San Tommaso apostolo – “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»”. (Gv 20. 24 – 29)
Significa “gemello” il nome Tommaso in aramaico; inoltre il soprannome con cui era noto l’apostolo – Didimo – in greco ha lo stesso significato. Non sappiamo, però, se San Tommaso, forse pescatore e uno dei primi a lasciare tutto per seguire Gesù, avesse un fratello. Venerato come Santo da cattolici, ortodossi e copti, le sue spoglie si trovano nella chiesa di Ortona a lui dedicata.
I Vangeli canonici in cinque passi documentano i tre anni in cui san Tommaso fu discepolo di Gesù. Gli Atti degli Apostoli parlano del periodo che intercorre tra la Pentecoste e l’inizio della Evangelizzazione degli Apostoli nel mondo. Dagli scritti apocrifi si possono ricavare indicazioni utili sull’ultimo segmento della vita di Tommaso. Ci riferiamo agli Atti riconducibili al III secolo e al Vangelo di Tommaso del II secolo.
In genere quando si parla di San Tommaso si comincia dalla fine: da quando, cioè, dopo la Resurrezione, non essendo presente all’apparizione di Gesù agli apostoli, non crederà a quanto loro gli raccontano. Ma questo non deve far pensare che Tommaso sia un credente tiepido o, peggio, un peccatore. È solo un uomo la cui fede, profonda, è comunque messa a dura prova dalla vita e lui non lo nasconde: esprime i suoi dubbi, fa a Cristo le domande che gli occupano il cuore. Quando, ad esempio, Gesù vuole tornare a Betania dove è morto il suo amico Lazzaro e i discepoli hanno paura perché in Giudea il clima è tutt’altro che favorevole, è Tommaso a non avere dubbi, tanto da dire: “Andiamo a morire con lui”. Anche durante l’Ultima Cena, quando Cristo racconta di preparare un posto per ognuno nella Casa del Padre, Tommaso è disorientato, chiede al Signore dove va e come si può conoscere la via e allora Gesù risponde: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”.
E arriviamo così al noto episodio dell’incredulità di Tommaso. Tutta la comunità degli apostoli è scossa dalla perdita di Gesù e dalla violenza della sua morte, ma Gesù è risorto e subito appare ai suoi per tranquillizzarli. Tommaso non c’è e al racconto degli altri non crede: forse per quella sua testardaggine innata, forse perché è dispiaciuto di non essere stato presente, ma esige di toccare con mano le ferite dei chiodi e quella del costato. È un uomo, in fondo. Gesù lo accontenta, tornando otto giorni dopo. Tommaso allora gli crederà subito, tanto da chiamarlo “Mio Signore e mio Dio”, come nessuno ancora aveva mai fatto. Gesù, infine, fa una promessa che è per tutta l’umanità, fino alla fine dei tempi: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”.
<L’apostolo Tommaso partì dalla Palestina, attraversò la via di Damasco, ove si fermò per dirigersi in Siria e Mesopotamia, fino a raggiungere l’India settentrionale, che corrisponde all’odierno Pakistan. A Damasco, collegata alla Palestina da una importaTommaso con Gesù (dipinto)nte strada imperiale romana, l’apostolo soggiornò per alcun tempo ed evangelizzò le persone del luogo. Ancora oggi a Damasco, è visibile la porta più antica della città intitolata a san Tommaso, presso cui, intorno al IV VII secolo, fu costruita una chiesa dedicata appunto all’Apostolo. Non molto lontano il monastero di Deir Mar Touma, risalente al V secolo e successivamente andato distrutto, è oggetto di studi da parte di impegnati e noti ricercatori. Il sito ancora oggi è un luogo di devozione verso l’Apostolo.
Secondo Origene e la tradizione, Tommaso evangelizzò, intorno al 42- 49, i Parti, i Medi, i Persiani e gli Ircani, popoli confinanti e in relazione con l’India. Oggi i cristiani di san Tommaso dell’India si ritengono evangelizzati da san Tommaso.
Gli Acta Tomae, scritti originariamente in siriaco ad Edessa probabilmente alla scuola di Bardesane, gnostico del terzo secolo, sono giunti fino a noi con diverse interpolazioni e rifacimenti latini, quali il De Miraculis B. Thomae apostoli di san Gregorio di Tours e la Passio sancti Thomae. Gli Atti di Tommaso, pubblicati dalla collana biblica della casa editrice Marietti nel 1965, sono divisi in tredici capitoli e si chiudono con l’ultimo che parla del martirio di san Tommaso. Diamo una rapida sintesi. Nel primo Atto l’apostolo riceve per sorteggio l’evangelizzazione dell’India. Tommaso si rifiuta, perciò gli appare il Cristo che lo incoraggia. In India, l’apostolo incontra il mercante Habban, inviato dal re Gundaphor alla ricerca di un architetto, e continua la sua strada con lui. Tommaso e il mercante giungono ad Andrapoli e assistono alle nozze della figlia del re del luogo. Alla fine del pranzo l’apostolo intona un inno in ebraico nel quale invita gli sposi a vivere in castità. Gli sposi accettano, il re è furente e cerca i due presunti colpevoli, ma essi sono già saliti su una imbarcazione. Alla corte di Gundaphor (Atto II) Tommaso riceve l’incarico di costruire il palazzo, come presunto architetto. Esegue il lavoro, riceve il relativo compenso e poi lo distribuisce integralmente ai poveri. Il re si indigna e ordina di gettare in prigione Tommaso e il mercante per farli morire bruciati vivi. Durante la notte, muore il fratello del re , ma gli angeli lo riportano in vita e fanno capire al re che Tommaso ha costruito un palazzo celeste, non solo uno di mattoni. Gundaphor e il fratello si convertono, vengono battezzati e comunicati. Da quel momento le conversioni diventano sempre più numerose. Negli altri capitoli seguono i racconti dei miracoli e i tentativi di persecuzione operati dal re Mazdai verso l’apostolo. Nell’ottavo e ultimo capitolo, Tommaso, trasportato su un alto monte, finisce ucciso a colpi di lancia dai bramini e il suo corpo trasportato ad Edessa. Gli antichi martirologi siriaci hanno identificato la data del martirio nel 3 luglio del 68. I cristiani del Coromandel ritengono l’anno 72 la data del martirio.
Ignazio Ortiz de Urbina il 29 dicembre 1953 nell’ateneo urbaniano de Propaganda Fide sostenne che nella Chiesa primitiva si seppe che san Tommaso era scomparso oltre l’Eufrate e il Tigri alla volta della Partia e che posteriormente arrivò un’eco sia pure generica della sua attività apostolica nell’India.
Secondo la tradizione orientale e alcune fonti di quella occidentale, intorno al 50, Tommaso tornò a Gerusalemme, dove si tenne il primo il primo concilio, anche se il suo nome non risulta menzionato negli Atti (canonici) degli Apostoli. Successivamente Tommaso riprese il secondo viaggio missionario nel quale trovò il martirio.
Ancor oggi, in India, a Chennai (l’antica Madras), una croce con iscrizione in antico persiano del VII secolo, ricorda il luogo dove, si dice, venne ucciso.
Interessante cononoscere i dettagli del Cammino di San Tommaso. Il tracciato del “Cammino di San Tommaso” attraversa gli Appenini, da Roma all’Adriatico, con un percorso che unisce fede e natura, cultura e tradizione. Il Cammino di San Tommaso è un antico tracciato spirituale e naturalistico che collega Ortona, a Roma. Nello specifico questo itinerario unisce la città di Roma, partendo dalla Basilica di San Pietro, a Ortona, dove dal 1258 sono custodite delle spoglie dell’Apostolo Tommaso. Il tracciato della lunghezza di circa 320 km percorre l’Abruzzo attraversando luoghi di estrema bellezza. Nella regione sono presenti numerosi abbazie, eremi e chiese che preservano l’antica spiritualità cristiana.
Il Cammino di san Tommaso risale ad un tipo di pellegrinaggio relativamente più recente rispetto ai pellegrinaggi che si compivano nel medioevo verso Roma o verso Santiago de Compostela in Spagna. Questo cammino riprende le tracce di Santa Brigida di Svezia che attorno al 1367 raggiunse la città di Ortona. La santa Svedese difatti raggiunse Ortona quando venne a conoscenza della presenza dei resti di san Tommaso all’interno della Cattedrale della città abruzzese.
Dai racconti dell’epoca sappiamo che Brigida raggiunse la tomba del santo Apostolo e Patrono di Ortona almeno due volte. In ricordo del passaggio della santa le venne dedicata una chiesa nella città di Arielli oltre alla installazione di un cippo nelle vicinanze di Porta Caldari ad Ortona, a testimonianza del famoso pellegrinaggio della santa alle spoglie dell’Apostolo.
Questo pellegrinaggio è aperto a tutti ed a qualsiasi intenzione. Propone in veste moderna un antico modo di viaggiare dei pellegrini, un tempo a piedi o a cavallo, oggi anche in bicicletta.
I punti di riferimento sono l’antica strada consolare Tiburtina Valeria che un tempo conduceva fino al mare Adriatico. Il percorso è percorribile da Roma verso Ortona o naturalmente anche viceversa. Il sentiero è colmo di interessanti tratti naturalistici sia nella parte abruzzese che in quella laziale.
Si attraversano luoghi suggestivi come: il Parco Naturale Regionale dei Castelli Romani, il Parco Naturale dei Monti Simbruini, il Parco Naturale Sirente-Velino, il Parco del Gran Sasso e Monti della Laga e il Parco Nazionale della Majella.
E’ molto bello percorrere in Cammino con piccole tappe per assaporare a pieno il paesaggio e contemplare paesi come Subiaco, Genazzano, Lariano e Albano Laziale e quelli abruzzesi di Orsogna, San Martino sulla Marrucina Pretoro, Torre dei Passeri, Manoppello, Pescosansonesco, Capestrano, Bominaco, Fontecchio, Rocca di Mezzo, Massa d’Albe, Tagliacozzo e Cappadocia.
Ma come giunsero le spoglie di San Tommaso ad Ortona?
L’isola di Chios, compresa nell’arcipelago delle Sporadi e vicinissima alla costa turca, nell’antichità fu fiorente città della Ionia d’Asia e vanta di aver dato i natali ad illustri uomini, quali i poeti Omero e Ione, lo storico Teopompo e il filosofo Metrodoro. Conquistata dai romani nel 70 a. C. successivamente fece parte dell’Impero bizantino. Fu saccheggiata dagli Arabi nell’VIII secolo e dai Turchi nel 1089.
Dal 1204, inserita nell’Impero latino d’Oriente, poco dopo divenne oggetto di contesa tra Venezia e Genova, che cominciò lo sfruttamento nel 1261. I Turchi la conquistarono nel 1566.
il pio Leone salpa da ChiosTre galee ortonesi raggiunsero l’isola di Chios nel 1258. L’impero bizantino era in crisi, il regno di Nicea sostenuto dai Greci tentava di strapparle il primato. Manfredi, principe di Taranto e futuro re di Puglia e di Sicilia, legato per accordi al despota dell’Epiro, e al re di Gerusalemme suo nipote, aveva favorito degli accordi, con documentazioni giunte fino a noi, non solo con tutte le città portuali dell’Adriatico Ortona compresa, ma anche con la stessa Genova, nemica dichiarata di Venezia. Manfredi aspirava non solo a conquistare l’Italia settentrionale, come in parte fece, ma anche a diventare imperatore d’Oriente. A tale scopo preparò una flotta di cento galee militari e affidò il comando al suo grande ammiraglio Filippo Chinardo. La flotta raggiunse Nauplia di Romània e poi si divise. Una parte combatté intorno al Peloponneso e alle isole dell’Egeo, l’altra nel mare che lambiva la costa siriana di allora. Le tre galee di Ortona si spostarono sul secondo fronte di guerra e raggiunsero l’isola di Chios. Il racconto che segue è fornito da Giambattista De Lectis, medico e scrittore ortonese del Mille e cinquecento. Dopo il saccheggio, il navarca ortonese Leone si recò a pregare nella chiesa principale dell’isola di Chios e fu attratto da un oratorio adorno e risplendente di luci. Un anziano sacerdote, attraverso un interprete lo informò che in quell’oratorio si venerava il Corpo di san Tommaso apostolo. Leone, pervaso da una insolita dolcezza, si raccolse in preghiera profonda. In quel momento una mano luminosa per ben due volte lo invitò ad avvicinarsi. Il navarca Leone allungò la mano ed estrasse un osso dal foro più grande della pietra tombale, su cui erano incise delle lettere greche e raffigurato un vescovo nimbato a mezzo busto. Ebbe la conferma di quanto gli aveva detto l’anziano sacerdote e di trovarsi effettivamente in presenza del corpo dell’Apostolo. Tornò sulla galea e progettò il furto per la notte successiva, insieme al compagno Ruggiero di Grogno. I due così fecero. Sollevarono la pesante lapide e osservarono le reliquie sottostanti. Le avvolsero in candidi panni, le riposero in una cassetta di legno ( conservata ad Ortona fino al saccheggio del 1566) e le portarono a bordo della galea. Leone, poi, insieme con altri compagni, tornò nuovamente nella chiesa, prese la pietra tombale e la portò via. Appena l’ammiraglio Chinardo venne a conoscenza del prezioso carico trasferì tutti i marinai di fede musulmana su altre navi e ordinò di prendere la rotta verso Ortona.
il pio Leone approda ad Ortona. La galea che recava le Ossa dell’Apostolo navigò in modo più sicuro e veloce delle altre ed approdò al porto di Ortona il 6 settembre 1258. Secondo il racconto di De Lectis, fu informato l’abate Iacopo responsabile della Chiesa ortonese, il quale predispose tutti gli accorgimenti per un’accoglienza sentita e condivisa da parte di tutto il popolo. Da allora il corpo dell’apostolo e la pietra tombale sono custoditi nella cripta della Basilica. Nel 1259 una pergamena redatta a Bari dal giudice ai contratti Giovanni Pavone, alla presenza di cinque testimoni, conservata a Ortona presso la Biblioteca diocesana, conferma la veridicità di quell’avvenimento, riportato, come detto, anche da Giambattista De Lectis, medico e scrittore ortonese del Cinquecento.
Attualmente, pertanto, abbiamo quattro prove della presenza dell’Apostolo in Ortona:
pietra tombale- 1 la pietra tombale, riconducibile all’arte siro-mesopotamica, è databile al terzo – quinto secolo sia sotto il profilo paleografico sia dal punto di vista iconografico. In essa è raffigurata una immagine a mezzo busto di uomo nimbato e benedicente con ai lati una scritta in caratteri greci onciali (o osios thomas, cioè san Tommaso. Va precisato che il termine osios era usato con il significato di santo solo nei primissimi secoli del Cristianesimo). Nella parte inferiore della lapide, poi, si aprono due fori di diversa dimensione come quelli presenti nelle tombe dei martiri, sempre dei primi secoli, e di san Paolo, per le reliquie da contatto e per le libagioni. Di essa si parla successivamente in modo dettagliato
Pergamena 1259- 2 la pergamena del 1259, conservata presso la biblioteca diocesana di Ortona, venne redatta a Bari dal giudice ai contratti G. Pavone, alla presenza di cinque testimoni. Un’altra pergamena dello stesso notaio, datata 1261 e riportata in un Codice barese, dimostra l’autenticità del documento, oltre la scrittura minuscola cancelleresca, le abbreviazioni ed altri elementi caratteristici del tempo storico di riferimento;
Ricostruzione scheletro San Tommaso- 3 la ricognizione scientifica del 1984 ha accertato che il corpo venerato in Ortona appartiene ad un soggetto longitipo, con ossatura gracile, di aspetto minuto con statura di 160 o 170 centimetri, di età scheletrica alla morte compresa tra i 50 e i 70 anni, affetto da una forma particolare di spondiloartrite anchilopoietica con localizzazioni anche alle piccole articolazioni delle mani, portatore di un piccolo osteoma del cranio in regione frontale e di ossa soprannumerarie lungo una delle suture della volta cranica. Detto individuo mostra le tracce di una frattura dell’osso zigomatico destro provocata da un affilato fendente poco prima o poco dopo il decesso;
Reliquia San Tommaso Bari- 4 La reliquia di San Tommaso apostolo conservata a Bari è un osso radio sinistro, mancante nel corpo di Ortona, complementare e compatibile con lo stesso corpo. Il Cronicon barese chiarisce che un vescovo francese, cugino di Baldovino di Le Bourg signore di Edessa, nel 1102, di ritorno dalla Terra Santa e da Edessa, lasciò a Bari, presso la basilica di San Nicola, la reliquia di san Tommaso apostolo.
La pietra tombale, portata a Ortona da Chios insieme alle reliquie dell’Apostolo, attualmente è conservata nella cripta della Basilica di san Tommaso, dietro l’altare. L’urna contenente le ossa, invece è posta sotto l’altare. La lapide ha le dimensioni di cm. 137 x cm. 48 e lo spessore di cm.52 circa. Dalla tradizione è definita pietra calcedonio.
Essa è il coperchio di un finto sarcofago, forma di sepoltura abbastanza diffusa nel mondo paleocristiano, quale parte superiore di una tomba di materiale meno pregiato.
La lapide presenta un’iscrizione ed un bassorilievo che rinviano, sotto molti punti di vista, all’area siro-mesopotamica. Pietra tombale Tommaso apostolo. Sull’iscrizione è possibile leggere, in caratteri greci onciali, l’espressione o osios thomas, cioè san Tommaso. Essa è databile dal punto di vista paleografico e lessicale al III-V secolo, epoca in cui il termine osios viene ancora usato quale sinonimo di aghios, nel senso che santo è colui che è nella grazia di Dio ed è inserito nella Chiesa: i due vocaboli, di conseguenza, indicano i Cristiani. Nel caso particolare della lapide di san Tommaso, poi, la parola osios può essere agevolmente la traduzione del termine siriaco mar (signore), attribuito nel mondo antico, ma anche ai giorni nostri, sia ad un santo sia ad un vescovo. Con tale termine, pertanto, si voleva indicare l’apostolo come primo vescovo della chiesa locale.
Guardando, tuttavia, con più attenzione l’iscrizione, è possibile notare che sopra le due parole sono tracciati dei segni che rinviano alle indicazioni paleografiche per la presenza di abbreviature per contrazione: in tal caso le parole potrebbero significare il reale san Tommaso.
Al centro della lapide è stato inciso un bassorilievo con l’immagine di un religioso, nimbato, in atto di impartire, con la mano destra, la benedizione (secondo il rito della Chiesa Orientale ed indicante le prime due lettere, in greco, della parola Cristo). Nella sinistra tiene un oggetto solitamente inteso come una croce, ma il patibulum è troppo corto. Dunque potrebbe essere anche una spada, con chiaro riferimento al martirio del Santo. Infatti gli Atti di Tommaso parlano di morte per un colpo di lancia o di spada. L’ultima ricognizione delle ossa del Santo, effettuata nel 1984, ha dimostrato che l’individuo aveva ricevuto un fendente in pieno volto poco prima o immediatamente dopo il decesso. Se invece si vuole attribuire un significato ampiamente teologico, allora possiamo indicare “la spada dello Spirito”, che nell’ottica cristiana, diventa con la croce speculare strumento per il trionfo della forza della Parola.
Iconograficamente, poi, il bassorilievo non discorda dalle caratteristiche artistiche dell’area siro-mesopotamica dei primi secoli dell’era cristiana. Significative, in particolare, sono le somiglianze con l’immagine di Aronne ritrovata nella sinagoga di Doura Europos datata al 250, e di alcune lapidi tombali, databili al I-II secolo, provenienti dall’area cimiteriale di Edessa. Proprio in quella città, oggi Sanliurfa, il corpo del Santo è stato conservato per alcuni secoli, per poi essere trasferito a Chios da dove è giunto in Ortona. L’appartenenza della lapide ad un’area periferica del mondo ellenistico giustificherebbe ampiamente l’uso della parola osios per tradurre il siriaco mar ed il piccolo errore ortografico della parola Thomas, la cui o, in greco, è un omicron e non un omega, come solitamente il nome è scritto correttamente. Nelle aree ellenistiche di lingua semitica, infatti, frequentemente si rintraccia la confusione tra vocale greca lunga e breve: ciò è determinato da diversità di pronuncia e difficoltà di trascrivere termini provenienti da un ceppo linguistico con un sistema vocalico ben diverso. Nella parte bassa della lapide, inoltre, sono presenti due fori di differenti dimensioni, come quelli che si ritrovano in varie sepolture dei primi secoli del Cristianesimo, e in quella di san Paolo, al fine di introdurre balsami o fare libagioni sulla tomba del defunto. Quando si trattava della tomba di un martire, quello più ampio serviva anche per fornire reliquie da contatto.