il fatto che le coppie omosex fossero discriminate rispetto agli etero perché non potevano accedere ai vantaggi dell’istituto matrimoniale. Dire ora che tali vantaggi non esistono sarebbe come ammettere l’inganno.
L’unico vantaggio effettivamente esistente è la solita reversibilità della pensione, che è anche l’argomento che meno interessa alle coppie davvero unite, per le quali l’orizzonte di un futuro senza l’altro spesso non è nemmeno preso in considerazione. L’avvocato in studio ha infatti confermato come le coppie che si separano per finta sono sempre molto unite, non temono affatto che la finzione si tramuti in realtà.
Il problema sostanziale è che, anche senza inserire nel dibattito le unioni civili e le nuove coppie di amici sposati solo per la pensione di reversibilità, gli italiani non sanno più cosa sia il matrimonio: la Chiesa è stata estromessa dal discorso già da un pezzo (i matrimoni religiosi sono in costante calo) e lo Stato non si fa garante di nulla di fronte alle nuove coppie, non riconosce loro alcun privilegio in cambio del grande servizio che forniscono alla collettività in termini di natalità e welfare familiare, anzi, ne osteggia in tutti i modi la stabilità.
La precarietà lavorativa, la crisi abitativa, la demonizzazione della maternità sono ostacoli psicologici prima che materiali alla formazione di nuove famiglie: gli unici modelli matrimoniali che vediamo sbandierati sono quelli multipli dei vips, come se un matrimonio fosse un viaggio in crociera, più ne fai e meglio è.
I diritti individuali sono esasperati a tal punto da diventare contradditori persino con la natura sociale dell’uomo: allora in soccorso della palese distonia arriva la teoria che l’amore è bellissimo, ma è solo un sentimento e vola qua e là come una foglia al vento, da inseguire.
È evidente che i nostri politici, europei ed italici, hanno un piano, un’ideale di società diverso da quello che ci hanno tramandato i nostri progenitori: la famiglia intesa come cellula base della società non è più necessaria, bastano gli individui, soli e consumatori, da movimentare e gestire come massa liquida. Il ricambio generazionale verrà garantito dalla massiccia immigrazione.
E mi sembra che un po’ ci stanno convincendo, perché quando diciamo stizziti che è meglio non sposarsi perché non conviene ci siamo già fatti fregare, siamo scivolati nella logica del denaro invece che in quella dei valori.
Gli italiani stanno abbandonando il forte della tradizione, rinunciando al sogno dei fiori d’arancio e ripiegando su una visione esclusivamente in chiave fiscale del matrimonio, un puro calcolo a tavolino. Se sposarsi o no ve lo dirà il commercialista.
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L.Scozzoli