Papa – E’ sulla sesta Beatitudine che si concentra la catechesi del Papa all’udienza generale tenuta nella Biblioteca del Palazzo Apostolico. il Papa si sofferma oggi sulla sesta e quindi sulla purezza del cuore come condizione per vedere Dio. Cercare il volto di Dio significa infatti desiderare una relazione non meccanica ma personale, come la stessa vicenda di Giobbe manifesta: prima la conoscenza è per sentito dire, poi, alla fine, lo conosciamo direttamente se siamo fedeli.
Come per i discepoli di Emmaus, l’origine della “cecità” è un cuore stolto e lento e quando è così, dice, “si vedono le cose come annuvolate“. Il Signore schiuderà poi il loro sguardo al termine di un cammino che culmina con la frazione del pane. “Dio è più intimo a me di me stesso”, diceva Sant’Agostino, a cui il Papa si richiama per indicare la rotta per poter contemplare Dio: entrare dentro di noi e fargli spazio.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! ha esordito il pontefice. Oggi leggiamo insieme la sesta beatitudine, che promette la visione di Dio e ha come condizione la purezza del cuore.
Dice un Salmo: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (27,8-9).
Questo linguaggio manifesta la sete di una relazione personale con Dio, non meccanica, non un po’ nebulosa, no: personale, che anche il libro di Giobbe esprime come segno di un rapporto sincero. Dice così, il libro di Giobbe: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,5). E tante volte io penso che questo è il cammino della vita, nei nostri rapporti con Dio. Conosciamo Dio per sentito dire, ma con la nostra esperienza andiamo avanti, avanti, avanti e alla fine lo conosciamo direttamente, se siamo fedeli … E questa è la maturità dello Spirito.
Come arrivare a questa intimità, a conoscere Dio con gli occhi? Si può pensare ai discepoli di Emmaus, per esempio, che hanno il Signore Gesù accanto a sé, «ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16). Il Signore schiuderà il loro sguardo al termine di un cammino che culmina con la frazione del pane ed era iniziato con un rimprovero: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (Lc 24,25). Quello è il rimprovero dell’inizio. Ecco l’origine della loro cecità: il loro cuore stolto e lento. E quando il cuore è stolto e lento, non si vedono le cose. Si vedono le cose come annuvolate. Qui sta la saggezza di questa beatitudine: per poter contemplare è necessario entrare dentro di noi e far spazio a Dio, perché, come dice S. Agostino, “Dio è più intimo a me di me stesso” (“interior intimo meo”: Confessioni, III,6,11). Per vedere Dio non serve cambiare occhiali o punto di osservazione, o cambiare autori teologici che insegnino il cammino: bisogna liberare il cuore dai suoi inganni! Questa strada è l’unica.
Questa è una maturazione decisiva: quando ci rendiamo conto che il nostro peggior nemico, spesso, è nascosto nel nostro cuore. La battaglia più nobile è quella contro gli inganni interiori che generano i nostri peccati. Perché i peccati cambiano la visione interiore, cambiano la valutazione delle cose, fanno vedere cose che non sono vere, o almeno che non sono così vere.
È dunque importante capire cosa sia la “purezza del cuore”. Per farlo bisogna ricordare che per la Bibbia il cuore non consiste solo nei sentimenti, ma è il luogo più intimo dell’essere umano, lo spazio interiore dove una persona è sé stessa. Questo, secondo la mentalità biblica.
Lo stesso Vangelo di Matteo dice: «Se la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (6,23). Questa “luce” è lo sguardo del cuore, la prospettiva, la sintesi, il punto da cui si legge la realtà (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 143).
Ma cosa vuol dire cuore “puro”? Il puro di cuore vive alla presenza del Signore, conservando nel cuore quel che è degno della relazione con Lui; solo così possiede una vita “unificata”, lineare, non tortuosa ma semplice.
Il cuore purificato è quindi il risultato di un processo che implica una liberazione e una rinuncia. Il puro di cuore non nasce tale, ha vissuto una semplificazione interiore, imparando a rinnegare in sé il male, cosa che nella Bibbia si chiama circoncisione del cuore (cfr Dt 10,16; 30,6; Ez 44,9; Ger 4,4).
Questa purificazione interiore implica il riconoscimento di quella parte del cuore che è sotto l’influsso del male – “Sa, Padre, io sento così, penso così, vedo così, e questo è brutto”: riconoscere la parte brutta, la parte che è annuvolata dal male – per apprendere l’arte di lasciarsi sempre ammaestrare e condurre dallo Spirito Santo. Il cammino dal cuore malato, dal cuore peccatore, dal cuore che non può vedere bene le cose, perché è nel peccato, alla pienezza della luce del cuore è opera dello Spirito Santo. E’ lui che ci guida a compiere questo cammino. Ecco, attraverso questo cammino del cuore, arriviamo a “vedere Dio”.
In questa visione beatifica c’è una dimensione futura, escatologica, come in tutte le Beatitudini: è la gioia del Regno dei Cieli verso cui andiamo. Ma c’è anche l’altra dimensione: vedere Dio vuol dire intendere i disegni della Provvidenza in quel che ci accade, riconoscere la sua presenza nei Sacramenti, la sua presenza nei fratelli, soprattutto poveri e sofferenti, e riconoscerlo dove Lui si manifesta (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2519).
Questa beatitudine è un po’ il frutto delle precedenti: se abbiamo ascoltato la sete del bene che abita in noi e siamo consapevoli di vivere di misericordia, inizia un cammino di liberazione che dura tutta la vita e conduce fino al Cielo. È un lavoro serio, un lavoro che fa lo Spirito Santo se noi gli diamo spazio perché lo faccia, se siamo aperti all’azione dello Spirito Santo. Per questo possiamo dire che un’opera di Dio in noi – nelle prove e nelle purificazioni della vita – e questa opera di Dio e dello Spirito Santo porta a una gioia grande, a una pace vera. Non abbiamo paura, apriamo le porte del nostro cuore allo Spirito Santo perché ci purifichi e ci porti avanti in questo cammino verso la gioia piena.
Molti e sentiti i saluti del Pontefice in conclusione dell’udienza generale.
Gesù è l’amico fedele “che riempie di felicità la nostra vita, anche nei momenti difficili”, che ci “accompagna e mai delude”. In lui e con lui non siamo soli e nella sua Croce i nostri cuori trovino, “sostegno e conforto in mezzo alle tribolazioni della vita”. Papa Francesco saluta così i fedeli nelle diverse lingue, collegati attraverso i mezzi di comunicazione con la biblioteca del Palazzo apostolico, al termine della catechesi dell’udienza generale.
Ai polacchi, il Papa ricorda che l’uomo di oggi vede “i segni di morte” più presenti nella civiltà, e “vive sempre più nella paura, minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza”. In questi giorni difficili, è il suo invito, “il vostro pensiero corra allora a Cristo: sappiate che non siete soli. Egli vi accompagna e mai delude”. Affidatevi alla Sua “Divina Misericordia e all’intercessione di san Giovanni Paolo II, alla vigilia del 15° anniversario della sua morte”, che cade domani, 2 aprile.
Guardando alla Settimana Santa ormai vicina, Francesco invita i fedeli portoghesi a guardare “la Croce dove Gesù ha preso su di sé e ha sopportato ogni tragedia dell’umanità”. Per il Pontefice, “non possiamo dimenticare le tragedie dei nostri giorni, perché la Passione del Signore continua nella sofferenza degli uomini”. Ma l’augurio è che “i vostri cuori trovino, nella Croce di Cristo, sostegno e conforto in mezzo alle tribolazioni della vita; abbracciando la Croce come Lui”, con fiducia e abbandono alla volontà di Dio, “avrete parte alla gloria della Risurrezione”.
Rivolto ai tedeschi, Papa Francesco, sottolinea che contemplando “il volto del Signore crocifisso e morto per noi”, in questo periodo di prova, possiamo riconoscere “nella sua Croce la fonte della vera speranza e gioia, attraverso la quale Egli ha vinto ogni male”. Agli spagnoli, nella sua lingua madre, il Papa, chiede di scoprire la Provvidenza del Signore “negli eventi della vita quotidiana”. E invita a ricordare, in questi momenti di prova e di oscurità, “tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle che soffrono, e coloro che li aiutano e li accompagnano con amore e generosità”.
Tra i fedeli di lingua italiana, infine, Francesco saluta in particolare “i gruppi che da tempo si erano prenotati per essere presenti oggi”, tra i quali “i ragazzi della professione di fede della Diocesi di Milano”. “Cari ragazzi – dice rivolgendosi direttamente ai giovani milanesi – anche se il vostro pellegrinaggio a Roma è solo virtuale, mi sembra quasi di percepire la vostra gioiosa e rumorosa presenza, resa concreta anche dai tanti messaggi scritti che mi avete inviato”. Il Pontefice li ringrazia e li incoraggia “a vivere sempre la fede con entusiasmo e a non perdere la speranza in Gesù, l’amico fedele che riempie di felicità la nostra vita, anche nei momenti difficili”. Questi ultimi giorni di Quaresima, è il suo auspicio finale, possano favorire “un’adeguata preparazione alla celebrazione della Pasqua, conducendo ciascuno ad una ancor più sentita vicinanza a Cristo”.