Un udienza generale bagnata dalla pioggia ma pur sempre una festa. Nella giornata in cui la famiglia (l’unica e la sola) viene minata ed attaccata dalla fiducia sulle unioni civili, il pontefice ha parlato del figliol prodigo che è un segno di speranza: chi sbaglia può redimersi, chi commette errori può fare in tempo a capire ed a rimediare. Dio è misericordioso con tutti!
Ecco le parole del Vescovo di Roma: “Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vogliamo riflettere oggi sulla parabola del Padre misericordioso. Essa parla di un padre e dei suoi due figli, e ci fa conoscere la misericordia infinita di Dio.
Partiamo dalla fine, cioè dalla gioia del cuore del Padre, che dice: «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (vv. 23-24). Con queste parole il padre ha interrotto il figlio minore nel momento in cui stava confessando la sua colpa: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…» (v. 19). Ma questa espressione è insopportabile per il cuore del padre, che invece si affretta a restituire al figlio i segni della sua dignità: il vestito bello, l’anello, i calzari. Gesù non descrive un padre offeso e risentito, un padre che, ad esempio, dice al figlio: “Me la pagherai”: no, il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore. Al contrario, l’unica cosa che il padre ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa. L’accoglienza del figlio che ritorna è descritta in modo commovente: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (v. 20). Quanta tenerezza; lo vide da lontano: cosa significa questo? Che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava; quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Che cosa bella la tenerezza del padre! La misericordia del padre è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli. Certo, il figlio sa di avere sbagliato e lo riconosce: «Ho peccato … trattami come uno dei tuoi salariati» (v. 19). Ma queste parole si dissolvono davanti al perdono del padre. L’abbraccio e il bacio di suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto. E’ importante questo insegnamento di Gesù: la nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela, neppure il diavolo! Nessuno può toglierci questa dignità.
Questa parola di Gesù ci incoraggia a non disperare mai. Penso alle mamme e ai papà in apprensione quando vedono i figli allontanarsi imboccando strade pericolose. Penso ai parroci e catechisti che a volte si domandano se il loro lavoro è stato vano. Ma penso anche a chi si trova in carcere, e gli sembra che la sua vita sia finita; a quanti hanno compiuto scelte sbagliate e non riescono a guardare al futuro; a tutti coloro che hanno fame di misericordia e di perdono e credono di non meritarlo… In qualunque situazione della vita, non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, essere figlio di un Padre che mi ama e attende il mio ritorno. Anche nella situazione più brutta della vita, Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta.
Nella parabola c’è un altro figlio, il maggiore; anche lui ha bisogno di scoprire la misericordia del padre. Lui è sempre rimasto a casa, ma è così diverso dal padre! Le sue parole mancano di tenerezza: «Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando… ma ora che è tornato questo tuo figlio…» (vv. 29-30). Vediamo il disprezzo: non dice mai “padre”, non dice mai “fratello”, pensa soltanto a sé stesso, si vanta di essere rimasto sempre accanto al padre e di averlo servito; eppure non ha mai vissuto con gioia questa vicinanza. E adesso accusa il padre di non avergli mai dato un capretto per fare festa. Povero padre! Un figlio se n’era andato, e l’altro non gli è mai stato davvero vicino! La sofferenza del padre è come la sofferenza di Dio, la sofferenza di Gesù quando noi ci allontaniamo o perché andiamo lontano o perché siamo vicini ma senza essere vicini.
Il figlio maggiore, anche lui ha bisogno di misericordia. I giusti, quelli che si credono giusti, hanno anche loro bisogno di misericordia. Questo figlio rappresenta noi quando ci domandiamo se valga la pena faticare tanto se poi non riceviamo nulla in cambio. Gesù ci ricorda che nella casa del Padre non si rimane per avere un compenso, ma perché si ha la dignità di figli corresponsabili. Non si tratta di “barattare” con Dio, ma di stare alla sequela di Gesù che ha donato sé stesso sulla croce senza misura.
«Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo, ma bisognava far festa e rallegrarsi» (v. 31). Così dice il Padre al figlio maggiore. La sua logica è quella della misericordia! Il figlio minore pensava di meritare un castigo a causa dei propri peccati, il figlio maggiore si aspettava una ricompensa per i suoi servizi. I due fratelli non parlano fra di loro, vivono storie differenti, ma ragionano entrambi secondo una logica estranea a Gesù: se fai bene ricevi un premio, se fai male vieni punito; e questa non è la logica di Gesù, non lo è! Questa logica viene sovvertita dalle parole del padre: «Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 31). Il padre ha recuperato il figlio perduto, e ora può anche restituirlo a suo fratello! Senza il minore, anche il figlio maggiore smette di essere un “fratello”. La gioia più grande per il padre è vedere che i suoi figli si riconoscano fratelli.
I figli possono decidere se unirsi alla gioia del padre o rifiutare. Devono interrogarsi sui propri desideri e sulla visione che hanno della vita. La parabola termina lasciando il finale sospeso: non sappiamo cosa abbia deciso di fare il figlio maggiore. E questo è uno stimolo per noi. Questo Vangelo ci insegna che tutti abbiamo bisogno di entrare nella casa del Padre e partecipare alla sua gioia, alla sua festa della misericordia e della fraternità. Fratelli e sorelle, apriamo il nostro cuore, per essere “misericordiosi come il Padre”!
La parabola che ci riporta il Vangelo di Luca al capitolo 15: “la parabola del Padre Misericordioso” è sicuramente l’ICONA più importante, la raffigurazione principale dell’Amore Misericordioso di Dio; in questa pagina davvero tocchiamo con mano come la “misericordia” sia una delle componenti essenziali dell’essere stesso di Dio.
Probabilmente è un errore chiamarla “la parabola del figlio prodigo”, perché in realtà non si parla di un figlio, ma di due figli. Forse è più giusto chiamarla, “la parabola del padre misericordioso”. Un padre che è padre! Il problema è cercare di essere come quel Padre, noi dobbiamo cercare di assomigliare a quel Padre. Un padre è colui che ama i suoi figli.
Tutti e due i nati da lui, quello che se ne va e quello che brontola sempre, il figlio del piacere e quello del dovere; quelli sono i suoi figli! La parabola gioca tutto quanto sul rapporto che c’è tra questo padre e i due figli.
Un uomo aveva due figli, questo modo di iniziare la parabola è strano, sarebbe stato infatti naturale iniziare il racconto dicendo: un padre aveva due figli. Come mai Gesù utilizza invece la prima espressione? Potremmo forse vedere in questa particolarità un richiamo a uno dei temi principali della parabola; questa racconta infatti di due figli incapaci di comprendere sia i disegni sia il cuore del padre loro, ed allora ai loro occhi quel padre non è un padre ma soltanto un uomo; quindi la cosa che risalta subito è che quest’uomo non era un padre, in quella casa non esisteva il concetto di paternità. Un uomo dal quale allontanarsi appena possibile, oppure un uomo a cui si serve e si obbedisce più per timore o per forza che per amore.
Due figli, il maggiore e il minore. Due caratteri e temperamenti distinti, due modi diversi di relazionarsi e interagire. Intorno, una casa piena di ricchezza ed operosità dei suoi lavoratori e lontano ettari di campi che si perdono all’orizzonte. La Buona Notizia di misericordia raccontata dalla Parabola rappresenta per questi due fratelli una ‘porta stretta’ nella quale faticano ad entrare. Questo non è un racconto che distingue i due fratelli in uno buono e in uno cattivo. Solo il padre è buono. Ama entrambi i figli. Corre fuori per andare incontro a tutti e due. Vuole che sia l’uno che l’altro siedano alla sua mensa e condividano la sua gioia. “Nella casa del Padre mio ci sono molti posti” dice Gesù. In essa ogni figlio di Dio ha il suo posto unico. Bisogna abbandonare tutti i paragoni, le rivalità e le competizioni arrendersi all’amore del Padre.
Il figlio minore non poteva aspettare che suo padre morisse. Voleva i beni immediatamente, nonostante suo padre fosse ancora vivo. Una volta che li ebbe, raccolse tutte le sue cose e partì per un “paese lontano”, e sappiamo come poi finisce la sua storia. Il figlio maggiore è sempre stato proteso verso la conquista del suo essere figlio. Giorno per giorno, con il duro lavoro, paga il “dazio” della sua condizione, cerca di allontanarsi da un Padre che, come il fratello, sente crudele e padrone. Di fronte ad un padre così ha deciso di attuare la strategia del dovere: nessun debito, nessun credito. Ma si è perso pure lui, nella sua durezza di cuore, nel suo risentimento verso il Padre che accoglie con misericordia il figlio tornato a casa, nella sua incapacità di credere che l’amore è più forte di ogni male, nella sua cecità di vedere quell’uomo, un PADRE.
Ognuno di noi aspira alla gioia, alla festa, ad una vita più piena e più intensa; il Padre però, non ci dona questi beni sin dall’inizio, ma vuole che siano il frutto di una nostra ricerca e di una nostra conquista. A questo fine concede ad ognuno un certo patrimonio e un certo numero di talenti, lasciandoci poi liberi di utilizzarli nel modo che riteniamo più opportuno. Questo patrimonio è costituito dal dono dell’esistenza, dal dono dell’intelligenza, dalla libertà, da una certa capacità di distinguere il bene dal male, dal tempo in cui ci è concesso per fare il bene e da un certo “sentimento” dell’esistenza di Dio e della sua regalità. Con questi beni a disposizione ognuno ha poi la possibilità di scegliere due possibili percorsi: o impiegare i doni ricevuti nel servizio di Dio, confidando di ricevere a suo tempo una giusta ricompensa, oppure decidere di svincolarsi completamente dal suo servizio per tentare di costruire da solo la propria vita e la propria felicità. Quanti scelgono questa seconda via assomigliano al figlio più giovane della parabola ed andranno incontro alle sue stesse disavventure.
Quando era ancora lontano il Padre lo vide, ed è come se noi diventassimo visibili agli occhi di Dio nel momento in cui si concretizza nel nostro cuore il desiderio di ritornare a Lui, mentre fin tanto che questo desiderio è assente, è come se fossimo invisibili ai suoi occhi.
Questo vuol dire che, se Dio non ci vede, non può neanche venire in nostro soccorso, al contrario, il più piccolo e debole atto di carità o di pentimento, ci rende visibili ai suoi occhi ed ha il potere di commuovere e rallegrare il suo cuore, perché può finalmente scorgere in questi atti l’inizio di un cammino verso una piena risposta alle iniziative del suo amore. Ed allora anche Dio si mette in cammino e ci viene incontro con il soccorso della sua grazia per sostenere e rinvigorire la carità ed i buoni propositi che ha visto nascere in noi, dice infatti la parabola che “commosso gli corse incontro”. Incontrare l’Amore Misericordioso significa fare esperienza di una dolcezza, di una misericordia e di un perdono che molto al di la di ogni aspettativa; il Padre, infatti, gli si gettò al collo e lo baciò.
La parabola evangelica ci chiama a diventare il Padre che accoglie a casa e chiede che si faccia festa, il nostro itinerario spirituale o se volete il nostro viaggio verso la santità non sarà mai completo se non tendiamo a diventare come il Padre.
Annunciare questo Padre a quanti sentono il bisogno di credere in un mondo nuovo, in una terra nuova, in cui si possa discutere, dialogare, amare, essere davvero insieme. Annunciarlo ad ogni più piccolo uomo che vuol portare avanti la creazione e non vuol morire con le dita schiacciate sotto il rullo del compressore di questo sfrenato egoismo e consumismo, al povero che tende ancora la mano, al soldato con il mitra che spia suo fratello per ucciderlo, alla ragazza che non conosce il padre della sua creatura.
È un Padre amoroso, misericordioso e provvidente: è per questo che possiamo rivolgerci a Lui con assoluta fiducia; è un Dio onnipotente e santo, trascendente ed infinito, ma anche vicinissimo agli uomini, che ha cura di loro, che conta addirittura i capelli del loro capo.
Questo è il messaggio centrale del vangelo, il modo in cui gli uomini sono chiamati ad amarsi è il modo di Dio, e vedere il mondo attraverso i suoi occhi, ossia attraverso una conversione del cuore.