San Giuseppe- Quando arriva il 19 Marzo non puoi che pensare al papà, ai fortunati che lo sono e magari rivolgere una preghiera a chi non vuole esserlo per scelta.
Giuseppe Il Padre di Gesù è fonte di insegnamento per tutti ed è per questo che oggi cerchiamo di ricostruirne la vita e le opere che soltanto in minima parte ci sono state tramandate.
Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe regale, una nobiltà nominale, perché la vita lo costrinse a fare l’artigiano del paese, a darsi da fare nell’accurata lavorazione del legno. Strumenti di lavoro per contadini e pastori nonché umili mobili ed oggetti casalinghi per le povere abitazioni della Galilea uscirono dalla sua bottega, tutti costruiti dall’abilità di quelle mani ruvide e callose.
Di lui non si sanno molte cose sicure, non più di quello che canonicamente hanno riferito gli evangelisti Matteo e Luca. Intorno alla sua figura si sbizzarrirono invece i cosiddetti vangeli apocrifi. Da molte loro leggendarie notizie presero però le distanze personalità autorevoli quali San Girolamo (347 ca.-420), Sant’Agostino (354-430) e San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Vale la pena di riportare soltanto una leggenda che circolò intorno al suo matrimonio con Maria. In quella occasione vi sarebbe stata una gara tra gli aspiranti alla mano della giovane. Quella gara sarebbe stata vinta da Giuseppe, in quanto il bastone secco che lo rappresentava, come da regolamento, sarebbe improvvisamente e prodigiosamente fiorito. Si voleva ovviamente con ciò significare come dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento fosse rifiorita la grazia della Redenzione.
San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali.
Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano di essere in possesso del suo bastone.
Come Cristo è il cuore del Silenzio-di-Dio e Maria il cuore del Silenzio-Parola-di-Cristo, così Giuseppe, che etimologicamente significa “aggiunto (da Dio)” alla coppia originale, viene a gravitare totalmente nella sfera di questo silenzio sponsale e particolarmente del silenzio della sua dolce Sposa, alla cui ombra esprime e realizza tutta la sua forte e delicata personalità sia come “custode” delle origini esistenziali di Cristo e sia come “protettore” della verginità della sua Sposa.
La personalità di Giuseppe si rivela non solo nella delicatissima decisione di custodire e garantire la verginità perpetua di Maria, ma soprattutto nell’assicurare un futuro dignitoso e sicuro al Bambino, che doveva nascere, secondo il disegno di Dio, proprio a Betlemme, dalla radice di Iesse, da cui lui discendeva (Mt 1, 20; Lc 1, 27). Con quali sentimenti dovette condurre la sua Sposa incinta dalla Galilea in Giudea, per adempiere al dovere del censimento, dove si realizzerà la profezia di Michea: “E tu Betlemme, così piccola per essere un capoluogo di Giuda, da te uscirà colui che che dev’essere il dominatore d’Israele” (5, 1). Le circostanze della nascita dovettero consolidare nella fede la decisione voluta fortemente da Giuseppe. E come Maria serbava nel suo cuore ogni evento e circostanza, così anche Giuseppe pensava e rifletteva su ogni particolare che attorniava l’evento del Nascituro e lo meditava con gioia nel suo cuore.
Gioia, però, messa a dura prova da tante altre circostanze profetiche ed esterne che si manifestarono attorno al Bambino. Dalla “presentazione al tempio”, in cui sentì quelle strane profezie del vecchio Simeone, quando elevando al cielo il Bambino in segno di offerta e di consacrazione insieme, lo chiamò “segno di contraddizione” (Lc 2, 34); e alla Madre venne profetizzata “una spada trafiggerà la sua anima” (Lc 2, 35). Il cuore di “padre” si sentì profondamente scosso dalle fondamenta, eppure Giuseppe conservò padronanza e serenità per sé e per la Sposa, che, come dondolava il Bambino per addormentarlo, così nel suo cuore sentimenti contrastanti bollivano in continuazione. La presenza matura e adulta sia umana che di fede di Giuseppe costituiva un punto di sicuro riferimento per Maria, anche se le ansie e le preoccupazioni per il Bambino non cessavano mai di pulsare nel suo cuore, immerso nel profondo silenzio arcano del volere divino.
Non è difficile indovinare i pensieri e i contrastanti sentimenti che travagliavano sia Giuseppe che Maria alla notizia, circa la necessità di mettere al sicuro il Bambino, ricercato da Erode per ucciderlo, che da “buon politico” vuole eliminare il “rivale”, appena spuntato alla luce del sole. Il potere politico, quando è totalitario, non si smentisce mai. Essere avvertiti, notte tempo, del pericolo che il Bambino correva, è il massimo della sofferenza umana per i due cuori semplici e pieni di fede e di amore. E così la via dell’esilio egiziano si apre. Quale prova umana e di fede insieme abbiano vissuto Giuseppe e Maria, non lo può descrivere se non chi l’ha provato. Il Signore, in questo modo, ha voluto forgiare nel crogiuolo della sofferenza più profonda e amara anche il cuore di Giuseppe, nel portare il peso della famiglia e nell’assicurarle il necessario in terra straniera, senza lavoro sicuro né stabile dimora. Unica certezza, la fiducia nella Parola dell’angelo.
Difficoltà d’ogni genere, disagi oltre misura, incertezze fuori ogni immaginazione dovettero essere compagni stretti di Giuseppe in quei pochi anni trascorsi nell’antica e nobile terra egizia, da dove ha origine il popolo eletto con Mosé. Sembra una coincidenza fortuita, eppure, forse, dietro c’è un segreto disegno divino. Per analogia, si può paragonare – mutatis mutandis – Giuseppe a Mosé, chiamato a ricondurre il perfezionatore e dominatore del Popolo, Gesù, in terra sicura e nella sua terra. Difatti, il messaggero divino non si fece attendere, non appena le circostanze storiche mutarono con la morte di Erode (Mt 1, 19-23). In questo passo evangelico, ancora una volta, è palese tutta la portata della maturità di fede di Giuseppe, che si abbandona sempre e completamente alla volontà celeste, nonostante tutte le contrarietà della vita.
Sembrava essere tornato il sereno dopo il rientro nella Galilea, dove la vita finalmente scorreva nella normalità più assoluta: lavoro famiglia e religiosità. E proprio in un momento di sentita religiosità partecipata per la Pasqua a Gerusalemme, Giuseppe condusse la Sposa e il Dodicenne con sé. L’immensa gioia pasquale ben presto però si tramutò in tragica situazione, molto angosciosa con l’inspiegabile smarrimento di Gesù. Cosa prova un cuore di padre e di madre alla constatazione che il loro Bambino non è con loro! Tre giorni veramente angoscianti e struggenti, anche per un cuore addestrato al soffrire e a vivere nell’incognito. La percezione fisica della mancanza del Bambino è la massima fonte di profondi turbamenti interiori e non solo. La ricerca affannosa e senza esiti positivi poteva lanciare lontano i pensieri di Giuseppe e di Maria, al fallito tentativo di Erode.
Qualche reminiscenza del timore erodiano si sarà risvegliata, e avrà reso ancora più tragica l’affannosa ricerca del Bambino tra le file della carovana del ritorno. Ma invano. E più cupo diventava la sera senza del Bambino. Preghiere, ansie e silenzi prolungati dovettero riempire tutto il tempo dei tre giorni sia di Giuseppe che di Maria. L’avventura come era nata nel silenzio, così sembrava terminare nel silenzio. La speranza è dura a morire. E venne premiata quando trovarono Gesù a discutere nel tempio tra i dottori della legge. Finalmente, il silenzio della mancanza venne riempito e ritornò la calma. E Gesù si comportò “con più riguardo” verso i suoi genitori terreni.
Dall’annunciazione matteana di Giuseppe (Mt 1, 16-25) si coglie la forte sensibilità di Giuseppe alle cose divine, che si sono manifestate apertamente nella configurazione della speciale ed esclusiva coppia del Figlio-Madre, nella cui orbita viene a gravitare chiaramente la sua personalità di “uomo giusto”, perché più vicino di tutti a Cristo e a Maria. La storica vicinanza di Giuseppe a tale “coppia” dà origine anche alla sua particolare missione di custodire il nascituro Bambino e di garantire anche la scelta della verginità della Madre, come segno della stessa divinità del Figlio.
Per analogia a quella lucana, l’annunciazione giuseppina di Matteo si svolge in due tempi: uno, anteriore alle spiegazioni angeliche, è costituita dai segni della maternità di Maria, di fronte ai quali Giuseppe “tace e pensa” nel tentativo di discernere sulla decisione da prendere circa la promessa Sposa, e alla fine decide di lasciarla in segreto; l’altra, invece, è il chiarimento angelico che assicura sul fatto meraviglioso, che si sta compiendo in Maria, per opera dello Spirito Santo, cui fa seguito l’immediata proposta di “prendere con sé la sua Sposa”.
Su San Giuseppe si è espresso papa Francesco durante l’udienza generale di mercoledì scorso. Il Papa ha ricordato la solennità di san Giuseppe e l’inizio dell’Anno della Famiglia Amoris laetitia. Dello sposo di Maria, per il quale ha indetto un Anno speciale, Francesco ha sottolineato la sua capacità di “comprendere e mettere in pratica il Vangelo”
“Un grande Santo” al quale consegnare la propria esistenza. Papa Francesco, nei saluti in italiano, al termine dell’udienza generale ricorda la prossima solennità di San Giuseppe. “Siate saggi come Lui, pronti a comprendere – aggiunge il Pontefice – e mettere in pratica il Vangelo”.
Nella vita, nel lavoro, nella famiglia, nei momenti di gioia e di dolore San Giuseppe ha costantemente cercato e amato il Signore, meritando l’elogio della Scrittura come uomo giusto e saggio. Invocatelo sempre, specialmente nei momenti difficili che potrete incontrare. A tutti la mia benedizione!
Anche nei saluti in polacco, Francesco ricorda San Giuseppe e l’inizio dell’Anno della Famiglia Amoris Laetitia:
Maria, Regina della Polonia ottenga per le famiglie l’evangelica visione del matrimonio, nella reciproca comprensione e nel rispetto per la vita umana. Benedico di cuore voi tutti e quanti prenderanno parte alle iniziative intraprese in occasione delle celebrazioni del menzionato Anno.
Non una figura silenziosa ma un uomo che ascolta, che accetta il disegno di Dio sulla sua vita e su quella della sua famiglia. San Giuseppe è un santo amato soprattutto da Papa Francesco che a lui ha dedicato un’intensa lettera apostolica “Patris Corde – con il Cuore di Padre” a ricordo del 150.mo anniversario della dichiarazione a Patrono della Chiesa universale, e allo stesso tempo gli ha dedicato l’Anno di San Giuseppe fino all’8 dicembre 2021. Francesco mette in luci tratti diversi per il padre putativo di Gesù, lo chiama padre amato, padre nella tenerezza, nell’obbedienza e nell’accoglienza, padre dal coraggio creativo, lavoratore, sempre nell’ombra.
Concludiamo con i«Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote (Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7,16.27-30)
Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall’eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25,21).
Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l’uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.
Infatti egli segna la conclusione dell’Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.
Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell’altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l’ha portata al massimo della perfezione.
Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell’uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.
Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissimo Vergine tua sposa, che è Madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.