L’umanità rischia il suicidio: è quanto ha detto Papa Francesco riferendosi alla minaccia delle armi nucleari durante la sua visita alla sede del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Il direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke ha reso noto che la prossima settimana si terrà in Vaticano un importante convegno dal titolo: “Perspectives for a World Free from Nuclear Weapons and for Integral Development”. “Il Santo Padre” – afferma Burke – “lavora con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, come lui stesso ha ribadito lo scorso mese di marzo in un messaggio indirizzato all’Onu”.
Burke nella sua dichiarazione precisa che è “falso parlare di una mediazione da parte della Santa Sede”, come affermato dai media italiani in relazione alla crisi in corso tra Stati Uniti e Corea del Nord.
L’incontro sul disarmo nucleare, organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, si svolgerà il 10 e 11 novembre in Vaticano. Il Papa ha sottolineato ancora una volta, il fenomeno del commercio delle armi. Quindi ha ribadito la sua denuncia di questo commercio delle armi che stimola e che mantiene vivi questi focolai di conflitto, che non sono focolai di conflitto ma, lo ha detto ancora una volta: ‘Siamo in una vera e propria guerra’. E parlando delle armi nucleari, che sono una minaccia che purtroppo è presente da decenni ma che ogni tanto si fa più acuta come nei momenti attuali, ha parlato proprio di ‘suicidio dell’umanità’, di questo rischio del suicidio dell’umanità. Ha pronunciato parole molto forti”.
Andando a ritroso nella giornata, in mattinata a Santa Marta il Papa ha lanciato un altro severo monito: un buon pastore si avvicina agli scartati, è capace di commuoversi e non si vergogna di toccare la carne ferita. Chi segue la strada del clericalismo, invece, si avvicina sempre o al potere di turno o ai soldi. Commentando l’episodio evangelico della guarigione della donna curva narrato da Luca e inserito nella Liturgia il Vescovo di Roma ha aggiunto: “In sinagoga, di sabato, Gesù incontra una donna che non riusciva ad esser dritta, racconta il Papa, “una malattia della colonna che da anni la tratteneva così”. E l’evangelista usa cinque verbi per descrivere cosa fa Gesù: la vide, la chiamò, le disse, “impose le mani su di lei e la guarì”.
Cinque verbi di vicinanza, sottolinea Francesco perché “un buon pastore è vicino, sempre”. Nella parabola del buon pastore è vicino alla pecora smarrita, lascia le altre e va a cercarla. Non può essere lontano dal suo popolo. Invece i chierici, dottori della Legge, i farisei, i sadducei, vivevano separati dal popolo, rimproverandolo continuamente. Questi non erano buoni pastori, chiarisce il Pontefice, erano chiusi nel proprio gruppo e non si interessavano al popolo. “Forse importava loro, quando finiva il servizio religioso, andare a vedere quanti soldi c’era nelle offerte”. Ma non erano vicini alla gente. Invece Gesù è vicino e la sua vicinanza viene da quello che Gesù sente nel cuore: “Gesù si commosse”, dice un altro passo del Vangelo: “Per questo Gesù sempre era lì con la gente scartata da quel gruppetto clericale: c’erano lì i poveri, gli ammalati, i peccatori, i lebbrosi, ma erano tutti lì, perché Gesù aveva questa capacità di commuoversi davanti alla malattia, era un buon pastore. Un buon pastore si avvicina e ha capacità di commuoversi. E io dirò, il terzo tratto di un buon pastore è non vergognarsi della carne, toccare la carne ferita, come ha fatto Gesù con questa donna: ‘toccò’, ‘impose le mani’, toccò i lebbrosi, toccò i peccatori”.
Un buon pastore, prosegue il Papa, non dice: “Ma sì, sta bene… Sì, sì, io sono vicino a te nello Spirito”, questa è distanza. Ma fa “quello che ha fatto Dio Padre, avvicinarsi, per compassione, per misericordia, nella carne del suo Figlio”. Il grande pastore, il Padre, ci ha insegnato come si fa il buon pastore: si abbassò, si svuotò, svuotò se stesso, si annientò, prese condizione di servo:
“‘Ma, e questi altri, quelli che seguono la strada del clericalismo, a chi si avvicinano?’. Si avvicinano sempre o al potere di turno o ai soldi. E sono i cattivi pastori. Loro soltanto pensano come arrampicarsi nel potere, essere amici del potere e negoziano tutto o pensano alle tasche. Questi sono gli ipocriti, capaci di tutto. Non importa del popolo a questa gente. E quando Gesù dice loro quel bell’aggettivo che utilizza tante volte con questi, ‘ipocriti’, loro si sono offesi: ‘Ma noi no, noi seguiamo la legge’”. “E’ una grazia per il popolo di Dio avere dei buoni pastori, pastori come Gesù, che non si vergognano di toccare la carne ferita, che sanno che su questo – non solo loro, anche tutti noi – saremmo giudicati: ero affamato, ero in carcere, ero ammalato… I criteri del protocollo finale sono i criteri della vicinanza, i criteri di questa vicinanza totale, a toccare, a condividere la situazione del popolo di Dio. Non dimentichiamo questo: il buon pastore si fa vicino sempre alla gente, sempre, come Dio nostro Padre si è fatto vicino a noi, in Gesù Cristo fatto carne”.
Gesù ha vissuto la sua vita predicando e operando ciò che veramente conta ed è essenziale, cioè l’amore. Lo ha ribadito con forza il Papa prima della preghiera dell’Angelus. Dalla finestra dello studio del Palazzo apostolico, che affaccia su Piazza San Pietro, Francesco ha evidenziato che “l’amore dà slancio e fecondità alla vita e al cammino di fede” e che “senza l’amore, sia la vita sia la fede rimangono sterili”.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” – ha esordito il Pontefice -”In questa domenica la liturgia ci presenta un brano evangelico breve, ma molto importante (cfr Mt 22,34-40). L’evangelista Matteo racconta che i farisei si riuniscono per mettere alla prova Gesù. Uno di loro, un dottore della Legge, gli rivolge questa domanda: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?» (v. 36). È una domanda insidiosa, perché nella Legge di Mosè sono menzionati oltre seicento precetti. Come distinguere, tra tutti questi, il grande comandamento? Ma Gesù non ha alcuna esitazione e risponde: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». E aggiunge: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (vv. 37.39).
Questa risposta di Gesù non è scontata, perché, tra i molteplici precetti della legge ebraica, i più importanti erano i dieci Comandamenti, comunicati direttamente da Dio a Mosè, come condizioni del patto di alleanza con il popolo. Ma Gesù vuole far capire che senza l’amore per Dio e per il prossimo non c’è vera fedeltà a questa alleanza con il Signore. Tu puoi fare tante cose buone, compiere tanti precetti, tante cose buone, ma se tu non hai amore, questo non serve.
Lo conferma un altro testo del Libro dell’Esodo, detto “codice dell’alleanza”, dove si dice che non si può stare nell’Alleanza con il Signore e maltrattare quelli che godono della sua protezione. E chi sono questi che godono della sua protezione? Dice la Bibbia: la vedova, l’orfano e lo straniero, il migrante, cioè le persone più sole e indifese (cfr Es 22,20-21). Rispondendo a quei farisei che lo avevano interrogato, Gesù cerca anche di aiutarli a mettere ordine nella loro religiosità, a ristabilire ciò che veramente conta e ciò che è meno importante. Dice Gesù: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40). Sono i più importanti, e gli altri dipendono da questi due. E Gesù ha vissuto proprio così la sua vita: predicando e operando ciò che veramente conta ed è essenziale, cioè l’amore. L’amore dà slancio e fecondità alla vita e al cammino di fede: senza l’amore, sia la vita sia la fede rimangono sterili.
Quello che Gesù propone in questa pagina evangelica è un ideale stupendo, che corrisponde al desiderio più autentico del nostro cuore. Infatti, noi siamo stati creati per amare ed essere amati. Dio, che è Amore, ci ha creati per renderci partecipi della sua vita, per essere amati da Lui e per amarlo, e per amare con Lui tutte le altre persone. Questo è il “sogno” di Dio per l’uomo. E per realizzarlo abbiamo bisogno della sua grazia, abbiamo bisogno di ricevere in noi la capacità di amare che proviene da Dio stesso. Gesù si offre a noi nell’Eucaristia proprio per questo. In essa noi riceviamo Gesù nell’espressione massima del suo amore, quando Egli ha offerto sé stesso al Padre per la nostra salvezza.
La Vergine Santa ci aiuti ad accogliere nella nostra vita il “grande comandamento” dell’amore di Dio e del prossimo. Infatti, se anche lo conosciamo fin da quando eravamo bambini, non finiremo mai di convertirci ad esso e di metterlo in pratica nelle diverse situazioni in cui ci troviamo.
Dopo la preghiera dell’Angelus il saluto ai tanti fedeli radunatisi in Piazza, in particolare il Papa ha ricordato Giovanni Schiavo, sacerdote dei Giuseppini del Murialdo, che ieri a Caxias do Sul, in Brasile, è stato proclamato Beato.
Nato sui colli vicentini all’inizio del ‘900, fu inviato giovane prete in Brasile, dove ha lavorato con zelo al servizio del popolo di Dio e della formazione dei religiosi e delle religiose. “Il suo esempio – ha detto – ci aiuti a vivere in pienezza la nostra adesione a Cristo e al Vangelo. Poi salutando la comunità del Togo in Italia e quella Venezuelana ha affidato alla Vergine Maria “le speranze e le legittime attese di queste due Nazioni!”