Papa Francesco in Lettonia – Bergoglio ha nuovamente evidenziato il coraggio della popolazione nell’affrontare guerre e violenze passate. Siamo nel Paese baltico a maggioranza – relativa – protestante (il 25% della popolazione), con i cattolici al 21% e gli ortodossi all’11. È la tappa con maggiori implicazioni ecumeniche del 25° viaggio apostolico del Pontefice. Papa Francesco invita tutti i cristiani a non ridurre la propria “tradizione cristiana” ad “un oggetto del passato, chiuso tra le pareti delle nostre chiese”, a non nascondere la propria fede ma a farla “conoscere e risuonare in diversi ambienti della società, perché tutti possano contemplare la sua bellezza e essere illuminati dalla sua luce”. Li esorta ad un ecumenismo “in chiave missionaria”, a smettere “di guardare le ferite del passato ed ogni atteggiamento autoreferenziale”, ma “di uscire e raggiungere il cuore della nostra gente e delle culture, della società postmoderna in cui viviamo”.
” È motivo di gioia potermi trovare per la prima volta in Lettonia e in questa città, che, come tutto il vostro Paese, è stata segnata da dure prove sociali, politiche, economiche e anche spirituali – dovute alle divisioni e ai conflitti del passato – ma che oggi è diventata uno dei principali centri culturali, politici e portuali della regione. I vostri rappresentanti nel campo della cultura e dell’arte, in particolare del mondo musicale, sono ben conosciuti all’estero. Anch’io oggi ho potuto apprezzarli al mio arrivo in aeroporto. Perciò penso che a voi si possano ben applicare le parole del salmista: «Hai mutato il mio lamento in danza» (Sal 30,12). La Lettonia, terra dei “dainas”, ha saputo cambiare il suo lamento e il suo dolore in canto e danza e si è sforzata di trasformarsi in un luogo di dialogo e di incontro, di convivenza pacifica che cerca di guardare avanti.
Celebrate i cento anni della vostra indipendenza, momento significativo per la vita dell’intera società. Voi conoscete molto bene il prezzo di questa libertà che avete dovuto conquistare e riconquistare. Una libertà resa possibile grazie alle radici che vi costituiscono, come amava ricordare Zenta Maurina che ha ispirato tanti di voi: «Le mie radici sono in cielo». Senza questa capacità di guardare in alto, di fare appello a orizzonti più alti che ci ricordano quella “dignità trascendente” che è parte integrante di ogni essere umano (cfr Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014), non sarebbe stata possibile la ricostruzione della vostra Nazione. Tale capacità spirituale di guardare oltre, che si fa concreta in piccoli gesti quotidiani di solidarietà, di compassione e di aiuto reciproco, vi ha sostenuto e, a sua volta, vi ha dato la creatività necessaria per dar vita a nuove dinamiche sociali di fronte a tutti i tentativi riduzionisti e di esclusione che minacciano sempre il tessuto sociale.
Sono lieto di sapere che nel cuore delle radici che costituiscono questa terra si trova la Chiesa Cattolica, in un’opera di piena collaborazione con le altre Chiese cristiane, il che è segno di come sia possibile sviluppare una comunione nelle differenze. Realtà che si verifica quando le persone hanno il coraggio di andare al di là della superficie conflittuale e si guardano nella loro dignità più profonda. Così possiamo affermare che ogni volta che, come persone e comunità, impariamo a puntare più in alto di noi stessi e dei nostri interessi particolari, la comprensione e l’impegno reciproci si trasformano in solidarietà; e questa, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa un modo di fare la storia, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e anche quelli che si sarebbero potuti considerare opposti in passato, possono raggiungere un’unità multiforme che genera nuova vita (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Così come ha nutrito la vita del vostro popolo, oggi il Vangelo può continuare ad aprire strade per affrontare le sfide attuali, valorizzando le differenze e soprattutto promuovendo la comune-unione tra tutti.
La celebrazione del centenario ricorda l’importanza di continuare a scommettere sulla libertà e l’indipendenza della Lettonia, che certamente sono un dono, ma sono anche un compito che coinvolge tutti. Lavorare per la libertà significa impegnarsi in uno sviluppo integrale e integrante delle persone e della comunità. Se oggi si può fare festa è grazie a tanti che hanno aperto strade, porte, futuro, e vi hanno lasciato in eredità la stessa responsabilità: aprire futuro avendo di mira che tutto sia al servizio della vita, generi vita. E, in tale prospettiva, al termine di questo incontro ci recheremo al Monumento alla Libertà, dove saranno presenti bambini, giovani e famiglie. Essi ci ricordano che la “maternità” della Lettonia – analogia suggerita dal motto di questo viaggio – trova eco nella capacità di promuovere strategie che siano veramente efficaci e focalizzate sui volti concreti di queste famiglie, di questi anziani, bambini e giovani, più che sul primato dell’economia sopra la vita. La “maternità” della Lettonia si manifesta anche nella capacità di creare opportunità di lavoro, in modo che nessuno debba sradicarsi per costruire il proprio futuro. L’indice di sviluppo umano si misura anche dalla capacità di crescere e moltiplicarsi. Lo sviluppo delle comunità non si attua e nemmeno si misura unicamente per la capacità di beni e risorse che si possiedono, ma per il desiderio che si ha di generare vita e creare futuro. Questo è possibile solo nella misura in cui ci sono radicamento nel passato, creatività nel presente e fiducia e speranza nel domani. E si misura dalla capacità di spendersi e di scommettere così come le generazioni passate ci hanno saputo testimoniare.
Signor Presidente, amici tutti, inizio qui il mio pellegrinaggio in questa terra, chiedendo a Dio di continuare ad accompagnare, benedire e rendere prospera l’opera delle vostre mani per questa Nazione.