In una fresca giornata di fine febbraio, il Pontefice è tornato a parlare ai fedeli della Speranza cristiana nella quale ciascuno si deve riconoscere perché ancora di salvezza (cfr Rm 8,19-27)
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” ha esordito come d’abitudine Papa Francesco: “Spesso siamo tentati di pensare che il creato sia una nostra proprietà, un possedimento che possiamo sfruttare a nostro piacimento e di cui non dobbiamo rendere conto a nessuno. Nel passo della Lettera ai Romani (8,19-27) di cui abbiamo appena ascoltato una parte, l’Apostolo Paolo ci ricorda invece che la creazione è un dono meraviglioso che Dio ha posto nelle nostre mani, perché possiamo entrare in relazione con Lui e possiamo riconoscervi l’impronta del suo disegno d’amore, alla cui realizzazione siamo chiamati tutti a collaborare, giorno dopo giorno.
Quando però si lascia prendere dall’egoismo, l’essere umano finisce per rovinare anche le cose più belle che gli sono state affidate. E così è successo anche per il creato. Pensiamo all’acqua. L’acqua è una cosa bellissima e tanto importante; l’acqua ci dà la vita, ci aiuta in tutto ma per sfruttare i minerali si contamina l’acqua, si sporca la creazione e si distrugge la creazione. Questo è un esempio soltanto. Ce ne sono tanti. Con l’esperienza tragica del peccato, rotta la comunione con Dio, abbiamo infranto l’originaria comunione con tutto quello che ci circonda e abbiamo finito per corrompere la creazione, rendendola così schiava, sottomessa alla nostra caducità. E purtroppo la conseguenza di tutto questo è drammaticamente sotto i nostri occhi, ogni giorno. Quando rompe la comunione con Dio, l’uomo perde la propria bellezza originaria e finisce per sfigurare attorno a sé ogni cosa; e dove tutto prima rimandava al Padre Creatore e al suo amore infinito, adesso porta il segno triste e desolato dell’orgoglio e della voracità umani. L’orgoglio umano, sfruttando il creato, distrugge.
Il Signore però non ci lascia soli e anche in questo quadro desolante ci offre una prospettiva nuova di liberazione, di salvezza universale. È quello che Paolo mette in evidenza con gioia, invitandoci a prestare ascolto ai gemiti dell’intero creato. Se facciamo attenzione, infatti, intorno a noi tutto geme: geme la creazione stessa, gemiamo noi esseri umani e geme lo Spirito dentro di noi, nel nostro cuore. Ora, questi gemiti non sono un lamento sterile, sconsolato, ma – come precisa l’Apostolo – sono i gemiti di una partoriente; sono i gemiti di chi soffre, ma sa che sta per venire alla luce una vita nuova. E nel nostro caso è davvero così. Noi siamo ancora alle prese con le conseguenze del nostro peccato e tutto, attorno a noi, porta ancora il segno delle nostre fatiche, delle nostre mancanze, delle nostre chiusure. Nello stesso tempo, però, sappiamo di essere stati salvati dal Signore e già ci è dato di contemplare e di pregustare in noi e in ciò che ci circonda i segni della Risurrezione, della Pasqua, che opera una nuova creazione.
Questo è il contenuto della nostra speranza. Il cristiano non vive fuori dal mondo, sa riconoscere nella propria vita e in ciò che lo circonda i segni del male, dell’egoismo e del peccato. È solidale con chi soffre, con chi piange, con chi è emarginato, con chi si sente disperato… Però, nello stesso tempo, il cristiano ha imparato a leggere tutto questo con gli occhi della Pasqua, con gli occhi del Cristo Risorto. E allora sa che stiamo vivendo il tempo dell’attesa, il tempo di un anelito che va oltre il presente, il tempo del compimento. Nella speranza sappiamo che il Signore vuole risanare definitivamente con la sua misericordia i cuori feriti e umiliati e tutto ciò che l’uomo ha deturpato nella sua empietà, e che in questo modo Egli rigenera un mondo nuovo e una umanità nuova, finalmente riconciliati nel suo amore.
Quante volte noi cristiani siamo tentati dalla delusione, dal pessimismo… A volte ci lasciamo andare al lamento inutile, oppure rimaniamo senza parole e non sappiamo nemmeno che cosa chiedere, che cosa sperare… Ancora una volta però ci viene in aiuto lo Spirito Santo, respiro della nostra speranza, il quale mantiene vivi il gemito e l’attesa del nostro cuore. Lo Spirito vede per noi oltre le apparenze negative del presente e ci rivela già ora i cieli nuovi e la terra nuova che il Signore sta preparando per l’umanità”.
Dopo i consueti saluti conclusivi, ecco l’appello del Vescovo di Roma contro la violenza della guerra: “Destano particolare apprensione le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che colpisce la Regione del Corno d’Africa e che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini. In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”.
Quindi ha concluso: “Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, giorno di speciale comunione dei credenti con il Successore di San Pietro e con la Santa Sede. Cari giovani, vi incoraggio ad intensificare la vostra preghiera a favore del mio ministero petrino; cari ammalati, vi ringrazio per la testimonianza di vita data nella sofferenza per l’edificazione della comunità ecclesiale; e voi, cari sposi novelli, costruite la vostra famiglia sullo stesso amore che lega il Signore Gesù alla sua Chiesa”.
L’esegesi della lettera di Paolo porta a queste considerazioni. Il creato è stato sottomesso alla vanità non per suo volere, ma per volere di Dio. Il Padre dunque sacrifica per noi non solo il Figlio, ma anche tutto il creato. Se c’è merito per il Figlio, non c’è merito di sacrificio per la creazione, in quanto viene sottomessa alla vanità semplicemente per volere di un altro. Invero il mondo è stato creato per l’uomo e non per Dio. Allorché l’uomo viene meno al suo Dio, la creazione per non venire meno a Dio, deve venire meno all’uomo. Non è più solo ed esclusivamente per l’uomo, ma anche contro l’uomo, per rimanere con Dio. Perché resti viva la speranza di una vita futura che può essere solo con l’uomo e per l’uomo, la creazione necessariamente deve accettare il sacrificio imposto da Dio. Deve seguire l’uomo nella sua storia e nella sua caduta, se vuole seguirlo nella gloria futura. Mentre per l’uomo cieli nuovi e terra nuova sono semplicemente donati, per la creazione sono in un certo senso dovuti, non avendo essa alcuna responsabilità di peccato. Non tutti gli uomini conosceranno la redenzione futura, viceversa tutta la creazione sarà redenta, non essendoci in essa macchia di peccato, ma semplicemente essendo stata macchiata dal peccato dell’uomo.
Della sofferenza del creato sembra proprio che poco ce ne importi. Eppure è reale e non ipotetica. Siamo talmente presi dal nostro dolore che quasi neppure ci accorgiamo che tutta la creazione geme e soffre insieme con noi. Non di sofferenza propria, ma di sofferenza indotta dall’amore del Padre. E’ come se il Padre stesso soffrisse per noi in tutto il creato. E questo deve portarci a guardare il creato con occhi diversi. A volte ci sembra brutto e a noi ostile, facciamo fatica a vedere in questo dono l’amore del Signore. Ma l’amore di Dio si vede proprio dal fatto che il creato stesso soffre per colpa nostra perché così agito dal Creatore. Noi non riusciamo a concepire una qualche sofferenza in Dio, se non quella che si è manifestata nel Figlio che si è fatto carne e quella che si manifesta nella Sua creazione. Può la creazione gioire dopo la caduta dell’uomo, quando nessuna gioia trova più nell’uomo e quando rimane ferita nel conflitto da esso provocato? Può solo soffrire con lui e per lui, ma di una sofferenza diversa che non è quella della colpa, ma di chi fa propria la colpa, per volere del Creatore, nella speranza di un futuro diverso, di cui si fa garante non l’uomo, ma l’amore di Dio. Potresti obiettare che non si comprende proprio come vi sia sofferenza in tutta la creazione dal momento che il soffrire è proprio ed esclusivo degli esseri razionali. Si può soffrire senza averne coscienza e quale coscienza possiamo noi dare agli animali, alle piante, agli esseri minerali? Per quel che riguarda gli animali, in quanto possiedono un’anima, è innegabile una qualche coscienza di sé. Si tratta ovviamente di una coscienza non razionale, ma per certi aspetti simile a quella dell’uomo: ha una propria intelligenza e memoria, è capace di godere e di avvertire il dolore. Per quel che riguarda le piante, nessuna coscienza riusciamo ad attribuire loro. Sta di fatto che reagiscono agli stimoli esterni, e possiedono certe funzioni degli esseri viventi. Per il regno minerale tutto sembra diverso: non c’è vita in esso e qualsiasi fatto ed accadimento benché lo coinvolga, gli risulta indifferente. Parlando del creato Paolo avrebbe dovuto fare qualche distinzione. In realtà ne parla come di una realtà unica, come se avesse una sola anima razionale. Ci sembra che tutto questo si debba intendere secondo la logica dell’immagine. Certo il creato non ha coscienza del proprio stato, ma cosciente del suo stato è Colui che lo mantiene in vita. Se il mondo non ha consapevolezza di portare i segni della caduta dell’uomo questa consapevolezza è ben presente nel Creatore. Si può portare le conseguenze del male, senza avere consapevolezza del male. Per quanto riguarda gli animali poi se sono estranei al concetto di bene, non sono certo indifferenti al dolore. Lo avvertono e come! Sembra che Paolo veda nel creato una sofferenza ed un’ansia di redenzione che più propriamente appartiene al suo Creatore. Dio è stanco di vedere sacrificato il mondo intero per il peccato dell’uomo. Desidera che abbia fine una volta per sempre quella morte e disgregazione degli esseri che è entrata nella creazione per colpa di Adamo. Certo è difficile definire una qualche sofferenza in Dio ed allora ricorre all’immagine attribuendo alla creazione una coscienza razionale del proprio stato che appartiene solo al Creatore. Vedi come l’unico a lamentarsi della sofferenza sia proprio l’uomo, colui che l’ ha cercata e portata nel mondo? Il Creatore e tutta la creazione hanno fatto propria una sofferenza alla quale potevano rimanere estranei. Certo non vedono l’ora che sia finita, ma non imprecano contro l’uomo, e sanno pazientare con amore. Se l’uomo porta pazienza solo per la sua vita, Dio porta pazienza per tutte le vite. E noi vorremmo essere liberati subito da ciò che ci fa patire, senza nulla dare in cambio? Ci basti il dono dello Spirito Santo, in quanto alla liberazione definitiva da ogni dolore, possiamo anche aspettare. Non facciamo come certi bambini disobbedienti che finiscono per cadere in disgrazia. Si fanno molto male e sarebbero in fin di vita se non venissero salvati. Benché portino i segni e le ferite dell’incidente, sono ormai fuori pericolo. Invece di gioire per la salvezza, sono tristi per la sofferenza presente. Non ringraziano chi li ha salvati ma imprecano per il dolore delle ferite. Se è vero che siamo stati liberati dalla dannazione eterna, è altresì vero che portiamo le conseguenze di una caduta passata. Bisogna portare pazienza, fino a quando saremo completamente ristabiliti, e rivestiti di una vita nuova dove non vi è alcuna possibilità di ricaduta.