Papa Francesco incontra i parenti di Asia Bibi

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Concluso il ritiro quaresimale ad Ariccia, ecco per Papa Francesco una fine settimana ricca di impegni. Quello odierno è un sabato con un incontro particolare e con un’iniziativa particolare.
La giovane figlia di Asia Bibi è attesa in Vaticano dove incontrerà Papa Francesco assieme al padre e a una delegazione di Aiuto alla Chiesa che soffre, in occasione dell’iniziativa del #ColosseoRosso organizzata “per non dimenticare i martiri della persecuzione anticristiana nel mondo”.

“Voglio pregare insieme al Santo Padre per la liberazione di mia madre e, se possibile, voglio dargli un bacio da parte sua e delle mie sorelle”. Lo ha dichiarato, durante un incontro con i media capitolini, Eisham Ashiq, la figlia più piccola di Asia Bibi, condannata a morte in Pakistan con l’accusa di blasfemia e in carcere ormai da nove anni. “Mi sento incompleta senza mia madre – ha raccontato la ragazza da poco maggiorenne –. Ci sono molte cose da donna e da giovane ragazza di cui mi posso confidare solo con lei. Anche se mio padre cerca di essere allo stesso tempo sia padre sia madre. Ma quello che è una mamma per una giovane ragazza può esserlo solo una mamma”.
Anche il marito di Asia Bibi, Ashiq Masih, ha lanciato il suo appello raccontando dell’ultimo incontro della famiglia con la donna. “La possiamo andare a trovare una volta al mese per 15 minuti. L’ultima visita in carcere è stata il 17 febbraio, prima di partire per l’Italia. Mia moglie sa di questo evento e mi ha chiesto di ringraziare la comunità internazionale per la sensibilità e chiede a tutti quanti di pregare per lei”.

L’uomo ha raccontato anche gli sviluppi dell’iter processuale. “L’appello è stato presentato presso la Corte suprema del Pakistan. Speriamo che presto possa esserci un’udienza, anche se c’è un continuo rimando. Se non c’è la volontà di risolvere il caso, i tempi giuridici diventeranno molto lunghi. Grazie alla comunità e ai media internazionali lei è ancora viva oggi. Se tengono accesi i riflettori su di lei sarà possibile che anche l’attesa giudiziaria diventi minore”.

Sono trascorsi ormai otto anni da quel 19 giugno 2009 quando, in Pakistan, Asia Bibi, mamma cristiana di cinque figli, fu arrestata su accusa di blasfemia da parte di alcune sue compagne di lavoro, e sette anni da quando, nel 2010, fu condannata a morte.

Asia Bibi, una innocente costretta da nove anni a subire un destino iniquo, imprigionata in una cella senza finestre, vive col cuore rivolto a Dio, illuminata dal dono della grazia e della fede
La vicenda ebbe inizio il 14 giugno 2009. Asia Naurīn Bibi era una lavoratrice agricola a giornata. Quel giorno era impegnata nella raccolta di alcune bacche. Ma ecco che all’improvviso scoppia un diverbio con le lavoratrici vicine, di religione musulmana. A lei era stato chiesto di andare a prendere dell’acqua. Un gruppo di donne musulmane l’avrebbe respinta sostenendo che Asia, in quanto cristiana, non avrebbe dovuto toccare il recipiente, perché l’avrebbe reso impuro.

Il 19 giugno, le donne decidono di denunciare Asia Bibi alle autorità sostenendo che, durante la discussione, avrebbe offeso Maometto. Picchiata, chiusa in uno stanzino, stuprata, è infine arrestata pochi giorni dopo nel villaggio di Ittanwalai e, nonostante che contro di lei non ci sia nessuna prova, viene richiusa nel carcere di Sheikhupura.

Asia Bibi ha sempre negato le accuse e ha replicato di essere perseguitata e discriminata a causa del suo credo religioso.

“Il tempo della Quaresima è per Asia Bibi un tempo di attesa non sterile o vuota, ma feconda: una fecondità data dall’atteggiamento di fede e dalla preghiera incessante, quella che affida ogni vicissitudine e ogni sofferenza alle mani di Dio. Grazie alla paziente opera di una donna cristiana tra le guardie carcerarie, Asia, che era una contadina analfabeta, in questi anni ha imparato a leggere e ora si cimenta anche con la lettura della Sacra Bibbia. È uno tra i tanti doni che la donna riesce a riconoscere in questo suo isolamento forzato, «che considera una sorta di eremitaggio” riferisce Nadeem, sociologo della Renaissance Education Foundation.
Il pool degli avvocati si sta impegnando per ottenere la sospirata udienza davanti alla Corte Suprema, il terzo grado di giudizio, che potrebbe essere un momento risolutivo. Dopo la condanna in primo grado e la conferma nel verdetto di appello, è rimato solo l’appiglio al Tribunale supremo del Pakistan. I legali, valutando la situazione, hanno preferito presentare il ricorso alla sezione di Islamabad, e dai giudici della capitale pakistana si attende venga fissata la data per l’udienza.
Vi sono state però nei mesi scorsi imponenti manifestazioni di piazza proprio a Islamabad, con un sit-in di protesta convocato da gruppi integralisti islamici che ha messo alla prova la tenuta del paese. Nel braccio di ferro con il governo, mentre i militanti hanno bloccato parte della capitale, l’esecutivo, pur di porre fine pacificamente alle manifestazioni, ha dovuto firmare un memorandum di intesa, che a molti osservatori è parso di stampo ricattatorio. Nel testo il governo si impegnava a non modificare in alcun modo la legge di blasfemia e, tra i punti citati, vi era anche un esplicito riferimento al caso di Asia Bibi.
In Pakistan il suo è divenuto un caso simbolico, che esula dalla realtà fattuale e dall’accertamento della innocenza o colpevolezza. “I radicali islamici vogliono solo che venga impiccata , come è stato giustiziato Mumtaz Qadri, l’ex guardia del corpo e omicida reo confesso del governatore Salmaan Taseer, un coraggioso uomo politico musulmano che aveva difeso Asia. Nella loro logica ostinata, mettono sullo stesso piano un killer e una innocente” rileva Nadeem.

Quel che è davvero scandaloso di questa vicenda è il modo di agire dell’Occidente, di un Europa che con il Pakistan intrattiene rapporti commerciali e si disinteressa del rispetto dei diritti umani.
Il politicamente corretto dimostra un’indifferenza che è violenta e nefasta. La comunità internazionale, i cosiddetti gruppi per i diritti umani e i media vivacchiano in una sonnolenza, nemmeno sfiorata dal pensiero di dover proteggere i cristiani nel Pakistan ed in molti luoghi del mondo dove vivere è divenuto un problema.
“L’’islamismo va considerato come il giacobinismo del Ventunesimo secolo” – diceva lo storico Ernest Nolte. Presa di posizione forte la sua? Difficile avere certezze su uno degli argomenti più dibattuto in questi anni, ma una cosa è certa: bisogna reagire all’indifferenza perché i casi come quelli di Asia Bibi non dovrebbero esistere mai!




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