Prosegue senza sosta la visita pastorale di Papa Francesco in Myanmar. Oggi il pontefice è stato ricevuto nel Palazzo presidenziale a Nay Pyi Taw, la nuova capitale birmana, dove Francesco è arrivato in aereo da Yangon, intorno alle 15, ora locale, le 9.30 in Italia. Un’ora circa di volo per coprire i 340 chilometri di distanza tra le due città.
Dopo la Cerimonia di benvenuto, la visita di cortesia del Papa al presidente, Htin Kyaw e poi l’incontro con il consigliere di Stato, Aung San Suu Kyi, e il ministro degli affari esteri. A seguire quello con le autorità, la società civile e con il Corpo diplomatico nell’International Convention Center a 11 chilometri dal Palazzo presidenziale. E’ qui che Francesco ha tenuto il suo primo discorso al termine del quale è ripartito per rientrare a Yangon e trasferirsi per la cena all’Arcivescovado.
Il Santo Padre ha pronunciato queste parole nel corso dell’incontro con le Autorità, con la Società Civile e con i membri del Corpo Diplomatico: “Esprimo viva riconoscenza per il gentile invito a visitare il Myanmar e ringrazio la Signora Consigliere di Stato per le sue cordiali parole.
Sono molto grato a tutti coloro che hanno lavorato instancabilmente per rendere possibile questa visita. Sono venuto, soprattutto, a pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del Paese. Sono molto lieto che la mia visita si realizzi dopo l’istituzione delle formali relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede. Vorrei vedere questa decisione come segno dell’impegno della nazione a perseguire il dialogo e la cooperazione costruttiva all’interno della più grande comunità internazionale, come anche a rinnovare il tessuto della società civile.
Vorrei anche che la mia visita potesse abbracciare l’intera popolazione del Myanmar e offrire una parola di incoraggiamento a tutti coloro che stanno lavorando per costruire un ordine sociale giusto, riconciliato e inclusivo. Il Myanmar è stato benedetto con il dono di una straordinaria bellezza e di numerose risorse naturali, ma il suo tesoro più grande è certamente il suo popolo, che ha molto sofferto e tuttora soffre, a causa di conflitti interni e di ostilità che sono durate troppo a lungo e hanno creato profonde divisioni. Poiché la nazione è ora impegnata per ripristinare la pace, la guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale. Posso solo esprimere apprezzamento per gli sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida, in particolare attraverso la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresentanti dei vari gruppi nel tentativo di porre fine alla violenza, di costruire fiducia e garantire il rispetto dei diritti di tutti quelli che considerano questa terra la loro casa.
In effetti, l’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. La sapienza dei saggi ha definito la giustizia come la volontà di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto, mentre gli antichi profeti l’hanno considerata come il fondamento della pace vera e duratura. Queste intuizioni, confermate dalla tragica esperienza di due guerre mondiali, hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo come base per gli sforzi della comunità internazionale di promuovere in tutto il mondo la giustizia, la pace e lo sviluppo umano e per risolvere i conflitti mediante il dialogo e non con l’uso della forza. In questo senso, la presenza del Corpo Diplomatico in mezzo a noi testimonia non solo il posto che il Myanmar occupa tra le nazioni, ma anche l’impegno del Paese a mantenere e osservare questi principi fondamentali. Il futuro del Myanmar dev’essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo – nessuno escluso – di offrire il suo legittimo contributo al bene comune.
Nel grande lavoro della riconciliazione e dell’integrazione nazionale, le comunità religiose del Myanmar hanno un ruolo privilegiato da svolgere. Le differenze religiose non devono essere fonte di divisione e di diffidenza, ma piuttosto una forza per l’unità, per il perdono, per la tolleranza e la saggia costruzione del Paese. Le religioni possono svolgere un ruolo significativo nella guarigione delle ferite emotive, spirituali e psicologiche di quanti hanno sofferto negli anni di conflitto. Attingendo ai valori profondamente radicati, esse possono aiutare ad estirpare le cause del conflitto, costruire ponti di dialogo, ricercare la giustizia ed essere voce profetica per quanti soffrono. È un grande segno di speranza che i leader delle varie tradizioni religiose di questo Paese si stiano impegnando a lavorare insieme, con spirito di armonia e rispetto reciproco, per la pace, per soccorrere i poveri e per educare agli autentici valori religiosi e umani. Nel cercare di costruire una cultura dell’incontro e della solidarietà, essi contribuiscono al bene comune e pongono le indispensabili basi morali per un futuro di speranza e prosperità per le generazioni a venire.
Quel futuro è ancora oggi nelle mani dei giovani della nazione. I giovani sono un dono da amare e incoraggiare, un investimento che produrrà una ricca rendita solo a fronte di reali opportunità di lavoro e di una buona istruzione. Questo è un requisito urgente di giustizia tra le generazioni. Il futuro del Myanmar, in un mondo in rapida evoluzione e interconnessione, dipenderà dalla formazione dei suoi giovani, non solo nei settori tecnici, ma soprattutto nei valori etici di onestà, integrità e solidarietà umana, che possono garantire il consolidamento della democrazia e della crescita dell’unità e della pace a tutti i livelli della società. La giustizia intergenerazionale richiede altresì che le generazioni future possano ereditare un ambiente naturale incontaminato dall’avidità e dalla razzia umana. È indispensabile che i nostri giovani non siano derubati della speranza e della possibilità di impiegare il loro idealismo e i loro talenti nella progettazione del futuro del loro Paese, anzi, dell’intera famiglia umana.
Signora Consigliere di Stato, cari amici! In questi giorni, desidero incoraggiare i miei fratelli e sorelle cattolici a perseverare nella loro fede e a continuare a esprimere il proprio messaggio di riconciliazione e fraternità attraverso opere caritative e umanitarie, di cui tutta la società possa beneficiare. È mia speranza che, nella cooperazione rispettosa con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, essi contribuiscano ad aprire una nuova era di concordia e di progresso per i popoli di questa amata nazione. Lunga vita al Myanmar! Vi ringrazio per la vostra attenzione e, con i migliori auguri per il vostro servizio per il bene comune, invoco su tutti voi le benedizioni divine di saggezza, forza e pace. Grazie”.
Quindi il papa ha incontrato i leader 17 religiosi nell’Arcivescovado del Myanmar, buddisti, islamici, indù, ebrei, cattolici e cristiani di altre confessioni. L’incontro – introdotto dal vescovo John Hsane Hgyi – è durato circa quaranta minuti ed ha avuto per tema l’unità nella diversità. Dopo gli interventi dei vari esponenti, il Papa ha tenuto il suo discorso parlando a braccio in spagnolo. Citando i Salmi ha detto: “Quanto è bello vedere i fratelli uniti”. “Uniti – ha spiegato – non vuol dire uguali. L’unità non è uniformità, anche all’interno della stessa confessione. Ognuno ha i suoi valori, le sue ricchezze e anche le sue mancanze”.
“Siamo tutti diversi e ogni confessione ha le sue ricchezze, le sue tradizioni, le sue ricchezze da dare, da condividere. E questo può accadere solo se si vive in pace. E la pace si costruisce nel coro delle differenze. L’unità sempre si dà nelle differenze”.
La pace – ha sottolineato – è “armonia”. In questo tempo “sperimentiamo una tendenza mondiale verso l’uniformità, a rendere tutto uguale. Questo è uccidere l’umanità. Questa è una colonizzazione culturale. E dobbiamo capire la ricchezza delle nostre differenze (etniche, religiose, popolari), e da queste differenze si dà il dialogo. E da queste differenze si impara dall’altro, come fratelli”. Come fratelli – è stata la sua esortazione – voi potete aiutare “a costruire questo paese, che anche geograficamente ha così tante ricchezze e differenze. La natura in Myanmar è molto ricca nelle differenze. Non abbiamo paura delle differenze! Uno è nostro padre. Siamo fratelli. Restiamo come fratelli. E se discutiamo tra di noi, che sia come tra fratelli che subito si riconciliano. Sempre ritornano ad essere fratelli. Penso che solo in questo modo si costruisca la pace”.
Questo l’appello conclusivo di Francesco: “Costruite la pace. Non lasciatevi uniformare dalla colonizzazione delle culture. La vera armonia divina si fa attraverso le differenze. Le differenze sono una ricchezza per la pace”.
Domani i Pontefice avvierà i suoi impegni alle ore 08.30 con la Santa Messa nel Kyaikkasan Ground.
Alle 16.15 l’atteso incontro con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci buddisti nel Kaba Aye Centre ed infine alle 17.15 vedrà i Vescovi del Myanmar in un salone della Cattedrale di St. Mary.
Per concludere il resoconto odierno vanno segnalati il grande affetto che ha accompagnato la giornata del Papa ed una curiosità: ai presenti al Centro Congressi di #NayPyiTaw è stato distribuito un libretto con la biografia del Papa in birmano.