Papa Francesco:“Serve la sete di Dio, altrimenti anche le nostre celebrazioni sono aride”

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Papa – Richiama le parole di don Primo Mazzolari, Papa Francesco, nella sua omelia per la solennità del Corpus Domini, per prefigurare l’immagine di una Chiesa che è “una sala grande”, dalle “porte aperte”, “dove tutti possono entrare”. Non “un circolo piccolo e chiuso”, ma “una Comunità con le braccia spalancate, accogliente verso tutti”. Una comunità dove si guarda all’Eucarestia con “stupore e adorazione.
Gesù manda i suoi discepoli perché vadano a preparare il luogo dove celebrare la cena pasquale. Erano stati loro a chiedere: «Maestro, dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12). Mentre contempliamo e adoriamo la presenza del Signore nel Pane eucaristico, siamo chiamati anche noi a domandarci: in quale “luogo” vogliamo preparare la Pasqua del Signore? Quali sono i “luoghi” della nostra vita in cui Dio ci chiede di essere ospitato? Vorrei rispondere a queste domande soffermandomi su tre immagini del Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 14,12-16.22-26).

IMMAGINI DEL VANGELO
La prima è quella dell’uomo che porta una brocca d’acqua (cfr v. 13). È un dettaglio che sembrerebbe superfluo. Ma quell’uomo del tutto anonimo diventa la guida per i discepoli che cercano il luogo che poi sarà chiamato il Cenacolo. E la brocca d’acqua è il segno di riconoscimento: un segno che fa pensare all’umanità assetata, sempre alla ricerca di una sorgente d’acqua che la disseti e la rigeneri. Tutti noi camminiamo nella vita con una brocca in mano: tutti noi, ognuno di noi ha sete di amore, di gioia, di una vita riuscita in un mondo più umano. E per questa sete, l’acqua delle cose mondane non serve, perché si tratta di una sete più profonda, che solo Dio può soddisfare.
Seguiamo ancora questo “segnale” simbolico. Gesù dice ai suoi che dove li condurrà un uomo con la brocca d’acqua, là si potrà celebrare la Cena della Pasqua. Per celebrare l’Eucaristia, dunque, bisogna anzitutto riconoscere la propria sete di Dio: sentirci bisognosi di Lui, desiderare la sua presenza e il suo amore, essere consapevoli che non possiamo farcela da soli ma abbiamo bisogno di un Cibo e di una Bevanda di vita eterna che ci sostengono nel cammino. Il dramma di oggi – possiamo dire – è che spesso la sete si è estinta. Si sono spente le domande su Dio, si è affievolito il desiderio di Lui, si fanno sempre più rari i cercatori di Dio. Dio non attira più perché non avvertiamo più la nostra sete profonda. Ma solo dove c’è un uomo o una donna con la brocca per l’acqua – pensiamo alla Samaritana, per esempio (cfr Gv 4,5-30) – il Signore può svelarsi come Colui che dona la vita nuova, che nutre di speranza affidabile i nostri sogni e le nostre aspirazioni, presenza d’amore che dona senso e direzione al nostro pellegrinaggio terreno. Come già notavamo, è quell’uomo con la brocca che conduce i discepoli alla stanza dove Gesù istituirà l’Eucaristia. È la sete di Dio che ci porta all’altare. Se manca la sete, le nostre celebrazioni diventano aride. Anche come Chiesa, allora, non può bastare il gruppetto dei soliti che si radunano per celebrare l’Eucaristia; dobbiamo andare in città, incontrare la gente, imparare a riconoscere e a risvegliare la sete di Dio e il desiderio del Vangelo.

PADRONE DI CASA
La seconda immagine è quella della grande sala al piano superiore (cfr v. 15). È lì che Gesù e i suoi faranno la cena pasquale e questa sala si trova nella casa di una persona che li ospita. Diceva don Primo Mazzolari: «Ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli presta la sua camera più bella. […] Egli ha dato ciò che aveva di più grande perché intorno al grande sacramento ci vuole tutto grande, camera e cuore, parole e gesti» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).
Una sala grande per un piccolo pezzo di Pane. Dio si fa piccolo come un pezzo di pane e proprio per questo occorre un cuore grande per poterlo riconoscere, adorare, accogliere. La presenza di Dio è così umile, nascosta, talvolta invisibile, che ha bisogno di un cuore preparato, sveglio e accogliente per essere riconosciuta. Invece se il nostro cuore, più che a una grande sala, somiglia a un ripostiglio dove conserviamo con rimpianto le cose vecchie; se somiglia a una soffitta dove abbiamo riposto da tempo il nostro entusiasmo e i nostri sogni; se somiglia a una stanza angusta, una stanza buia perché viviamo solo di noi stessi, dei nostri problemi e delle nostre amarezze, allora sarà impossibile riconoscere questa silenziosa e umile presenza di Dio. Ci vuole una sala grande. Bisogna allargare il cuore. Occorre uscire dalla piccola stanza del nostro io ed entrare nel grande spazio dello stupore e dell’adorazione. E questo ci manca tanto! Questo ci manca in tanti movimenti che noi facciamo per incontrarci, riunirci, pensare insieme la pastorale… Ma se manca questo, se manca lo stupore e l’adorazione, non c’è strada che ci porti al Signore. Neppure ci sarà il sinodo, niente. Questo è l’atteggiamento davanti all’Eucaristia, di questo abbiamo bisogno: adorazione. Anche la Chiesa dev’essere una sala grande. Non un circolo piccolo e chiuso, ma una Comunità con le braccia spalancate, accogliente verso tutti. Chiediamoci questo: quando si avvicina qualcuno che è ferito, che ha sbagliato, che ha un percorso di vita diverso, la Chiesa, questa Chiesa, è una sala grande per accoglierlo e condurlo alla gioia dell’incontro con Cristo? L’Eucaristia vuole nutrire chi è stanco e affamato lungo il cammino, non dimentichiamolo! La Chiesa dei perfetti e dei puri è una stanza in cui non c’è posto per nessuno; la Chiesa dalle porte aperte, che festeggia attorno a Cristo, è invece una sala grande dove tutti – tutti, giusti e peccatori – possono entrare.

GESU’ SPEZZA IL PANE

Infine, la terza immagine, l’immagine di Gesù che spezza il Pane. È il gesto eucaristico per eccellenza, il gesto identitario della nostra fede, il luogo del nostro incontro con il Signore che si offre per farci rinascere a una vita nuova. Anche questo gesto è sconvolgente: fino ad allora si immolavano agnelli e si offrivano in sacrificio a Dio, ora è Gesù che si fa agnello e si immola per donarci la vita. Nell’Eucaristia contempliamo e adoriamo il Dio dell’amore. È il Signore che non spezza nessuno ma spezza Sé stesso. È il Signore che non esige sacrifici ma sacrifica Sé stesso. È il Signore che non chiede nulla ma dona tutto. Per celebrare e vivere l’Eucaristia, anche noi siamo chiamati a vivere questo amore. Perché non puoi spezzare il Pane della domenica se il tuo cuore è chiuso ai fratelli. Non puoi mangiare questo Pane se non dai il pane all’affamato. Non puoi condividere questo Pane se non condividi le sofferenze di chi è nel bisogno. Alla fine di tutto, anche delle nostre solenni liturgie eucaristiche, solo l’amore resterà. E fin da adesso le nostre Eucaristie trasformano il mondo nella misura in cui noi ci lasciamo trasformare e diventiamo pane spezzato per gli altri.
Fratelli e sorelle, dove “preparare la cena del Signore” anche oggi? La processione con il Santissimo Sacramento – caratteristica della festa del Corpus Domini, ma che per il momento non possiamo ancora fare – ci ricorda che siamo chiamati a uscire portando Gesù. Uscire con entusiasmo portando Cristo a coloro che incontriamo nella vita di ogni giorno. Diventiamo una Chiesa con la brocca in mano, che risveglia la sete e porta l’acqua. Spalanchiamo il cuore nell’amore, per essere noi la sala spaziosa e ospitale dove tutti possano entrare a incontrare il Signore. Spezziamo la nostra vita nella compassione e nella solidarietà, perché il mondo veda attraverso di noi la grandezza dell’amore di Dio. E allora il Signore verrà, ci sorprenderà ancora, si farà ancora cibo per la vita del mondo. E ci sazierà per sempre, fino al giorno in cui, nel banchetto del Cielo, contempleremo il suo volto e gioiremo senza fine.

 




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