Papa Francesco: “L’ascensione completa la missione di Gesù in mezzo a noi”

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Papa – Papa Francesco commentando il capitolo conclusivo del Vangelo di Marco in cui viene presentato l’ultimo incontro del Risorto con i discepoli prima di salire alla destra del Padre ci ricorda che non siamo testimoni abbandonati perché Cristo è con noi. Le parole del Pontefice durante il Regina Coeli scintillano di speranza e gioia nella certezza che Gesù, salito al Padre, prega per noi.

LE PAROLE DEL PAPA
“Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore. La pagina evangelica (Mc 16,15-20) – la conclusione del Vangelo di Marco – ci presenta l’ultimo incontro del Risorto con i discepoli prima di salire alla destra del Padre. Di solito, lo sappiamo, le scene di addio sono tristi, procurano a chi resta un sentimento di smarrimento, di abbandono; invece tutto ciò ai discepoli non accade. Nonostante il distacco dal Signore, essi non si mostrano sconsolati, anzi, sono gioiosi e pronti a partire missionari nel mondo” è l’esordio del Papa nel Regina Caeli.
“Perché i discepoli non sono tristi? Perché anche noi dobbiamo gioire al vedere Gesù che ascende al cielo? L’ascensione completa la missione di Gesù in mezzo a noi. Infatti, se è per noi che Gesù è disceso dal cielo, è sempre per noi che vi ascende. Dopo essere disceso nella nostra umanità e averla redenta – Dio, il Figlio di Dio, scende e si fa uomo prende la nostra umanità e la redime – ora ascende al cielo portando con sé la nostra carne. È il primo uomo che entra nel cielo, perché Gesù è uomo, vero uomo, è Dio, vero Dio; la nostra carne è in cielo e questo ci dà gioia. Alla destra del Padre siede ormai un corpo umano, per la prima volta, il corpo di Gesù, e in questo mistero ognuno di noi contempla la propria destinazione futura. Non si tratta affatto di un abbandono, Gesù rimane per sempre con i discepoli, con noi. Rimane nella preghiera, perché Lui, come uomo, prega il Padre, e come Dio, uomo e Dio, Gli fa vedere le piaghe, le piaghe con le quali ci ha redenti. La preghiera di Gesù è lì, con la nostra carne: è uno di noi, Dio uomo, e prega per noi. E questo ci deve dare una sicurezza, anzi una gioia, una grande gioia! E il secondo motivo di gioia è la promessa di Gesù. Lui ci ha detto: “Vi invierò lo Spirito Santo”. E lì, con lo Spirito Santo, si fa quel comandamento che Lui dà proprio nel congedo: “Andate nel mondo, annunziate il Vangelo”. E sarà la forza dello Spirito Santo che ci porta là nel mondo, a portare il Vangelo. È lo Spirito Santo di quel giorno, che Gesù ha promesso, e poi nove giorni dopo verrà nella festa di Pentecoste. Proprio è lo Spirito Santo che ha reso possibile che tutti noi siamo oggi così. Una gioia grande! Gesù se n’è andato in cielo: il primo uomo davanti al Padre. Se n’è andato con le piaghe, che sono state il prezzo della nostra salvezza, e prega per noi. E poi ci invia lo Spirito Santo, ci promette lo Spirito Santo, per andare a evangelizzare. Per questo la gioia di oggi, per questo la gioia di questo giorno dell’Ascensione.
Fratelli e sorelle, in questa festa dell’Ascensione, mentre contempliamo il Cielo, dove Cristo è asceso e siede alla destra del Padre, chiediamo a Maria, Regina del Cielo, di aiutarci a essere nel mondo testimoni coraggiosi del Risorto nelle situazioni concrete della vita”.

SCONTRI IN MEDIORIENTE
Quindi dopo il Regina Caeli il Papa ha parlato delle violenze arabo-israeliane. “Seguo con grandissima preoccupazione quello che sta avvenendo in Terra Santa. In questi giorni, violenti scontri armati tra la Striscia di Gaza e Israele hanno preso il sopravvento, e rischiano di degenerare in una spirale di morte e distruzione. Numerose persone sono rimaste ferite, e tanti innocenti sono morti. Tra di loro ci sono anche i bambini, e questo è terribile e inaccettabile. La loro morte è segno che non si vuole costruire il futuro, ma lo si vuole distruggere.
Inoltre, il crescendo di odio e di violenza che sta coinvolgendo varie città in Israele è una ferita grave alla fraternità e alla convivenza pacifica tra i cittadini, che sarà difficile da rimarginare se non ci si apre subito al dialogo. Mi chiedo: l’odio e la vendetta dove porteranno? Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro? “In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro” (cfr. Documento Fratellanza Umana) faccio appello alla calma e, a chi ne ha responsabilità, di far cessare il frastuono delle armi e di percorrere le vie della pace, anche con l’aiuto della Comunità Internazionale.
Preghiamo incessantemente affinché israeliani e palestinesi possano trovare la strada del dialogo e del perdono, per essere pazienti costruttori di pace e di giustizia, aprendosi, passo dopo passo, ad una speranza comune, ad una convivenza tra fratelli.

FRANCESCO MARIA DELLA CROCE BEATO
A seguire Papa Francesco ha ricordato la beatificazione, ieri a Roma in San Giovanni in Laterano, del sacerdote Francesco Maria della Croce, fondatore dei religiosi Salvatoriani e delle religiose Salvatoriane.
Egli fu instancabile annunciatore del Vangelo, utilizzando ogni mezzo che la carità di Cristo gli ispirava. Il suo zelo apostolico sia di esempio e di guida a quanti nella Chiesa sono chiamati a portare la parola e l’amore di Gesù in ogni ambiente.

LE SOFFERENZE DEL POPOLO BIRMANO
Negli appuntamenti domenicali Papa Francesco porta sull’altare “le sofferenze” dell’amato popolo birmano, segnato dalla violenta repressione delle manifestazioni che attraversano il Myanmar, dal golpe del primo febbraio scorso, che ha portato al potere la giunta militare. Il Papa prega con forza Dio perché converta i cuori di tutti alla pace e ricorda che “il Signore sempre ascolta il grido del suo popolo”. Questa vicinanza e questa preghiera le esprime anche con la Messa di celebrata presso l’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, e dedicata ai fedeli del Myanmar residenti a Roma, nei cui occhi si legge quel grido di dolore di cui parla Francesco nell’omelia. Una Messa in cui la Prima e la Seconda Lettura vengono proclamate in birmano e anche alcuni canti sono nella lingua del Paese asiatico, rendendo ‘vicino’ questo luogo lacerato, così come hanno fatto i tanti appelli per il Myanmar rivolti dal Papa in questo tempo.
A loro il Papa chiede di custodire la fede, l’unità e la verità, rischiando anche la vita per il Vangelo. Lo fa a partire proprio dal brano in cui Gesù, nel momento del doloroso congedo dai suoi discepoli e da questo mondo, prega il Padre per i suoi amici usando il verbo custodire. “Custodire la verità”, spiega, non significa difendere delle idee, “diventare guardiani di un sistema di dottrine e di dogmi”, ma restare legati a Cristo perché Lui è “la verità”. La preghiera per i suoi discepoli è dunque quella che non seguano “i criteri” del mondo, piegando il Vangelo a logiche umane. “Custodire la verità significa essere profeti in tutte le situazioni della vita” e esserne testimoni anche quando significa andare controcorrente:
A volte, noi cristiani cerchiamo il compromesso, ma il Vangelo ci chiede di essere nella verità e per la verità, per la propria verità, donando la vita per gli altri. E dove c’è guerra, violenza, odio, essere fedeli al Vangelo e artigiani di pace significa impegnarsi, anche attraverso le scelte sociali e politiche, rischiando la vita. Solo così le cose possono cambiare. Il Signore non ha bisogno di gente tiepida: ci vuole consacrati nella verità e nella bellezza del Vangelo, perché possiamo testimoniare la gioia del Regno di Dio anche nella notte buia del dolore e quando il male sembra più forte.
Il Papa sa che “una malattia mortale” come è la divisione si sperimenta nelle famiglie, nelle comunità, tra i popoli, perfino nella Chiesa. Invidie, gelosie, la ricerca di interessi personali invece che del bene di tutti, i giudizi contro gli altri, sono peccati contro l’unità. E i “piccoli conflitti” che ci sono tra di noi, si riflettono poi nei grandi conflitti, come quello che vive in questi giorni “il vostro Paese”, afferma ricordando che “quando gli interessi di parte, la sete di profitto e di potere prendono il sopravvento, scoppiano sempre scontri e divisioni”. E mentre la divisione viene dal diavolo, Gesù supplica il Padre per l’unità: Quanto bisogno c’è, soprattutto oggi, di fraternità! So che alcune situazioni politiche e sociali sono più grandi di voi, ma l’impegno per la pace e la fraternità nasce sempre dal basso: ciascuno, nel piccolo, può fare la sua parte. Ciascuno può impegnarsi a essere, nel piccolo, un costruttore di fraternità, a essere seminatore di fraternità, a lavorare per ricostruire ciò che si è spezzato invece che alimentare la violenza. Siamo chiamati a farlo, anche come Chiesa: promuoviamo il dialogo, il rispetto per l’altro, la custodia del fratello, la comunione! “Non lasciamo – prosegue a braccio – entrare nella Chiesa la logica dei partiti, la logica che divide, la logica che ci mette – ognuno di noi – al centro, scartando gli altri. Questo distrugge: distrugge la famiglia, distrugge la Chiesa, distrugge la società, distrugge noi stessi”. Custodire la fede è tenere lo sguardo alto verso il cielo mentre sulla terra si combatte e si sparge il sangue innocente. È non cedere alla logica dell’odio e della vendetta, ma restare con lo sguardo rivolto a quel Dio dell’amore che ci chiama ad essere fratelli tra di noi”.

LA PREGHIERA

La preghiera, infatti, non è una fuga dai problemi, ma “al contrario, è l’unica arma che abbiamo per custodire l’amore e la speranza in mezzo a tante armi che seminano morte”. Anche gridare la nostra sofferenza a Dio è preghiera. “In certi momenti – afferma –  è una preghiera che Dio accoglie più delle altre perché nasce da un cuore ferito, e il Signore sempre ascolta il grido del suo popolo e asciuga le sue lacrime”. E ricorda in proposito le parole che una donna anziana diceva ai suoi nipoti: “Anche arrabbiarsi con Dio può essere una preghiera”. Quindi, ricorda che Gesù ancora oggi “prega il Padre e intercede per tutti noi, perché ci custodisca dal maligno e ci liberi dal potere del male”. E, dunque, non bisogna perdere la speranza.




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