San Leopoldo – Chi è stato a Padova a visitare i luoghi della sua vita lo porterà sempre nel cuore. Già perchè Leopoldo Mandic, o meglio San Leopoldo Mandic ha una storia tutta da raccontare, un cammono di vita verso l’eternità che è interessante conoscere per poterlo apprezzare. Questo povero me”: così si firmava spesso san Leopoldo Mandic, il piccolo frate cappuccino con un carisma particolare per la confessione. Una infinita umiltà coniugata con una infinita misericordia, questa la straordinaria eredità che risplende nelle lettere e negli scritti, non moltissimi, lasciati dal santo e che viene puntualmente rievocata nelle biografie della sua vita, moltiplicatesi negli anni, dopo la sua morte, avvenuta nel 1942.
Ma la novità è di queste ore: èstato infatti confermato il via libera, da parte della Cei, al conferimento di titolo di “patrono dei malati oncologici” a san Leopoldo. Diventerà il protettore dei malati di tumori, che potranno affidarsi totalmente all’intercessione del piccolo, grande frate, beatificato nel 1976 da Paolo VI e canonizzato da Giovanni Paolo II nell’83, di cui Papa Francesco volle esporre la salma insieme a quella di Padre Pio in Vaticano durante il Giubileo della Misericordia nel 2016, adesso scelto dai vescovi italiani come santo protettore di tutti coloro che soffrono a causa di un cancro. Del resto lui stesso fu malato di un tumore all’esofago, che lo portò alla morte nel 1942.
La 72esima Assemblea generale dei vescovi italiani, riunita a Roma, «ha approvato la costituzione di due santi patroni», il primo dei quali è san Leopoldo Mandić, nuovo «patrono dei malati oncologici».
«Fin dagli anni ’80 del secolo scorso», spiega il testo del comunicato ufficiale diramato ieri, «molti medici, ammalati e loro familiari si sono fatti portavoce del desiderio di poter invocare in modo speciale questo santo per una realtà di sofferenza – il tumore – in questo nostro tempo sempre più diffusa e angosciante. I promotori della richiesta, sostenuti da molti fedeli, hanno sottolineato come san Leopoldo – che ha sofferto molto a causa di questa malattia, affrontandola con serenità, spirito di fiducia e abbandono nella bontà divina – possa essere indicato come un esempio nella prova della malattia e come un intercessore presso Dio per invocare il dono della guarigione».
Se si va in visita al santuario di Santa Croce a Padova, dove visse e morì, dove si conservano le sue spoglie e che è diventano autentico centro della devozione al santo, si capiscono molte cose. Si comprende, prima di tutto, come il desiderio di una moltitudine di suoi fedeli, espresso negli ultimi mesi da una petizione popolare per chiedere appunto che padre Leopoldo diventasse patrono, sia concreto e sostenuto da una profonda fede. Un’intera vasta sala è ricoperta dagli ex voto di persone che hanno recuperato la salute, e a volte la vita stessa, riconoscendo che questo sia avvenuto proprio per intercessione di padre Leopoldo. E quella stessa misericordia che il piccolo, esile fraticello mostrava alle migliaia di penitenti in fila per ore per confessarsi, era riversata sui malati e i sofferenti.
Le biografie ufficiali del santo rivelano che il frate correva subito al capezzale di chi invocava, con il permesso dei superiori, e che persone che non avrebbero mai permesso a un sacerdote di avvicinarsi al proprio letto, appena vedevano il padre si commuovevano e decidevano di confessarsi.
E’ stato definito medico delle anime. E questa sua capacita’ di penetrare nel cuore degli uomini era piu’ che evidente a chi si è accostato alla sua vita e alle sue riflessioni. Nel 1966 il professor Enrico Rubaltelli, noto medico di Padova e penitente del santo, ha scritto una breve biografia del suo confessore, con un sottotitolo significativo:” Un grande clinico dell’anima nella città dei sommi clinici”. E scriveva: “Padre Leopoldo ebbe quello che i medici chiamano l’occhio clinico”, ossia sapeva vedere in fondo ad ogni anima, sapeva individuarne i dolori e le ferite, sapeva trovare i rimedi per curarla. E come scrive monsignor Pietro Brazzale nel suo libro intitolato proprio “Questo povero me. Vivi incontri con San Leopoldo Mandic”, nelle lettere del santo la sua caratteristica di sapiente medico delle anime emerge con particolare chiarezza. Di fronte a dolori, problemi, difficoltà, le sue parole diventano commento ai testi sacri ” presentati con immediatezza, come l’argomento più solido che da’ peso alle sue espressioni di consolazione”, spiega l’autore.
Nel volume “Dall’intimo del mio povero cuore”, pubblicato nel 2015, a cura di Remigio Battel e di Giovanni Lazzara, sono raccolti tutti gli scritti di San Leopoldo, le lettere, le preghiere, le riflessioni teologiche e morali, i contributi ad una rivista francescana. E quel programma di vita cristiana così aderente all’anima di padre Leopoldo qui emerge in tutta la sua cristallina chiarezza: fedele compimento del proprio dovere, fede, preghiera, amore alla Santa Messa e alla Madonna. E poi la sua visione di un ecumenismo autentico, che nasce dallo spirito, quello che potrà portare all’unione delle chiese d’oriente e d’Occidente.
Leopoldo nacque a Castelnuovo di Cattaro (l’odierna Herceg-Novi in Montenegro) il 12 maggio 1866, penultimo dei sedici figli di Pietro Mandić e di Carolina Zarević, famiglia cattolica croata. Al battesimo ricevette il nome di Bogdan Ivan (Adeodato Giovanni). Suo bisnonno paterno Nicola Mandić era oriundo da Poljica, nell’arcidiocesi di Spalato (Split), dove i suoi antenati erano giunti dalla Bosnia, nel lontano secolo XV. A Castelnuovo di Cattaro, all’epoca situato nella Provincia di Dalmazia, a sua volta parte dell’Impero Austriaco, prestavano la loro opera i frati francescani Cappuccini della Provincia Veneta (vi si trovavano fin dal 1688, epoca del dominio della Repubblica di Venezia).
LA VOCAZIONE RELIGIOSA
Frequentando l’ambiente dei frati, in occasione delle funzioni religiose e del doposcuola pomeridiano, il piccolo Bogdan manifestò il desiderio di entrare nell’Ordine dei Cappuccini. Per il discernimento della vocazione religiosa, fu accolto nel seminario cappuccino di Udine e poi, diciottenne, il 2 maggio 1884 al noviziato di Bassano del Grappa (Vicenza), dove vestì l’abito francescano, ricevendo il nuovo nome di “fra Leopoldo” e impegnandosi a vivere la regola e lo spirito di san Francesco d’Assisi.
Dal 1885 al 1890 completò gli studi filosofici e teologici nei conventi di Santa Croce a Padova e del Santissimo Redentore a Venezia. In quegli anni la formazione religiosa ricevuta dalla famiglia ricevette l’impronta definitiva nello studio e nella conoscenza della Sacra Scrittura e della letteratura patristica e nell’acquisizione della spiritualità francescana. Il 20 settembre 1890, nella basilica della Madonna della Salute a Venezia, fu ordinato sacerdote per mano del card. Domenico Agostini.
L’ASPIRAZIONE MISSIONARIA ED ECUMENICA
Di intelligenza aperta, padre Leopoldo Mandić aveva una buona formazione filosofica e teologica e per tutta la vita continuerà a leggere i padri e i dottori della Chiesa. Sin dal 1887, si era sentito chiamato a promuovere l’unione dei cristiani orientali separati con la Chiesa cattolica. Nella prospettiva di un ritorno nella terra natia come missionario, si dedicò all’apprendimento di diverse lingue slave, compreso un po’ di greco moderno. Fece domanda di partire per le missioni d’Oriente nella propria terra, secondo quell’ideale ecumenico, divenuto poi voto, che coltiverà fino alle fine dei suoi giorni, ma la salute cagionevole sconsigliò i superiori dall’accettare la richiesta. Infatti, a causa dell’esile costituzione fisica e di un difetto di pronuncia, non poteva dedicarsi alla predicazione.
I primi anni passarono nel silenzio e nel nascondimento del convento di Venezia, addetto al confessionale e agli umili lavori del convento, con un po’ di esperienza da questuante di porta in porta. Nel settembre del 1897, ricevette l’incarico di presiedere il piccolo convento cappuccino di Zara in Dalmazia. Durò poco la speranza di poter realizzare l’aspirazione alla missione: già nell’agosto del 1900 fu richiamato a Bassano del Grappa (Vicenza) come confessore.
Si aprì un’altra breve parentesi di attività missionaria nel 1905 come vicario del convento di Capodistria, nella vicina Istria, dove sì rivelò subito consigliere spirituale apprezzato e ricercato. Ma, ancora una volta, dopo un solo anno, venne richiamato in Veneto, al santuario della Madonna dell’Olmo di Thiene (Vicenza). Tra il 1906 e il 1909 vi prestò servizio come confessore, salvo una breve parentesi a Padova.
L’ARRIVO A PADOVA
A Padova, al convento di piazzale Santa Croce, padre Leopoldo arrivò nella primavera del 1909. Nell’agosto del 1910, fu nominato direttore degli studenti, cioè dei giovani frati cappuccini che, in vista del ministero sacerdotale, frequentavano lo studio della Filosofia e della Teologia.
Furono anni di intenso studio e dedizione. A differenza di altri docenti, padre Leopoldo – che insegnava Patrologia – si distinse per benevolenza, che qualcuno riteneva eccessiva e in contrasto con la tradizione dell’Ordine. Anche per questo, probabilmente, nel 1914 padre Leopoldo fu improvvisamente sollevato dall’insegnamento. E fu un nuovo motivo di sofferenza.
Così, a partire dall’autunno del 1914, a quarantott’anni di età, a padre Leopoldo venne chiesto l’impegno esclusivo nel ministero della confessione. Le sue doti di consigliere spirituale erano note da tempo, tanto che, nel giro di qualche anno, divenne confessore ricercato da persone di ogni estrazione sociale, che per incontrarlo arrivavano anche da fuori città.
LA GRANDE GUERRA E IL CONFINO NEL SUD D’ITALIA
Fortemente legato alla sua terra d’origine, padre Leopoldo aveva mantenuto la cittadinanza austriaca. Le scelta, motivata dalla speranza che i documenti d’identità favorissero un suo ritorno missionario in patria, si muta però in problema, nel 1917, con la rotta di Caporetto. Come altri ‘stranieri’ residenti in Veneto, nel 1917 fu sottoposto a indagini di polizia e, visto che non intendeva rinunciare alla cittadinanza austriaca, venne mandato al confino nel Sud d’Italia. Nel corso del viaggio, a Roma incontrò anche papa Benedetto XV.
A fine settembre del 1917, raggiunse il convento dei Cappuccini di Tora (Caserta), dove iniziò a scontare il provvedimento di confino politico. L’anno successivo passò al convento di Nola (Napoli) e poi di Arienzo (Caserta). Al termine della Prima guerra mondiale fece ritorno a Padova. Durante il viaggio visitò i santuari di Montevergine, Pompei, Santa Rosa a Viterbo, Assisi, Camaldoli, Loreto e Santa Caterina di Bologna.
DEFINITIVAMENTE A PADOVA
Il 27 maggio 1919 giunse al convento di Cappuccini di Santa Croce in Padova, dove riprese il proprio posto nel confessionale. La sua popolarità aumentò a dispetto del carattere schivo. Gli Annali della Provincia Veneta dei Cappuccini riportano: “Nella confessione esercita un fascino straordinario per la grande cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità della vita. A lui affluiscono non solo popolani, ma specialmente persone intellettuali e aristocratiche, a lui professori e studenti dell’Università e il clero secolare e regolare”.
Nell’ottobre del 1923 i superiori religiosi lo trasferirono a Fiume (Rijeka), dopo che il convento era passato alla Provincia Veneta. Ma, soltanto una settimana dopo la sua partenza, il vescovo di Padova, mons. Elia Dalla Costa, interprete della cittadinanza, invitò il Ministro provinciale dei francescani Cappuccini, padre Odorico Rosin da Pordenone, a farlo ritornare. Così, per il Natale di quell’anno padre Leopoldo, obbedendo ai superiori e congedando il sogno di lavorare sul campo per l’unità dei cristiani, era di nuovo a Padova.
Da Padova non si allontanerà più per il resto della vita. Qui, spenderà ogni momento del suo ministero sacerdotale nell’ascolto sacramentale delle confessioni e nella direzione spirituale.
Domenica 22 settembre 1940, nella chiesa del convento di Santa Croce, si festeggiarono le nozze d’oro sacerdotali, cioè il 50º anniversario dell’ordinazione presbiterale. Le spontanee, generali e grandiose manifestazioni di simpatia e stima a padre Leopoldo fecero chiaramente conoscere quanto vasta e profonda fosse l’opera di bene da lui svolta in cinquant’anni di ministero.
Negli ultimi mesi del 1940 la sua salute andò sempre più peggiorando. All’inizio di aprile 1942 fu ricoverato all’ospedale: ignorava di avere un tumore all’esofago. Rientrato in convento continuò a confessare, pur in condizioni sempre più precarie. Com’era solito fare, il 29 luglio 1942 confessò senza sosta, trascorrendo poi gran parte della notte in preghiera.
All’alba del 30 luglio del 1942, nel prepararsi alla santa Nessa, svenne. Riportato a letto, ricevette il sacramento dell’unzione degli infermi. Pochi minuti dopo, mentre recitava le ultime parole della preghiera Salve Regina, tendendo le mani verso l’alto, spirò.
Fin da quel giorno si poté toccare con mano, in un certo senso, la devozione che intorno a lui si era diffusa e la fama di santo, insieme alla convinzione che, per sua intercessione, si ottenevano grazie e miracoli.
La notizia della morte di padre Leopoldo si diffuse rapidamente a Padova. Per un paio di giorni una folla ininterrotta passò al convento dei Cappuccini per rendere omaggio alla salma del confessore, già santo per molte persone. Il 1º agosto 1942 ebbero luogo i funerali, non nella chiesa dei Cappuccini, ma nella ben più capiente chiesa di Santa Maria dei Servi. Venne sepolto nel Cimitero Maggiore di Padova, ma nel 1963 il corpo venne traslato in una cappella presso la chiesa dei Cappuccini di Padova (Piazza Santa Croce).
Nel 1946 si iniziarono le pratiche per il riconoscimento della sua santità. Papa Paolo VI lo proclamò beato il 2 maggio 1976 e Giovanni Paolo II lo dichiarò santo il 16 ottobre 1983.
Vi è un flusso ininterrotto di pellegrini che giungono a Padova, al convento dei Cappuccini, per cercare un riflesso della sua santità, per chiedere grazie a Dio o la conversione più profonda.
Nel corso degli anni, sono confluite migliaia di testimonianze di “grazie” ricevute per l’intercessione di padre Leopoldo: vicende che spesso rimangono nel segreto delle coscienze, come le conversioni e altre grandi cose che Dio opera; ma anche accadimenti che, interessando i corpi e la salute, si prestano a verifiche esterne.
È il caso di tante guarigioni prodigiose e inspiegabili. Provare e attestare l’autenticità di un fatto prodigioso – e soprattutto definirlo miracolo – è frutto di una accurata procedura d’inchiesta e di un rigoroso esame medico e tra le centinaia di miracoli attribuiti alla sua intercessione, i tre miracoli riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa per la glorificazione di padre Leopoldo sono quelli di Elisa Raimondi, Paolo Castelli ed Elisa Ponzolotto guariti miracolosamente per intercessione di San Leopoldo Mandic.