PAPA – A Giuba, nel discorso alle autorità, Francesco sottolinea l’urgenza dell’unità, senza ‘se’ e senza ‘ma’: “Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map”. Occorre cambiare passo, superando inerzia, doppiezze, opportunismi, clientelismi.
È la grande metafora del fiume a fare da sfondo all’ampio discorso pronunciato da Papa Francesco nel giardino della residenza presidenziale di fronte alle autorità del Sud Sudan. Nella Repubblica Democratica del Congo aveva usato quella del diamante; qui l’immagine a cui si ispira per lanciare un inequivocabile, franco e diretto messaggio di pace e stabilizzazione è quella del corso d’acqua che attraversa il Paese africano. L’auspicio del Pontefice è che il Sud Sudan “si riconcili e cambi rotta”:
Signor Presidente della Repubblica,
Signori Vice-Presidenti,
illustri Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose,
insigni Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!
Grazie, Signor Presidente, per le sue parole. Sono lieto di essere in questa terra che porto nel cuore. La ringrazio, Signor Presidente, per l’accoglienza che mi ha rivolto. Saluto cordialmente ciascuno di voi e, attraverso di voi, tutte le donne e gli uomini che popolano questo giovane e caro Paese. Vengo come pellegrino di riconciliazione, con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile. Non sono giunto qui da solo, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, che ringrazio per quanto ci diranno. Insieme, tendendovi la mano, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace.
Abbiamo infatti intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono. Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto. Fratelli e sorelle, è l’ora della pace!
Frutti e vegetazione qui abbondano, grazie al grande fiume che attraversa il Paese. Quanto l’antico storico Erodoto diceva dell’Egitto, ossia che è un “dono del Nilo”, vale anche per il Sud Sudan. Davvero, come qui si dice, questa è una “terra della grande abbondanza”. Vorrei dunque lasciarmi trasportare dall’immagine del grande fiume che attraversa questo Paese recente ma dalla storia antica. Nei secoli gli esploratori si sono inoltrati nel territorio in cui ci troviamo per risalire il Nilo Bianco alla ricerca delle sorgenti del fiume più lungo del mondo. Proprio dalla ricerca delle sorgenti del vivere comune vorrei incominciare il mio percorso con voi. Perché questa terra, che abbonda di tanti beni nel sottosuolo, ma soprattutto nei cuori e nelle menti dei suoi abitanti, oggi ha bisogno di essere nuovamente dissetata da sorgenti fresche e vitali.
Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora. Illustri Autorità, i vostri “figli” e la storia stessa vi ricorderanno se avrete fatto del bene a questa popolazione, che vi è stata affidata per servirla. Le generazioni future onoreranno o cancelleranno la memoria dei vostri nomi in base a quanto fate ora perché, come il fiume lascia le sorgenti per avviare il suo corso, così il corso della storia lascerà indietro i nemici della pace e darà lustro a chi opera per la pace: infatti, come insegna la Scrittura, “l’uomo di pace avrà una discendenza” (cfr Sal 37,37).
La violenza, invece, fa regredire il corso della storia. Lo stesso Erodoto ne rilevava gli sconvolgimenti generazionali, notando come in guerra non sono più i figli a seppellire i padri, ma i padri a seppellire i figli (cfr Storie, I,87). Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51). Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! E su questo, Signor Presidente, mi viene al cuore quel colloquio notturno che anni fa abbiamo avuto in Uganda: la sua volontà di pace era lì… Andiamo avanti su questo!
Torniamo alle sorgenti del fiume, all’acqua che simboleggia la vita. Alle fonti di questo Paese c’è un’altra parola, che designa il corso intrapreso dal popolo sud sudanese il 9 luglio 2011: Repubblica. Ma che cosa vuol dire essere una res publica? Significa riconoscersi come realtà pubblica, affermare, cioè, che lo Stato è di tutti; e dunque che chi, al suo interno, ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo o governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi. Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.
Fondamentale, per la vita di una Repubblica, è lo sviluppo democratico. Esso tutela la benefica distinzione dei poteri, così che, ad esempio, chi amministra la giustizia possa esercitarla senza condizionamenti da parte di chi legifera o governa. La democrazia presuppone, inoltre, il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee. Occorre infatti ricordare che senza giustizia non c’è pace (cfr S. Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della XXXV Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2002), ma anche che senza libertà non c’è giustizia. Va perciò data a ogni cittadina e cittadino la possibilità di disporre del dono unico e irripetibile dell’esistenza con i mezzi adeguati a realizzarlo: come scriveva Papa Giovanni, «ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita» (S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 6).
Il fiume Nilo, lasciate le sorgenti, dopo aver attraversato alcune zone scoscese che creano cascate e rapide, una volta entrato nella pianura sud sudanese, proprio nei pressi di Giuba diventa navigabile, per poi addentrarsi in zone più paludose. Analogamente, auspico che il tragitto di pace della Repubblica non proceda ad alti e bassi, ma, a partire da questa capitale, diventi percorribile, senza rimanere impaludato nell’inerzia. Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map! In un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo Paese ospita un pellegrinaggio ecumenico di pace, che costituisce una rarità; rappresenti un cambio di passo, l’occasione, per il Sud Sudan, di ricominciare a navigare in acque tranquille, riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi. Sia per tutti un’occasione per rilanciare la speranza, non solo per il governo, per tutti: ciascun cittadino possa comprendere che non è più tempo di lasciarsi trasportare dalle acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche. Fratelli e sorelle, è tempo di navigare insieme verso il futuro! Insieme. Questa parola non va dimenticata: insieme.
Il percorso del grande fiume ci aiuta ancora, suggerendoci la modalità. Nel suo prosieguo, presso il lago No si unisce a un altro fiume, dando vita a quello che viene chiamato Nilo Bianco. La limpida chiarezza delle acque scaturisce dunque dall’incontro. Questa è la via, fratelli e sorelle: rispettarsi, conoscersi, dialogare. Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro, la cultura dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società. E per passare dall’inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro è decisivo il ruolo che possono e vogliono svolgere i giovani. Siano perciò assicurati loro spazi liberi di incontro per ritrovarsi e dibattere; e possano prendere in mano, senza paura, il futuro che a loro appartiene! Vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio, che da una donna ha preso la carne.
Cristo, il Verbo incarnato, ci ha insegnato che più ci si fa piccoli, dando spazio agli altri e accogliendo ogni prossimo come fratello, più si diventa grandi agli occhi del Signore. La giovane storia di questo Paese, dilaniato da scontri etnici, ha necessità di ritrovare la mistica dell’incontro, la grazia dell’insieme. C’è bisogno di guardare al di là dei gruppi e delle differenze per camminare come un unico popolo, nel quale, come accade al Nilo, i vari affluenti apportano ricchezze. Fu proprio attraverso il fiume che i primi missionari, più di un secolo fa, approdarono a questi lidi; alla loro presenza si è aggiunta nel tempo quella di tanti operatori umanitari: tutti vorrei ringraziare per la preziosa opera che svolgono. Penso però anche ai missionari che purtroppo trovano la morte mentre seminano la vita. Non dimentichiamoli e non ci si dimentichi di garantire a loro e agli operatori umanitari la necessaria sicurezza, e alle loro opere di bene i necessari sostegni, affinché il fiume del bene continui a scorrere.
Un grande fiume, tuttavia, può a volte esondare e provocare disastri. In questa terra lo hanno purtroppo sperimentato le tante vittime di inondazioni, alle quali esprimo la mia vicinanza, appellandomi perché non siano fatti loro mancare opportuni aiuti. Le calamità naturali raccontano un creato ferito e sconquassato, che da fonte di vita può tramutarsi in minaccia di morte. Occorre prendersene cura, con uno sguardo lungimirante, rivolto alle generazioni future. Penso, in particolare, alla necessità di combattere la deforestazione causata dall’avidità del guadagno.
Per prevenire le esondazioni di un fiume è necessario mantenerne pulito il letto. Fuor di metafora, la pulizia di cui il corso della vita sociale abbisogna è la lotta alla corruzione. Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza. L’urgenza di un Paese civile è prendersi cura dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili e disagiati. Penso soprattutto ai milioni di sfollati che qui dimorano: quanti hanno dovuto lasciare casa e si trovano relegati ai margini della vita in seguito a scontri e spostamenti forzati!
Affinché le acque di vita non si tramutino in pericoli di morte è fondamentale dotare un fiume di argini adeguati. Vale lo stesso per la convivenza umana. Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte. Altri argini sono imprescindibili per garantire il corso della vita sociale: mi riferisco allo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, al bisogno di infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro. Essi, come tutti i bambini di questo Continente e del mondo, hanno il diritto di crescere tenendo in mano quaderni e giocattoli, non strumenti di lavoro e armi.
Il Nilo Bianco, infine, lascia il Sud Sudan, attraversa altri Stati, s’incontra con il Nilo Azzurro e giunge al mare: il fiume non conosce confini, ma congiunge territori. Similmente, per raggiungere uno sviluppo adeguato è essenziale, oggi più che mai, coltivare relazioni positive con altri Paesi, a cominciare da quelli circostanti. Penso anche al prezioso contributo della Comunità internazionale nei riguardi di questo Paese: esprimo riconoscenza per l’impegno volto a favorirne la riconciliazione e lo sviluppo. Sono convinto che, per apportare proficui contributi, sia indispensabile la reale comprensione delle dinamiche e dei problemi sociali. Non basta osservarli e denunciarli dall’esterno; occorre coinvolgersi, con pazienza e determinazione e, più in generale, resistere alla tentazione di imporre modelli prestabiliti ma estranei alla realtà locale. Come disse San Giovanni Paolo II trent’anni fa in Sudan: «Devono essere trovate delle soluzioni africane ai problemi africani» (Appello alla Cerimonia di benvenuto, 10 febbraio 1993).
Signor Presidente, distinte Autorità, seguendo il percorso del Nilo ho voluto inoltrarmi nel cammino di questo Paese tanto giovane quanto caro. So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette, ma vi prego di credere che ciò nasce dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà. Il Signore del cielo, che ama questa terra, le doni un tempo nuovo di pace e di prosperità: Dio benedica la Repubblica del Sudan del Sud! Grazie.