Kenya: assassinato sacerdote a pochi giorni dal voto

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Proprio nel giorno in cui la comunità internazionale si indigna per gli eventi antisemiti dello stadio Olimpico di Roma del quale vi scriviamo a parte, pochissimi media riportano la notizia dell’ennesimo barbaro assassinio di un sacerdote. Questa volta, scriviamo questa volta perché purtroppo tali tragici eventi nel mondo hanno una cadenza settimanale), è stato ucciso un sacerdote keniano.

Padre Evans Juma Oduor è stato trovato incosciente vicino ad una piantagione di canna da zucchero nei pressi del Chiga Market Centre a Muhoroni, a 30 km dal convento di Nyabondo. La carcassa bruciata della sua automobile è stata ritrovata a cinque km di distanza dal luogo dove è stato rinvenuto il sacerdote.
Portato all’ospedale, padre Evans, che presentava ferite alla testa, è morto qualche ora dopo senza aver ripreso conoscenza.
Padre Evans era parroco presso la chiesa di Sigomore, facente parte dell’Arcidiocesi di Kisumu, nell’ovest del Kenya.

Non più di due settimane fa il sacerdote aveva lanciato un appello pubblico al governo perché smettesse di uccidere i Luo, l’etnia di Raila Odinga, il principale sfidante del Presidente uscente Uhuru Kenyatta, nelle elezioni presidenziale dell’8 agosto, poi annullate dalla Corte Suprema, su ricorso dello stesso Odinga.
La tensione in Kenya è molto alta alla vigilia della ripetizione del voto presidenziale che si tiene il 26 ottobre e che è boicottato da Odinga per protesta per il mancato accoglimento della sua richiesta di revisione della composizione della Commissione Elettorale Indipendente (IEBC), al centro delle polemiche politiche perché considerata parteggiante per il Presidente Kenyatta.

La popolazione è suddivisa in più di settanta etnie, appartenenti a quattro famiglie linguistiche: i bantu, i nilotici, i paranilotici e i cusciti. Un tempo il paese era abitato da gruppi stanziati lungo la costa e, nelle regioni interne, dai masai, che oggi vivono soprattutto nelle regioni meridionali. Attualmente l’etnia più numerosa è rappresentata dal gruppo bantu dei kikuyu (21% della popolazione); altri gruppi relativamente numerosi sono i luhya (14%), i kamba (11%), tutti di lingua bantu, i luo (13%), di lingua nilotica, e i kalenjin (11%), paranilotici. Nel paese vivono inoltre esigue minoranze di asiatici, europei e arabi.

L’appartenenza religiosa è così composta: presbiteriani, altri protestanti e quaccheri 45%, cattolici e ortodossi 35%, musulmani 11%, religioni tradizionali 9%. Altri includono induismo, animismo, sikhismo, giainismo e il credo di bahá’í. Il Kenya contiene il più grande gruppo di quaccheri in una singola nazione.

Il Paese è in attesa di un voto molto sentito e carico di tensioni e soprattutto di interessi.

Il presidente Uhuru Kenyatta, alla guida del paese dal 2013 e riconfermato l’ultima volta alle elezioni dello scorso 8 agosto non ha gradito di dover affrontare nuove elezioni. A decidere di rivedere l’esito della votazione è stata la corte suprema di Nairobi: quattro dei sei giudici che la compongono hanno accolto il ricorso presentato dal principale sfidante di Kenyatta, Raila Odinga, suo storico oppositore.

Kenyatta ha più volte espresso il proprio “personale disappunto”aggiungendo: . “Siamo pronti” per un nuovo voto, “lasciamo che sia il popolo a decidere”. Il presidente, comunque, non ha risparmiato critiche ai giudici: “Sei persone hanno deciso di andare contro la volontà del popolo”, anche se poi ha fatto appello alla calma. “Per proteggere l’integrità della volontà sovrana dei cittadini, la commissione intende apportare modifiche interne al personale”. Così Wafula Chebukati, presidente della commissione elettorale del paese africano.

“È un giorno veramente storico per il popolo del Kenya e per tutta l’Africa. È la prima volta nella storia del continente che un’elezione presidenziale viene annullata“, ha commentato Odinga, che aveva denunciato brogli nelle passate elezioni presidenziali: secondo il leader dell’opposizione, i computer della commissione elettorale erano stati hackerati in modo da far vincere il presidente uscente. Kenyatta, infatti, era stato riconfermato alla guida del paese con il 54,31% dei voti, contro il 44,81% dello sfidante. David Maraga, ha spiegato che la commissione elettorale “ha ignorato e mancato” di organizzare il voto “secondo la Costituzione“.

Negli ultimi giorni durante gli scontri con la polizia, oltre 40 persone hanno perso la vita. La contesa politica ha preso inoltre una dimensione etnica che ricorda i gravissimi incidenti scoppiati circa 10 anni fa dopo le contestate elezioni presidenziali del dicembre 2007 che avevano provocato migliaia di morti e milioni di sfollati interni.

Nell’imminenza del voto, una delle questioni nodali è se la IEBC, nella sua forma attuale, sia in grado di garantire l’organizzazione e il regolare svolgimento della ripetizione delle elezioni presidenziali.
La coalizione della NASA, già in tempi non sospetti, aveva dichiarato di “non aver fiducia nella Commissione elettorale e che buona parte dei suoi funzionari dovevano essere destituiti e messi sotto processo”.
Sotto accusa c’è anche il sistema di trasmissione dei risultati, che secondo l’opposizione sarebbe stato manipolato a causa di un attacco informatico. Per questo, Raila Odinga, dopo il risultato che assegnava la vittoria al suo rivale, ha immediatamente presentato ricorso alla Corte suprema, affermando che i risultati elettorali dell’8 agosto avevano dato alla nazione “una presidenza generata dal computer”.

Importante evidenziare che le accuse del candidato hanno rilanciato il dibattito intorno all’uso della tecnologia digitale nelle elezioni nazionali, mentre gli esperti si interrogano se tornare ai vecchi metodi di scrutinio su cartaceo sia la cosa migliore.

La discussione non è più teorica in Africa, dove un numero crescente di Paesi si affida al voto elettronico o include una componente digitale nel processo di voto, come i kit per il riconoscimento dei dati biometrici (impronte digitali) degli elettori e il sistema di trasmissione elettronica dei risultati, impiegato nelle elezioni invalidate in Kenya.

Già nel 2013, il sistema informatico utilizzato per il riconoscimento degli elettori e il successivo trasferimento dei risultati al centro di raccolta nazionale a Nairobi aveva registrato delle anomalie, costringendo la IEBC a ricorrere al conteggio manuale.

Quattro anni dopo, i tablet utilizzati per l’identificazione degli elettori e la trasmissione dei risultati avrebbero funzionato bene, ma l’opposizione sostiene che i server dei computer sono stati hackerati ed è stato caricato un algoritmo per gonfiare artificialmente il numero di voti a favore di Kenyatta.
Da parte sua, la IEBC afferma di aver autenticato tutte le schede dei 40.883 seggi presenti nel Paese per garantire la legittimità dei risultati della votazione, ma rimane innegabile che le elezioni presidenziali sono state invalidate per “irregolarità e illegalità nella trasmissione dei risultati”.

Raffaele Dicembrino




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