Padre – Nell’ultima udienza generale invernale del 2018 il pontefice ha continuato le sue catechesi sulla Messa ma rivolgendo la sua attenzione alla preghiera che lo stesso Gesù ci ha insegnato tramite gli apostoli il ‘Padre Nostro’.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” ha esordito il Vescovo di Roma davanti ad una folla festosa “Continuiamo con la Catechesi sulla Santa Messa. Nell’ultima Cena, dopo che Gesù prese il pane e il calice del vino, ed ebbe reso grazie a Dio, sappiamo che «spezzò il pane». A quest’azione corrisponde, nella Liturgia eucaristica della Messa, la frazione del Pane, preceduta dalla preghiera che il Signore ci ha insegnato, cioè del “Padre Nostro”.
E così cominciano i riti di Comunione, prolungando la lode e la supplica della Preghiera eucaristica con la recita comunitaria del “Padre nostro”. Questa non è una delle tante preghiere cristiane, ma è la preghiera dei figli di Dio: è la grande preghiera che ci ha insegnato Gesù. Infatti, consegnatoci nel giorno del nostro Battesimo, il “Padre nostro” fa risuonare in noi quei medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Quando noi preghiamo col “Padre Nostro”, preghiamo come pregava Gesù. È la preghiera che ha fatto Gesù, e l’ha insegnata a noi; quando i discepoli gli hanno detto: “Maestro, insegnaci a pregare come tu preghi”. E Gesù pregava così. È tanto bello pregare come Gesù! Formati al suo divino insegnamento, osiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”, perché siamo rinati come suoi figli attraverso l’acqua e lo Spirito Santo (cfr Ef 1,5). Nessuno, in verità, potrebbe chiamarlo familiarmente “Abbà” – “Padre” – senza essere stato generato da Dio, senza l’ispirazione dello Spirito, come insegna san Paolo (cfr Rm 8,15). Dobbiamo pensare: nessuno può chiamarlo “Padre” senza l’ispirazione dello Spirito. Quante volte c’è gente che dice “Padre Nostro”, ma non sa cosa dice. Perché sì, è il Padre, ma tu senti che quando dici “Padre” Lui è il Padre, il Padre tuo, il Padre dell’umanità, il Padre di Gesù Cristo? Tu hai un rapporto con questo Padre? Quando noi preghiamo il “Padre Nostro”, ci colleghiamo col Padre che ci ama, ma è lo Spirito a darci questo collegamento, questo sentimento di essere figli di Dio.
Quale preghiera migliore di quella insegnata da Gesù può disporci alla Comunione sacramentale con Lui? Oltre che nella Messa, il “Padre nostro” viene pregato, alla mattina e alla sera, nelle Lodi e nei Vespri; in tal modo, l’atteggiamento filiale verso Dio e di fraternità con il prossimo contribuiscono a dare forma cristiana alle nostre giornate.
Nella Preghiera del Signore – nel “Padre nostro” – chiediamo il «pane quotidiano», nel quale scorgiamo un particolare riferimento al Pane eucaristico, di cui abbiamo bisogno per vivere da figli di Dio. Imploriamo anche «la remissione dei nostri debiti», e per essere degni di ricevere il perdono di Dio ci impegniamo a perdonare chi ci ha offeso. E questo non è facile. Perdonare le persone che ci hanno offeso non è facile; è una grazia che dobbiamo chiedere: “Signore, insegnami a perdonare come tu hai perdonato me”. È una grazia. Con le nostre forze noi non possiamo: è una grazia dello Spirito Santo perdonare. Così, mentre ci apre il cuore a Dio, il “Padre nostro” ci dispone anche all’amore fraterno. Infine, chiediamo ancora a Dio di «liberarci dal male» che ci separa da Lui e ci divide dai nostri fratelli. Comprendiamo bene che queste sono richieste molto adatte a prepararci alla santa Comunione (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 81).
In effetti, quanto chiediamo nel “Padre nostro” viene prolungato dalla preghiera del sacerdote che, a nome di tutti, supplica: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni». E poi riceve una sorta di sigillo nel rito della pace: per prima cosa si invoca da Cristo che il dono della sua pace (cfr Gv 14,27) – così diversa dalla pace del mondo – faccia crescere la Chiesa nell’unità e nella pace, secondo la sua volontà; quindi, con il gesto concreto scambiato tra noi, esprimiamo «la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento» (OGMR, 82). Nel Rito romano lo scambio del segno di pace, posto fin dall’antichità prima della Comunione, è ordinato alla Comunione eucaristica. Secondo l’ammonimento di san Paolo, non è possibile comunicare all’unico Pane che ci rende un solo Corpo in Cristo, senza riconoscersi pacificati dall’amore fraterno (cfr 1 Cor 10,16-17; 11,29). La pace di Cristo non può radicarsi in un cuore incapace di vivere la fraternità e di ricomporla dopo averla ferita. La pace la dà il Signore: Egli ci dà la grazia di perdonare coloro che ci hanno offeso.
Il gesto della pace è seguito dalla frazione del Pane, che fin dal tempo apostolico ha dato il nome all’intera celebrazione dell’Eucaristia (cfr OGMR, 83; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1329). Compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena, lo spezzare il Pane è il gesto rivelatore che ha permesso ai discepoli di riconoscerlo dopo la sua risurrezione. Ricordiamo i discepoli di Emmaus, i quali, parlando dell’incontro con il Risorto, raccontano «come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (cfr Lc 24,30-31.35).
La frazione del Pane eucaristico è accompagnata dall’invocazione dell’«Agnello di Dio», figura con cui Giovanni Battista ha indicato in Gesù «colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). L’immagine biblica dell’agnello parla della redenzione (cfr Es 12,1-14; Is 53,7; 1 Pt 1,19; Ap 7,14). Nel Pane eucaristico, spezzato per la vita del mondo, l’assemblea orante riconosce il vero Agnello di Dio, cioè il Cristo Redentore, e lo supplica: «Abbi pietà di noi … dona a noi la pace».
«Abbi pietà di noi», «dona a noi la pace» sono invocazioni che, dalla preghiera del “Padre nostro” alla frazione del Pane, ci aiutano a disporre l’animo a partecipare al convito eucaristico, fonte di comunione con Dio e con i fratelli.
Non dimentichiamo la grande preghiera: quella che ha insegnato Gesù, e che è la preghiera con la quale Lui pregava il Padre. E questa preghiera ci prepara alla Comunione”.
Già il Padre! Nella lingua ebraica non esiste il termine genitori ma solo un padre e una madre con compiti differenti. Mentre il padre è colui che genera, la madre si limita a partorire il figlio (Is 45,10). Il figlio rice-ve la vita esclusivamente dal Padre e la prolunga assomigliandogli nel comportamento mediante la pratica dei valori ricevuti. Figlio di… non significa tanto nato da… ma assomigliante nel comportamento. Poco prima di insegnare questa preghiera Gesù ha parlato di Dio come un Padre invitandoli ad assomigliargli nell’amore, ad essere come lui perfetti nella capacità di voler bene: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli ” (Mt 5,48). Invitando i discepoli a rivolgersi a Dio chiamandolo Padre la relazione con Dio alla quale Gesù chiama è quella dell’assomiglianza al suo amore. Quando si prega un Dio vendicativo e bellicoso è inevitabile finire per diventare come lui. Per questo l’iroso autore del salmo 109 può trasformare in preghiera i suoi istinti omicidi e chiedere a Dio che il suo nemico muoia, e i suoi figli vadano raminghi, mendicando, e siano votati allo sterminio. Per poi finire piamente con “Alta risuoni sulle mie labbra la lode del Signore” (Sal 109,30). Oppure trasformare una strage in lode (“Percosse l’Egitto nei suoi primogeniti, perché eterna è la sua misericordia”, Sal 136,10; “Figlia di babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra” Sal 137,8-9). Nel vangelo di Giovanni, Gesù constaterà amaramente che “viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv 16,2). Culto a Dio e intenti omicidi convivono, l’uno accanto l’altro, nella sinagoga: i fedeli, a forza di chiedere a Dio di ammazzare i nemici, diventano nemici e assassini di Dio. Con Gesù il credente non è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. L’immagine di Dio che Gesù presenta quale Padre è completamente nuova nel panorama religioso dell’epoca. Per la prima volta veniva presentato un Dio che non premiava i buoni e castigava i malvagi ma a tutti indistintamente dirigeva il suo amore. Tutti coloro che accolgono l’amore incondizionato di Dio e lo prolungano attraverso gesti concreti di misericordia, di condivisione e di perdono possono essere considerati i figli di questo Padre, nel senso che in essi scorre la stessa vita divina, indistruttibile. Con questo Gesù scalza le fondamenta stesse della religione dove l’uomo veniva presentato quale un servo chiamato a servire il suo Signore. Nella nuova relazione con Dio alla quale Gesù invita, dalla “servitù” nei confronti di Dio si passa alla “figliolanza” verso il Padre. Mentre la prima sottolineava la distanza tra Dio e l’uomo, la seconda l’annulla. Non più l’uomo è chiamato a servire la divinità, ma è Dio stesso che si fa servo degli uomini per innalzarli al suo stesso livello: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28; Lc 22,27). Gesù presenta un Padre che ha tanta stima degli uomini da volerli innalzare alla sua stessa condizione divina e associarli alla sua attività creatrice, perché il Figlio è colui che prolunga nel tempo l’azione creatrice del Padre. Paolo insiste molto sull’adozione a figli (Rm 8,15): Dio in Gesù “ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù cristo, secondo il suo disegno d’amore” (Ef 1,4). La condizione divina non è una esclusiva prerogativa di Gesù ma il destino di ogni credente. Con Gesù la distanza tra Dio e l’uomo viene definitivamente eliminata. La relazione tra l’uomo e Dio, una volta posta su un piano di figlio-Padre, non toglie Dio dall’ambito del sacro ma vi immerge l’uomo, e cambia completamente il carattere del culto (cf Gv 4,23-24; Rm 12,1). Mentre dio abita in un tempio, il padre in una casa. Mentre dio ha bisogno di sacerdoti, il padre di figli. Mentre i sacerdoti devono rispettare tempi e luoghi sacri per comunicare con la divinità, per i figli la relazione col padre è continua e sempre possibile prescindendo da luoghi e tempi. Le situazioni esistenziali che permettono questa nuova relazione con Dio quale Padre, sono state presentate da Matteo nelle beatitudini. La scelta della condivisione generosa dei propri beni e della propria vita (cf Mt 5,3) permette a Dio di manifestare pienamente la sua regalità paternità, e ai credenti di situarsi in una relazione figli-Padre.