Natale – Siamo ormai vicinissimi al Natale, un Natale diverso dagli altri, un Natale di divieti, di Messe ad orari “particolari” di parenti difficili da raggiungere, di viaggi cancellati, di sorrisi persi. Un Natale rovinato da un Paese lontano da dove nascono o si creano virus, un Natale sempre con meno presepi e più alberi, ma un Natale che continuerà a scaldare tanti cuori e ad offrire speranza a tanti in tutto il mondo.
Premesso questo andiamo a scoprire qualche curiosità e tradizione su questa bellissima festività cristiana.
Storicamente non è accertato che Gesù il Cristo sia nato effettivamente il 25 dicembre. Nei Vangeli di Matteo e di Luca, che forniscono una descrizione di alcuni momenti legati alla Natività, non è citato né il giorno, né il mese, e neppure l’anno della venuta del Figlio di Dio, anche se sappiamo che Gesù nacque quando regnava l’imperatore Cesare Augusto.
La festa del Natale cristiano, ovvero del dies natalis Christi, sembra sia stata istituita, nella data del 25 dicembre, da Papa Giulio I solo nel 337.
Il primo riferimento al 25 dicembre si trova in uno scritto di Sant’Ippolito del 235 circa, il Commentario su Daniele: «La prima venuta di nostro Signore, quella nella carne, nel quale egli nacque a Betlemme, ebbe luogo otto giorni prima delle calende di gennaio, di mercoledì, nel quarantaduesimo anno di regno di Augusto» (IV, 23, 3).
Un’altro documento, la Depositio episcoporum (elenco liturgico contenuto nel Cronografo, il più antico calendario della Chiesa di Roma), attesta che tale celebrazione era già presente nel 336, anche se sembra che inizialmente la festività fosse celebrata solo nella Basilica di San Pietro.
Altri documenti ecclesiastici rinviano al 354, sotto il pontificato di Liberio, la prima apparizione del Natale in Occidente (come si attesta ancora nello stesso Cronografo). Nel 461 la scelta sarà ufficializzata da Papa Leone Magno.
|
a Chiesa di Roma decise di far coincidere la ricorrenza della nascita del Cristo con la festa pagana della nascita del Sole invincibile (Dies Natalis Solis Invicti), voluta dall’imperatore Aureliano nel 275, per soffocare il “culto del sole” ancora radicato presso i Romani, nonostante Costantino avesse proclamato la confessione cristiana religione ufficiale dell’Impero. Lo stesso Costantino, nel 321, aveva cambiato il nome del primo giorno della settimana da Dies Solis, il “venerabile” giorno del Sole, a Dominus, “giorno del Signore” (questo cambiamento non fu accettato da tutti, tanto che nel centro-nord dell’Europa, ancora oggi, è rimasto l’antico nome di “giorno del Sole”: Sunday tra i Sassoni e Sontag presso i popoli germanici).
Il 25 dicembre, poi, è una data importante per molte religioni antiche, poiché si celebrava la nascita di una divinità legata alla simbologia del Sole. Pur non avventurandoci in comparazioni religiose che richiederebbero accurati studi, menzioniamo che: in Egitto si ricordava la nascita di Horo o Horus (nato dalla vergine Osiride); presso i Babilonesi si festeggiava il dio Tammuz (unico figlio della dea Istar, rappresentata con il bimbo in braccio e con un’aureola di dodici stelle attorno alla testa, che muore per risorgere dopo tre giorni); in Grecia la nascita di Dionisio (Bacco per i Romani); in Siria quella di Adone; in Persia si celebrava la nascita di Mitra (figlio del Sole e Sole egli stesso); presso i popoli precolombiani era una data significativa poiché combaciava con la venuta della divinità inca Quetzalcoatl, in Messico, o di Bacab, nello Yucatan, divinità quest’ultima messa al mondo dalla vergine Chiribirias; i popoli scandinavi, invece, onoravano la nascita del dio Freyr.
Una singolare similitudine si ha poi con il culto mitraico, la pratica devozionale “concorrente” del cristianesimo, giunto a Roma con l’espandersi dell’Impero verso Oriente: anche Mitra era stato partorito da una vergine in una grotta, aveva dodici discepoli ed era soprannominato “il Salvatore”.
Nel corso dei secoli la festa del Natale ha assunto, accanto al suo significato religioso, anche aspetti pagani. Così sono comparse la figura di Babbo Natale con l’usanza dei doni, quella dell’albero e del presepe.
Soffermiamoci brevemente sulla figura mitica di Babbo Natale, l’omone simpatico che porta i doni ai bambini. Questa figura trae origine da San Nicola di Mira (antica città dell’attuale Anatolia, in Turchia), vescovo vissuto nel IV secolo, di cui tuttora il personaggio di Babbo Natale porta il nome nei paesi nordeuropei: Santa Claus.
Nel folclore, questo protagonista natalizio, un po’ grasso, gioviale e con una lunga barba bianca, arriva durante la notte di Natale su una slitta trainata da una renna, scende per il camino, lascia i doni ai bambini, e mangia il cibo che gli hanno lasciato. Il resto dell’anno lo passa fabbricando giocattoli e ricevendo lettere sul comportamento dei bambini.
In realtà, l’usanza di collegare San Nicola ai regali è legata alle grandi elargizioni che il vescovo faceva a favore dei poveri e, soprattutto, per aver fornito la dote alle tre figlie di un cristiano povero ma devoto, evitando così che fossero obbligate alla prostituzione.
La dimora tradizionale di Babbo Natale cambia a seconda delle tradizioni: negli Stati Uniti si sostiene che abiti al Polo Nord, in Alaska; in Europa è invece più diffusa la versione finlandese, che lo vuole residente nel villaggio di Rovaniemi, in Lapponia. Altre tradizioni parlano del paesino di Dalecarlia, in Svezia, oppure di Nuuk, in Groenlandia.
Se Babbo Natale è nell’immaginario dei bambini il simbolo per eccellenza del Natale, l’albero e il Presepe sono tra le più evocative e diffuse tradizioni natalizie nel mondo, comuni più o meno a tutti i popoli, sebbene in forme diverse.
La raffigurazione artistica della Natività ha origini remote. I primi cristiani usavano scolpire o dipingere le scene della nascita di Cristo nei loro luoghi di incontro, ad esempio nelle catacombe. Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro Vangeli c’è la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium, ovvero recinto chiuso, mangiatoia.
|
San Francesco d’Assisi fu il primo a rappresentare la Natività del Cristo in forma “vivente”, animata dal popolo e rappresentata a Greccio la notte di Natale del 1223. Tale evento fu poi raffigurato da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi.
Arnolfo di Cambio fu, invece, il primo artista a rievocare la nascita di Gesù in forma inanimata. Egli, nel 1280, scolpì nel legno otto statue per rievocare la nascita del Cristo. Le statue residue si trovano tutt’oggi nella cripta della Cappella Sistina di Santa Maria Maggiore in Roma.
Da allora la produzione artistica della Natività non si è mai fermata, sino ad arrivare ai presepi “fai da te” che si trovano oggi nelle nostre case (notizie più complete sulla storia del presepe nel mio Quel teatrino della Natività che tiene scena da secoli, sul numero 122 di “Storia in Network” http://www.storiain.net/arret/num122/artic7.asp).
L’origine dell’albero di Natale è incerta. L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita è un popolare tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale. La derivazione dell’uso moderno della tradizione dell’albero di Natale, tuttavia, non è stata provata con chiarezza. Sicuramente questa usanza risale alla Germania del XVI secolo.
Ma esiste una leggenda che risale a molti secoli prima. Una storia, infatti, lega l’albero di Natale a San Bonifacio, il santo nato in Inghilterra intorno al 680 e che evangelizzò le popolazioni germaniche. Si narra che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la “Sacra Quercia del Tuono di Geismar” per adorare il dio Thor. Il Santo, con un gruppo di discepoli, arrivò nella radura dov’era la “Sacra Quercia” e, mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano, gridò: «questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor». Presa una scure cominciò a colpire l’albero sacro. Un forte vento si levò all’improvviso, l’albero cadde e si spezzò in quattro parti.
Dietro l’imponente quercia stava un giovane abete verde. San Bonifacio si rivolse nuovamente ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte. È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete. È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi. Osservate come punta diritto verso il cielo. Che questo sia chiamato l’albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno riti di sangue, ma doni d’amore e riti di bontà».
Bonifacio riuscì a convertire i pagani e il capo del villaggio mise un abete nella sua casa, ponendo sopra ai rami delle candele.
Tra i primi riferimenti storici alla tradizione dell’albero di Natale, la scienza, attraverso l’etnologo Ingeborg Weber-Keller, ha identificato una cronaca di Brema del 1570 che racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. Ma è la città di Riga, capitale della Lettonia, a proclamarsi sede del primo albero di Natale della storia: nella sua piazza principale si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510.
L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse nel XVII secolo e agli inizi del secolo successivo era già pratica comune in tutte le città della Renania.
Per molto tempo la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni protestanti della Germania e solo nei primi decenni del XIX secolo si diffuse nei paesi cattolici. A Vienna l’albero di Natale apparve ufficialmente nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau Weilburg, mentre in Francia fu importato dalla duchessa di Orléans nel 1940.
Oggi la tradizione dell’albero di Natale è universalmente accettata anche nel mondo cattolico. Papa Giovanni Paolo II lo introdusse nel suo pontificato facendo allestire, accanto al presepe, un grande albero di Natale proprio in piazza San Pietro.
Recita il proverbio: “Paese che vai, usanze che trovi”, ma nel caso del Natale queste si assomigliano moltissimo. Almeno in Europa.
In Spagna, paese cattolicissimo, esiste un proverbio legato alle tradizioni natalizie: “Presepe fai, pane mangerai”. Infatti, grazie anche agli italiani, il rito del presepe qui è molto sentito. Anche i presepi viventi sono molto comuni in questo paese: in Andalusia i presepi servono anche per fare beneficenza, poiché chi si reca a visitare il presepe lascia qualcosa per le famiglie più bisognose. Sempre in tema di generosità, in molti paesi spagnoli è usanza, la notte di Natale, accogliere in casa un neonato povero con la propria mamma, al quale la famiglia regalerà un corredino nuovo. La notte della vigilia di Natale è chiamata dagli spagnoli la Nochebuena, durante la quale ci si riunisce in casa per assaporare i prodotti tipici. I canti natalizi spagnoli sono diversi da regione a regione, si chiamano villancicos e il ritmo dominante è soprattutto il flamenco.
Anche nel vicino Portogallo le usanze sono simili. Il rito cattolico della notte di Natale è chiamato “Messa del gallo” perché una leggenda dice che quando Gesù nacque il gallo cantò a perdifiato nonostante non fosse ancora alba. Subito dopo la messa i portoghesi cenano e tra le portate non manca la “Consoada” (baccalà con legumi). Qui Babbo Natale è chiamato Pai Natal, ma a portare i doni è il Menino Jesus, Gesù Bambino, anche se l’usanza dei doni è più legata al 6 gennaio, quando arrivano los Rejes Magas, ovvero i Re Magi.
|
In Francia i doni arrivano ai bambini la notte di Natale, mentre gli adulti li scambiano generalmente a Capodanno. Un’usanza delle campagne francesi è il ceppo bruciato: si accende un pezzo di legno per riscaldare virtualmente Gesù Bambino. Nel presepe francese il personaggio che piace di più ai bambini è il ravi, un omino che von la sua lanterna rischiara il sentiero che conduce alla grotta di Gesù. Anche in Francia si usa organizzare il cenone della vigilia; una volta finito, si lascia la tavola apparecchiata per la Vergine Maria. Famosi sono i canti natalizi provenzali, dai quali derivano le varie pastorali. In Alvernia è ancora in uso il rito della chandelle, una grossa candela colorata accesa durante il cenone. Il più anziano segna la candela con una croce e la spegne, poi la passa a colui che gli sta accanto e così via. Nella regione di Carpentras, invece, alla fine della cena natalizia si pianta in un vaso una rosa di Gerico, perché su questa pianta la Madonna stendeva ad asciugare la biancheria di Gesù Bambino.
In Svizzera la tradizione vuole che i regali ai bambini siano portati da Gesù Bambino (Christkind, in tedesco, o petit Jesus, in francese). Uno dei tradizionali dolci natalizi della confederazione elvetica è il Grittibaenz, un pane dolce a forma di bambolina decorato con frutta secca e mandorle.
L’Austria è famosa per i presepi realizzati con figure di legno intagliate a mano. A Salisburgo l’albero e il presepe si allestiscono in maniera del tutto singolare: si tratta infatti di una rappresentazione della storia dell’umanità. Partendo dalla rappresentazione del peccato originale, si procede – giorno per giorno, a partire dall’Avvento – con rappresentazioni del profeta Isaia, dell’Annunciazione in terra, fino alla nascita del Redentore.
L’Austria vanta anche la pastorale più celebre al mondo: Still Nacht, che noi conosciamo come Astro del Ciel. Questa melodia fu eseguita per la prima volta nella chiesa di San Nicola a Obendorf, vicino a Salisburgo. Era la vigilia di Natale del 1818 e Padre Mohor era stato chiamato per battezzare un neonato. Era una sera particolarmente chiara e le stelle brillavano nel firmamento. Il sacerdote, toccato da quella pace tranquilla, scrisse di getto quelle le parole, musicate qualche tempo dopo dal maestro Franz Gruber.
In Germania l’albero e la corona d’Avvento rivestono grandissima importanza e si trovano, oltre che in tutte le case, anche nelle chiese. L’origine della corona va ricercata presso i luterani della Germania orientale. Essa è in pratica la continuazione di antichi riti pagani che si celebravano nel mese di Yule (dicembre). È costituita da un grande anello di fronde d’abete (ma si può usare anche il tasso, il pino o l’alloro), che viene sospeso al soffitto con quattro nastri rossi, oppure collocato su un tavolo. Attorno alla corona sono fissati quattro ceri, posti ad eguale distanza tra di loro, che rappresentano le quattro settimane d’Avvento e che si accendono una volta al settimana man mano che si avvicina il Natale. La tradizione tedesca assegna anche un nome alle quattro candele: la prima è la candela della Profezia, la seconda è quella di Betlemme, la terza dei Pastori, l’ultima degli Angeli.
Molto usato dai bambini è anche il calendario dell’Avvento, con ventiquattro finestrelle che scandiscono il tempo che manca alla grande festa natalizia. Partendo dal 1° dicembre, ogni giorno si apre una finestrella e il bambino promette di compiere una buona azione. Al termine del calendario (sarà quindi il giorno di Natale) appare l’immagine del presepe.
Il pranzo di Natale tedesco è costituito da oca ripiena, carpa, salsicce e, ovviamente, birra. Il tipico dolce natalizio della Germania è, invece, lo Stollen, un dessert a base di farina, limone e arancia candita, mandorle amare e dolci, cannella, uva sultanina, uva fresca, rum.
|
In Belgio è diffusa la tradizione dei falò e dei fuochi. La cena di Natale è a base di salmone, caviale e ostriche. Il pranzo del 25 prevede, invece, roastbeef o tacchino arrosto farcito di carne macinata, tartufi e bagnato con cognac, mentre il contorno è composto da cavolini di Bruxelles e albicocche sciroppate passate in padella col fondo di cottura del tacchino. Il dolce riprende il tronco di Natale francese, a cui è però qui aggiunto un piccolo Gesù Bambino di zucchero.
In Olanda i bambini mettono davanti al camino i loro zoccoli o le scarpe pieni di fieno e di carote per il cavallo di Sinter Klaas (Babbo Natale), sperando così di ricevere in cambio dolci e regali. La notte di Natale si mangia tutti insieme un dolce chiamato Letterbanket, cioé “dolce lettera”, fatto di marzapane e biscotto. La tradizione vuole che ogni famiglia gli dia la forma della lettera iniziale del proprio nome; in alternativa si fanno tanti piccoli dolci, uno per ogni componente della famiglia, con la forma della sua iniziale. Il giorno di Natale si consuma il tacchino o l’oca ripiena di prugne. Ci sono anche i dolci tipici, quasi tutti a base di melassa e mandorle.
In Danimarca esiste l’usanza di coltivare il giacinto in vaso: se fiorisce il giorno di Natale la casa sarà protetta dalle malattie. Il pranzo di Natale comprende il riso al latte, nel quale è nascosta una mandorla: chi la trova ha diritto a un regalo più grande.
In Inghilterra sia la notte sia il giorno di Natale si festeggiano con tacchino ripieno accompagnato da mirtilli, mentre il dolce tradizionale è il Christmas Pudding o Christmas Cake. Verso le tre del pomeriggio si assiste insieme al tradizionale discorso della Regina in televisione. Tutte le città, Londra in testa, ospitano un grande albero addobbato mentre le chiese sono ornate con agrifoglio e vischio. Anche qui la tradizione vuole che la vigilia di Natale sia acceso un ceppo da far durare il più a lungo possibile, conservandone un pezzo da accendere il Natale successivo.
In Irlanda la leggenda vuole che Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù vaghino per le strade dell’isola durante tutto il periodo natalizio: per questo motivo i bambini, per rischiarare il loro cammino, mettono sul davanzale un lumicino, spesso inserito in una rapa o in una zucchetta scavata e decorata con rami verdi. Secondo la tradizione irlandese, ci si siede a tavola soltanto dopo la mezzanotte. La cena prevede generalmente piatti a base di oca, pollo o tacchino. Il giorno di Natale, invece, si gusta lo Speed beef, un rotolo di bue alle spezie che esige una lunga preparazione. Una vecchia consuetudine irlandese era la cosiddetta “caccia allo scricciolo”. Nel giorno di Natale i ragazzi catturavano uno scricciolo (un piccolo uccellino), che legavano, in una gabbia fatta di agrifoglio ed edera, su un bastone portandolo in giro per la questua. La crudele tradizione, diffusa un tempo anche in Inghilterra e Francia, ha tutte le caratteristiche del sacrificio di un animale alla divinità. Il motivo di tanto accanimento contro questo uccellino è da ricercare nella leggenda che accompagna il martirio di Santo Stefano. Si narra infatti che il Santo si fosse nascosto dietro un cespuglio per sfuggire ai suoi persecutori, ma che fosse stato scoperto a causa di uno scricciolo che, volando via, aveva svelato la presenza del martire.
Una tradizione attestata in tutta la penisola balcanica, dalla Dalmazia alla Macedonia, riguarda i famosi Bandjaci. Il termine, che si riferisce al verbo slavo bdijeti, “vigilare”, indica i tre ceppi di Natale (ma in Montenegro se ne contano cinque) che si pongono ad ardere nei giorni che vanno dal Natale al Capodanno.
In Grecia uno dei più caratteristici riti della vigilia è la preparazione del Christopsomo o “pane di Cristo”, una pagnotta di pane dolce che può assumere forme e nomi diversi, con decorazioni sulla crosta che rappresentano scene di vita familiare. La preparazione di questo pane assume il significato di una vera e propria cerimonia religiosa. Accanto alla farina sono utilizzati ingredienti particolari, quali acqua di rose, sesamo, miele, chiodi di garofano e cannella, pronunciando la formula: “Cristo è nato, la luce si accende, cresca il lievito del pane”. A cena il padrone di casa rompe il “pane di Cristo” sulla sua testa e se il pezzo di sinistra è il più grande, significa che il nuovo anno sarà buono. In alcune regioni si preparano i Lahanosarmades, foglie di cavolo cappuccio ripiene di riso con besciamella, che rappresentano le fasciature del Cristo. Dolci tipici sono i Kourambiedes (a base di burro, mandorle e ricoperti di zucchero a velo), i Melomakarona, originari dell’Epiro (al miele e pistacchio), e le Diples, simili alle frappe, dolci originari di Creta.
|
In Ungheria è tradizione mettere sotto la tavola natalizia una cesta con del fieno e dei semi, affinché vengano benedetti dal Bambino. Di quelle sementi, una manciata se ne brucia; ciò che rimane si sparge invece sui campi come auspicio per un buon raccolto. La cena è abbondante: la carpa, pesce tipico del Natale dell’area orientale europea, è servita come antipasto, in gelatina, decorata con verdure e uova sode, oppure durante e a fine pasto, farcita o fritta in pastella. Altra pietanza tradizionale, comune a tutti i Paesi dell’est europeo, sono le aringhe affumicate o in salamoia, conservate in piccole botti di legno, poi tenute in ammollo e servite con tanta cipolla tagliata sottilmente, pezzetti di mela e panna acida.
Il menu natalizio ungherese propone una zuppa con verdure e spezzatino di montone, crauti e un formaggio fresco, equivalente della ricotta, condito con capperi, cipolle ed abbondante paprika. Tra i dolci tipici ci sono il Dobos, una torta dalla preparazione laboriosa, e il Rétés, la pasta per fare lo strudel (di cui, oltretutto, gli ungheresi rivendicano la paternità) qui acconciata a mo’ di tortelli e farcita con marmellate e frutta.
In Polonia la rappresentazione della natività è allestita su due piani. In quello superiore è rappresentata la Natività, in quello inferiore le scene degli eroi nazionali. Sono celebri i presepi di Cracovia, altissimi, riccamente ornati e simili a cattedrali. La cena polacca natalizia, rigorosamente “di magro”, ha inizio con un rito diffuso anche nelle famiglie meno osservanti: prima di sedersi, in piedi intorno alla tavola imbandita a festa, si spezza e ci si scambia l’Oplatek, un pane azzimo rettangolare benedetto, che reca stampate immagini sacre. La tavola è coperta da una tovaglia bianca sotto la quale è sparsa della paglia, in ricordo del Bambin Gesù, ed è decorata con frutta, rami di abete e candele augurali. In Polonia la notte di Natale si consuma il Barszcz, un brodo caldo preparato la vigilia.
Nella Russia sovietica il giorno di Natale era un giorno come gli altri, ma oggi la festività è molto sentita. Accanto al presepe (Verteb), simile allo Szopka polacco, la famiglia canta e prega. In alcuni villaggi si usa decorare all’aperto l’abete più grande. Anche gli animali domestici hanno il loro dono: un pane d’avena per i cavalli, un cosciotto d’agnello per il cane, un pesce per il gatto. Speciale leccornia della vigilia di Natale sono i semi di grano integrale, tenuti per ore a macerare e aromatizzati con semi di papavero schiacciati e mescolati nel miele.
Nella penisola scandinava, durante il periodo natalizio le case sono addobbate con decorazioni fatte con la paglia, con fiori e con dolcetti speziati. I bambini usano il calendario dell’Avvento per contare i giorni fino a Natale e ogni giorno aprono una finestrella. L’albero si addobba il giorno prima di Natale. La sera di Natale si mangia una minestra di riso, polpettine e salcicce. Dopo la cena solitamente ci si riunisce intorno all’albero per cantare. Solo a questo punto arriva Babbo Natale.
In Asia tutte le civiltà celebrano il Natale delle proprie divinità e il ciclico rinnovarsi del tempo. Questo continente è la culla di molte religioni e il cristianesimo è in numerosi Stati la religione della minoranza. Per questo il Natale è celebrato in forma estremamente privata e il presepe è presente in pochissimi popoli. Con la globalizzazione le tradizioni europee sono arrivate anche in Asia: in molti Stati è presente Babbo Natale, anche se con nomi e origini diverse (ad esempio, in Cina è chiamato Dun Che Lao Ren, mentre il Giappone ha Santa Kurohsu). Nei Paesi cristiani, comunque, il Natale è molto sentito e i fedeli non rinunciano alla messa di mezzanotte.
Anche in Oceania si festeggia il Natale, soprattutto sotto l’aspetto consumistico. In Australia lo scambio culturale avvenuto per la presenza nell’isola di una gran varietà di gruppi etnici, fa si che ognuno viva il Natale secondo le tradizioni della cultura di provenienza. In Australia a Natale fa caldo, quindi nessuno si stupisce se Babbo Natale arriva in
|
surf o in canoa. Assai celebre è il concerto di Natale che si tiene ogni anno, sin dal 1937, nella St. Mary’s Cathedral di Sydney. Case, piazze e chiese sono addobbate con fiori e, soprattutto, con i tradizionali New South Wales Christmas bush, ovvero i “Cespugli di Natale australiani”, piante che danno dei piccoli fiori rossi vagamente somiglianti alle nostre Stelle di Natale.
In Nuova Zelanda i trascorsi coloniali hanno portato la tradizione dell’albero di Natale, che qui ovviamente non può essere l’abete ma che è il Pohutokawa (Metrosideros tomentosa o più comunemente Bottle brush), utilizzato come simbolo per questa festa perché i fiori rossi di cui si ricopre spuntano proprio nel periodo natalizio. In questa parte del mondo, da alcuni anni si sta diffondendo l’abitudine di festeggiare un secondo Natale il 25 di luglio, quando l’emisfero australe è in pieno inverno.
In molti Paesi dell’Africa, la coesistenza di culture religiose diverse ha dato vita ad interessanti incontri: la messa cattolica spesso prevede riti locali come il ballo, come anche le figure del Cristo riprendono spesso sembianze di un bambinello nero. In quasi tutti gli Stati dove si festeggia il Natale, tradizionali sono i balli fatti con grandi maschere di legno, ognuna prodotta artigianalmente da chi la deve indossare. Il presepe, invece, è una tradizione importata solo di recente, anche se è presente nel continente nelle celebrazioni natalizie africane già dai primi tempi delle missioni. Ovviamente non esiste l’abete: la decorazione più diffusa consiste in un intreccio di rami di palma, spesso disposti a formare un arco, su cui sono applicati dei grandi fiori bianchi selvatici che sbocciano sotto Natale.
In America i modi di festeggiare il Natale variano molto: al Nord tutto è all’insegna del consumo e dello shopping sfrenato, al Centro e al Sud il Natale è più sentito sotto l’aspetto religioso, anche se non mancano le grandi luci e i grandi addobbi.
Negli Stati Uniti il modo di festeggiare cambia a seconda l’etnia di appartenenza: gli italo-americani (numerosi anche in Canada) attendono la mezzanotte per andare a messa e poi consumare un sontuoso pranzo a base di pesce. Malgrado la varietà di abitudini culturali, si sono imposte con gli anni consuetudini che accomunano un po’ tutti, come l’attesa dei regali portati da Santa Klaus, l’albero addobbato e i Christmas-crackers. Questi ultimi sono pacchettini di carta a forma di grosse caramelle, contenenti cappellini di carta colorata o piccoli regali; si mettono sia sull’albero sia in tavola, come segnaposto, e si aprono immediatamente prima del pranzo. A tavola non manca il tacchino ripieno di castagne che rappresenta la tradizione americana adottato da tutti gli immigrati, ovviamente accanto alle preparazioni tipiche del Paesi d’origine. Famosi sono i Mince-pies, biscotti che originariamente avevano la forma di mangiatoia ma che i Riformatori cristiani hanno bandito perché troppo pagani. Oggi questi dolcetti hanno svariate forme.
In Canada si usa decorare la casa con addobbi natalizi fatti di corone di alloro, e ovviamente non manca il famoso Albero di natale. Il pranzo natalizio consiste nel tacchino ripieno con contorno di patate e salsa di mirtilli, oppure nella prelibata anatra arrosto.
Più folcloristiche sono le tradizioni natalizie in America Latina. In Messico, ad esempio, si usa iniziare i festeggiamenti religiosi già nove giorni prima del Natale: ogni giorno rappresenta un mese della gravidanza di Maria. In ogni casa si allestiscono le Pifiatas, grosse pentole in coccio rivestite di carta stagnola colorata ai cui lati si applicano dei coni fatti con cartoncino o carta di riso, da cui pendono striscioline multicolori, riempite di frutta di stagione. Al termine dei nove giorni, in chiesa o per strada, prima della messa, s’inscena una breve rappresentazione, conosciuta come las posadas, dove si impersonano Giuseppe e Maria che vagano alla ricerca di un ricovero.
La cena di Natale varia da Paese a Paese. Sulle tavole delle famiglie più povere il menù generalmente non si discosta da quello quotidiano, mentre chi ne ha la possibilità festeggia l’arrivo del Bambin Gesù con tacchino ripieno di verdura, cosciotto di maiale al forno o con l’Asado, la carne alla brace.
Ultima curiosità legata all’America latina è la “Stella di Natale”, la pianta che decora le nostre case. Questa pianta arriva proprio dall’America latina, precisamente dal Messico: “riscoperta” da Joel Poinsett, primo ambasciatore statunitense in questo paese (ma anche cultore di botanica), fu importata negli Usa nel 1828 e prese il nome, in suo onore, di Poinsettia pulcherrima. In Europa fu importata nel 1804 dal naturalista Alexander von Humboldt, che notò questa pianta con un “fiore non fiore” in un suo viaggio in America centrale.