Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio. Parole forti e dense di significato quelle che sono risuonate durante l’Angelus domenicale di Papa Francesco. Siamo tutti cittadini facenti parte di uno Stato centrale, ma soprattutto siamo figli di Dio.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” ha esordito il Pontefice, “Il Vangelo di questa domenica (Mt 22,15-21) ci presenta un nuovo faccia a faccia tra Gesù e i suoi oppositori. Il tema affrontato è quello del tributo a Cesare: una questione “spinosa”, circa la liceità o meno di pagare la tassa all’imperatore di Roma, al quale era assoggettata la Palestina al tempo di Gesù. Le posizioni erano diverse. Pertanto, la domanda rivoltagli dai farisei: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (v. 17) costituisce una trappola per il Maestro. Infatti, a seconda di come avesse risposto, sarebbe stato accusabile di stare o pro o contro Roma.
Ma Gesù, anche in questo caso, risponde con calma e approfitta della domanda maliziosa per dare un insegnamento importante, elevandosi al di sopra della polemica e degli opposti schieramenti. Dice ai farisei: «Mostratemi la moneta del tributo». Essi gli presentano un denaro, e Gesù, osservando la moneta, domanda: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». I farisei non possono che rispondere: «Di Cesare». Allora Gesù conclude: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Da una parte, intimando di restituire all’imperatore ciò che gli appartiene, Gesù dichiara che pagare la tassa non è un atto di idolatria, ma un atto dovuto all’autorità terrena; dall’altra – ed è qui che Gesù dà il “colpo d’ala” – richiamando il primato di Dio, chiede di rendergli quello che gli spetta in quanto Signore della vita dell’uomo e della storia.
Il riferimento all’immagine di Cesare, incisa nella moneta, dice che è giusto sentirsi a pieno titolo – con diritti e doveri – cittadini dello Stato; ma simbolicamente fa pensare all’altra immagine che è impressa in ogni uomo: l’immagine di Dio. Egli è il Signore di tutto, e noi, che siamo stati creati “a sua immagine” apparteniamo anzitutto a Lui. Gesù ricava, dalla domanda postagli dai farisei, un interrogativo più radicale e vitale per ognuno di noi, un interrogativo che noi possiamo farci: a chi appartengo io? Alla famiglia, alla città, agli amici, alla scuola, al lavoro, alla politica, allo Stato? Sì, certo. Ma prima di tutto – ci ricorda Gesù – tu appartieni a Dio. Questa è l’appartenenza fondamentale. È Lui che ti ha dato tutto quello che sei e che hai. E dunque la nostra vita, giorno per giorno, possiamo e dobbiamo viverla nel ri-conoscimento di questa nostra appartenenza fondamentale e nella ri-conoscenza del cuore verso il nostro Padre, che crea ognuno di noi singolarmente, irripetibile, ma sempre secondo l’immagine del suo Figlio amato, Gesù. E’ un mistero stupendo.
Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà umane e sociali senza contrapporre “Dio” e “Cesare”; contrapporre Dio e Cesare sarebbe un atteggiamento fondamentalista. Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà terrene, ma illuminandole con la luce che viene da Dio. L’affidamento prioritario a Dio e la speranza in Lui non comportano una fuga dalla realtà, ma anzi un rendere operosamente a Dio quello che gli appartiene. È per questo che il credente guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere la vita terrena in pienezza, e rispondere con coraggio alle sue sfide.
La Vergine Maria ci aiuti a vivere sempre in conformità all’immagine di Dio che portiamo in noi, dentro, dando anche il nostro contributo alla costruzione della città terrena”.
Al termine dell’Angelus il vescovo di Roma ha aggiunto: “Cari fratelli e sorelle, a Barcellona, sono stati beatificati Matteo Casals, Teofilo Casajús, Fernando Saperas e 106 compagni martiri, appartenenti alla Congregazione religiosa dei Claretiani e uccisi in odio alla fede durante la guerra civile spagnola. Il loro eroico esempio e la loro intercessione sostengano i cristiani che anche ai nostri giorni – e tanti -, in diverse parti del mondo, subiscono discriminazioni e persecuzioni.
Oggi si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, sul tema “La missione al cuore della Chiesa”. Esorto tutti a vivere la gioia della missione testimoniando il Vangelo negli ambienti in cui ciascuno vive e opera. Al tempo stesso, siamo chiamati a sostenere con l’affetto, l’aiuto concreto e la preghiera i missionari partiti per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono. Ricordo anche che è mia intenzione promuovere un Mese Missionario Straordinario nell’ottobre 2019, al fine di alimentare l’ardore dell’attività evangelizzatrice della Chiesa ad gentes. Nel giorno in cui ricorre la memoria liturgica di San Giovanni Paolo II, Papa missionario, affidiamo alla sua intercessione la missione della Chiesa nel mondo.
Vi chiedo di unirvi alla mia preghiera per la pace nel mondo. In questi giorni seguo con particolare attenzione il Kenya, che ho visitato nel 2015, e per il quale prego affinché tutto il Paese sappia affrontare le attuali difficoltà in un clima di dialogo costruttivo, avendo a cuore la ricerca del bene comune.
E ora saluto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, i fedeli del Lussemburgo e quelli di Ibiza, il Movimento Famiglia del Cuore Immacolato di Maria del Brasile, le Suore della Santissima Madre Addolorata. Saluto e benedico con affetto la comunità peruviana di Roma, qui radunata con la sacra Immagine del Señor de los Milagros.
Saluto i gruppi di fedeli di tante parrocchie italiane, e li incoraggio a proseguire con gioia il loro cammino di fede.
E a tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!”.
Quindi, nella sua consueta celebrazione della Messa da Santa Marta (ieri), il Papa è tornato a difendere i bambini troppo spesso considerati poco e troppo spesso maltrattati: “duecentomila bambini Rohingya, e con loro tutti coloro che oggi nel mondo soffrono la fame, sono vittime dell’«idolatria del denaro, che fa dei “sacrifici umani”» provocando la morte di tante persone. E nessuno può restare indifferente guardando «i bambini affamati che non hanno medicine, che non hanno educazione, che sono abbandonati». Da qui il monito contro «il dio denaro» — che distrugge anche le famiglie che cadono nella cupidigia degli interessi personali — lanciato da Papa Francesco durante la Messa.
«Questo passo del Vangelo — ha subito fatto notare il Pontefice riferendosi al brano di Luca (12, 13-21) — incomincia con un’eredità e finisce alle porte di un’altra eredità». Gesù «ammonisce chiaramente: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”». E poi «racconta questa parabola» di un «uomo ricco che si trova davanti all’abbondanza del raccolto, e non sa cosa fare». Soltanto «gli viene in mente di fare due movimenti: allargare e allungare». Ossia, ha spiegato il Papa, «allargare i magazzini e, nella sua fantasia, allungare la vita: “Così sarò tranquillo” ma il raccolto non si tocca, i soldi non si toccano, tutto dev’essere custodito, perché quei soldi sono il suo dio».
Dunque «lui allarga per avere più posto per il suo dio e allunga la sua vita per adorare quel dio, nella sua fantasia: è uno schiavo di quello, no? Non conosce la sazietà». Perciò, continua la parabola di Gesù, quell’uomo «va avanti, prendendo più beni, più beni, più beni fino alla nausea: non conosce la sazietà». Ma «come ragiona, quest’uomo?». Ce lo dice Gesù nella parabola riportata da Luca: «Egli ragionava tra sé: “Anima mia, hai a disposizione molti beni e per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!”». In poche parole «fai la bella vita, tutto in te, con il tuo dio: mangia, beve e entra in quel movimento del consumismo esasperato, non si ferma, non conosce il limite».
Ma «è Dio a mettere il limite» ha affermato il Pontefice. Prosegue, infatti, la parabola: «Ma Dio gli disse: “Stolto — quante volte questa parola ‘stolto’ viene nel Vangelo — questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”». Quella ricchezza, ha proseguito Francesco, finirà in mano agli eredi di quell’uomo che si metteranno a litigare per quei tesori considerati come un dio.
Ecco che, ha fatto presente il Papa, «questo passo del Vangelo incomincia con una lite per un’eredità e finirà con un’altra lite, quando verranno i nipoti e tutti questi: noi sappiamo cosa succede». Ma «è Dio, a mettere il limite a questo attaccamento ai soldi». Che «l’uomo diviene schiavo dei soldi non è una favola che Gesù inventa: questa è la realtà» anche «di oggi».
Ci sono, ha detto Francesco, «tanti uomini che vivono per adorare il denaro, per fare del denaro il proprio dio: tante persone che vivono soltanto per questo e la vita non ha senso». Il passo del Vangelo si conclude con queste parole: «Così è di chi accumula tesori per sé — dice il Signore — e non si arricchisce presso Dio». In realtà «non sanno cosa è arricchirsi presso Dio».
A questo proposito il Papa ha voluto condividere una storia personale: «Ricordo alcuni anni fa, nell’altra diocesi, un caso che mi ha colpito tanto. Un grande imprenditore, ricchissimo, aveva un po’ questo atteggiamento. Aveva un cancro. Lui lo sapeva. Gli mancavano pochi giorni di vita. In quell’ultima settimana di vita, si è entusiasmato per una villa e ha comprato una villa: pensava soltanto a questo. Era chiuso in quel pensiero. Questo a me ha colpito, quando l’ho visto. Non pensava alla prossima settimana, che avrebbe dovuto presentarsi davanti a Dio». E «anche oggi» c’è «tanta gente, tanti di questi che hanno tantissimo»: ma «guardiamo soltanto i bambini affamati che non hanno medicine, che non hanno educazione, che sono abbandonati». E «questa è una idolatria, ma è un’idolatria che uccide, fa dei “sacrifici umani”, perché questa idolatria fa morire di fame tanta gente».
«Pensiamo — ha insistito il Papa — soltanto a un caso: a duecentomila bambini rohingya nei campi profughi. Lì ci sono ottocentomila persone, duecentomila sono bambini. Appena hanno da mangiare, malnutriti, senza medicine. Anche oggi succede questo, non è una cosa che il Signore dice di quei tempi: no, oggi!».
Per questa ragione, «la nostra preghiera deve essere forte: Signore, per favore, tocca il cuore di queste persone che adorano il dio, il dio denaro. Tocca anche il mio cuore perché io non cada in quello, che io sappia vedere. E poi, un’altra conseguenza, c’è la guerra, sempre, qui, la guerra di famiglia. Tutti noi conosciamo cosa succede quando c’è in gioco un’eredità: le famiglie si dividono e finiscono nell’odio l’una per l’altra».
In conclusione, Francesco ha fatto notare come, nel brano evangelico, «il Signore sottolinea con soavità alla fine: “Chi non si arricchisce presso Dio”». Perché «quella è l’unica strada: la ricchezza, ma in Dio». E «non è un disprezzo per il denaro, no, è proprio la cupidigia, come dice lui: la cupidigia», cioè «vivere attaccati al dio denaro». Dunque, ha suggerito il Papa, «la nostra preghiera deve essere forte, oggi, in questi tempi dove i media ci fanno vedere tante, tante calamità, tante ingiustizie, pensiamo soltanto ai bambini: Signore, converti il cuore di questa gente, che conoscano te e non adorino il dio denaro».
Non è la prima volta che il Pontefice interviene su questo delicato argomento. Come non ricordare, quando, sempre da Santa Marta, il 29 settembre 2013 aveva tuonato: “Dall’idolatria del denaro nascono mali come la vanità e l’orgoglio”, che fanno male alla società. C’è qualcosa “nell’atteggiamento di amore verso il denaro – ha osservato – che ci allontana da Dio”. Ci sono “tante malattie, tanti peccati”, che nascono dall’amore per il denaro. “Ma Gesù – ha detto – su questo sottolinea tanto”. Infatti “l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali”.
Presi da “questo desiderio”, ha spiegato il Papa, “alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti”. E con amarezza ha aggiunto: “è tanto il potere del denaro, che ti fa deviare dalla fede, pure”, addirittura “ti toglie la fede: la indebolisce e tu la perdi!”.
“Il denaro – ha denunciato Francesco – ammala anche il pensiero e la fede: ci fa andare per un’altra strada”. “Quante parole oziose, discussioni inutili” nascono dalle questioni di interesse, ha rilevato sottolineando che “da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi”. Se scegli “la via del denaro”, ha concluso Papa Bergoglio, “alla fine sarai un corrotto” perché il denaro “ha questa seduzione” capace di “farti scivolare lentamente nella tua perdizione”.
Secondo Papa Francesco, l’amore per il denaro – l’avidità – fa commettere peccati anche a sacerdoti e vescovi. Quando questa avidità prende il sopravvento, ecco che gli uomini diventano “corrotti nella mente e privi della verità”, e tendono a “considerare la religione come fonte di guadagno”.
“Io – ha esemplificato il Pontefice parlando in prima persona, come fosse lui stesso un laico interessato – sono cattolico, io vado a Messa, perché quello mi dà un certo status. Sono guardato bene. Ma sotto faccio i miei affari, no? Sono un cultore del denaro”.
“L’avidità è peccato contro il primo comandamento”. Chi fa del denaro il suo mito – ammonisce Francesco – va contro il primo comandamento. “[…] Padre, io leggo i dieci comandamenti e nessuno parla male del denaro. Contro che comandamento si pecca quando uno fa un’azione per il denaro?”.
“Contro il primo! Pecchi di idolatria! Ecco il perché: perché il denaro diventa idolo e tu dai culto! E per questo Gesù ci dice non puoi servire all’idolo denaro e al Dio Vivente: o uno o l’altro”, è stata la risposta del Pontefice.
“I primi Padri della Chiesa, parlo del secolo III, più o meno, dicevano – ha ricordato in proposito Francesco – una parola forte: ‘Il denaro è lo sterco del diavolo’. E così, perché ci fa idolatri e ammala la nostra mente con l’orgoglio e ci fa maniaci di questioni oziose e ci allontana dalla fede, corrompe”.
San Paolo, ha detto ancora il Papa, ci dice di evitare queste cose, ma di tendere “alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità”. E anche alla pazienza, “contro la vanità e l’orgoglio” e “alla mitezza”. Questa, ha affermato Papa Francesco, è “la strada di Dio, non quella del potere idolatrico che può darti il denaro”. È l’umiltà “la strada per servire Dio”. “Che il Signore – ha concluso Francesco – aiuti tutti noi a non cadere nella trappola dell’idolatria del denaro”.