Papa – Ci siamo! La settimana Santa procede ad ampie falcate e tanti sono gli appuntamenti con Papa Francesco che ha dato il via alla settimana con la celebrazione della domenica delle Palme.
La giornata è stata l’occasione per rammentare a tutti “La palma della vittoria – ha detto il Papa – passa per il legno della croce”.
“Con la grazia dello stupore – ha detto Francesco – capiamo che accogliendo chi è scartato, amiamo Gesù: perché Lui è in coloro che la nostra cultura farisaica condanna”:
Ripartiamo dallo stupore; guardiamo il Crocifisso e diciamogli: “Signore, quanto mi ami! Quanto sono prezioso per Te!”. Lasciamoci stupire da Gesù per tornare a vivere, perché la grandezza della vita non sta nell’avere e nell’affermarsi, ma nello scoprirsi amati. Questa è la grandezza della vita: scoprirsi amati. E la grandezza della vita è proprio nella bellezza dell’amore. Nel Crocifisso vediamo Dio umiliato, l’Onnipotente ridotto a uno scarto. E con la grazia dello stupore capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è negli ultimi, nei rifiutati, in coloro che la nostra cultura farisaica condanna.
Icona dello stupore è il Centurione. Sotto la croce il soldato romano, vedendo morire Gesù che “stremato, continuava ad amare”, fa la sua professione di fede: “Davvero era Figlio di Dio”. La vittoria di Dio è nella croce,
Resta deluso chi seguiva “un immagine di Messia che non è il Messia”, chi aspettava la sconfitta dei romani attraverso la spada; stupisce perché Dio si svela e regna “solo “con la forza dell’amore. Se la fede perde lo stupore diventa sorda e si rifugia nei clericalismi e nei legalismi. Lo stupore è diverso dall’ammirazione del mondo: anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia… Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore.
Ma perché – chiede il Papa – tutta questa umiliazione? “Per toccare fino in fondo la nostra realtà umana, non lasciarci soli, per salvarci. Gesù sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma”. Occorre allora lasciarsi commuovere dall’amore di Dio, scuotere una fede “logorata dall’abitudine, una vita paralizzata da rimpianti e insoddisfazioni, aprirsi allo Spirito e chiedere a Lui la grazia dello stupore:
Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme.
Quindi dall’altare della cattedra il Papa celebra l’Angelus con queste parole.
“Cari fratelli e sorelle, siamo entrati nella Settimana Santa. Per la seconda volta la viviamo nel contesto della pandemia. L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante. In questa situazione storica e sociale, Dio cosa fa? Prende la croce. Gesù prende la croce, cioè si fa carico del male che tale realtà comporta, male fisico, psicologico e soprattutto male spirituale, perché il Maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania.
E noi? Che cosa dobbiamo fare? Ce lo mostra la Vergine Maria, la Madre di Gesù che è anche la sua prima discepola. Lei ha seguito il suo Figlio. Ha preso su di sé la propria parte di sofferenza, di buio, di smarrimento e ha percorso la strada della passione custodendo accesa nel cuore la lampada della fede. Con la grazia di Dio, anche noi possiamo fare questo cammino. E, lungo la via crucis quotidiana, incontriamo i volti di tanti fratelli e sorelle in difficoltà: non passiamo oltre, lasciamo che il cuore si muova a compassione e avviciniamoci. Sul momento, come il Cireneo, potremo pensare: “Perché proprio io?”. Ma poi scopriremo il dono che, senza nostro merito, ci è toccato”.
Chiusi gli appuntamenti domenicali, lunedì, Papa Francesco all’udienza con il Pontificio Collegio Messicano scruta la vocazione dei ministri della Chiesa. Contro la tentazione della mondanità spirituale è necessario, afferma, lasciarsi modellare da Dio nella carità, che fa allargare il cuore e spinge ad abbracciare gli esclusi.
In una società afflitta da violenza e diseguaglianze e segnata dalla pandemia, il sacerdote è chiamato a portare uno sguardo di “tenerezza, riconciliazione e fratellanza”, conformandolo così a quello con cui il Signore “ci contempla”.
Su queste tre parole chiave il Papa intesse il suo discorso parlando in spagnolo alla comunità del Pontificio Collegio Messicano, ricevuta in udienza. È la configurazione sempre più profonda con il Buon Pastore a suscitare “in ogni sacerdote un’autentica compassione, sia per le pecore che gli sono affidate, sia per quelle che si sono smarrite”, rimarca Francesco. Centrale anche l’esortazione a prendere coscienza e correggere le proprie carenze e a non sottovalutare le tentazioni mondane.
All’inizio del suo intervento il Papa ringrazia il rettore, padre Víctor Ulises Vásquez Moreno, per aver ricordato le principali sfide per l’evangelizzazione del Messico e dell’intero continente americano, in particolare a causa della pandemia. Sfide che hanno impatto anche sul cammino di formazione permanente che i sacerdoti intraprendono. In questo senso è dunque “essenziale armonizzare la dimensione accademica, spirituale, umana e pastorale nella formazione permanente”. E allo stesso tempo il Papa esorta a “prendere coscienza” delle “carenze personali e comunitarie, così come – indica – delle negligenze e mancanze che dobbiamo correggere nella nostra vita”. Invita a “non sottovalutare le tentazioni mondane che possono portarci a una conoscenza personale insufficiente, ad atteggiamenti autoreferenziali, al consumismo e alle molteplici forme di fuga dalle nostre responsabilità”. Richiamandosi a De Lubac, Francesco ricorda che “la mondanità spirituale è il peggiore dei mali che può capitare alla Chiesa”.
Il Pontefice offre come modello Maria che con materna tenerezza riflette l’amore di Dio che “accoglie tutti”. “Per questo però è necessario lasciarsi modellare dal Signore perché si intensifichi “la nostra carità pastorale, dove nessuno è escluso dalla nostra sollecitudine e dalla nostra preghiera”. Questo tra l’altro impedisce di isolarsi in casa, in ufficio o in passatempi e “incoraggia ad uscire per incontrare persone, a non stare fermi”. Quindi, invita a non clericalizzarsi: “il clericalismo è una perversione”. Per quanto riguarda la riconciliazione i pastori sono chiamati a contribuire a “ricostruire relazioni rispettose e costruttive tra persone”, a “intessere i diversi fili che si sono assottigliati o sono stati tagliati nella tilma multicolore di culture che formano il tessuto sociale e religioso della nazione, prestando attenzione, soprattutto, a quanti sono scartati a causa delle loro radici indigene o della loro particolare religiosità popolare”. Bisogna, dunque, proporre a tutti di “lasciarsi riconciliare da Dio” e di impegnarsi per il ristabilimento della giustizia.
Di fronte a una realtà globalizzata e interconnessa dalle reti sociali e dai mezzi di comunicazione, serve “una visione dell’insieme e dell’unità, che ci spinga a creare fraternità, che ci permetta di evidenziare i punti di connessione e interazione all’interno delle culture e all’interno del mondo ecclesiale”, sottolinea ancora Francesco. Bisogna anche incoraggiare i fedeli a essere rispettosi della nostra casa comune e costruttori di un mondo nuovo, in collaborazione con tutti. “Per questo serve la fede e la saggezza “di chi sa ‘togliersi i calzari’ per contemplare il mistero di Dio…