Francia: pubblicato rapporto su abusi nella chiesa

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Abusi –  Alla plenaria dei vescovi francesi è stato presentato il nuovo Rapporto sulla pedofilia. Da quanto emerso nel documento della Conferenza episcopale le denunce sono in aumento.

Da settembre 2018 a settembre 2020, in Francia 320 persone hanno denunciato abusi sessuali subiti da membri del clero e religiosi, 100 in più rispetto a quelle registrate tra il 2010 e 2016: è uno dei dati più significativi che emergono dal terzo Rapporto della Conferenza episcopale francese (Cef) sulla pedofilia nella Chiesa, reso noto durante i lavori dell’assemblea plenaria in corso dal 3 all’8 novembre.

Il documento, presentato da monsignor Dominique Blanchet, vicepresidente della Cef, traccia un quadro più preciso della situazione dopo i due precedenti rapporti del gennaio 2017 e dell’ottobre 2018. La prima parte presenta le cifre aggiornate raccolte in questi ultimi due anni nelle diocesi francesi, mentre la seconda riporta in modo schematico informazioni sulle azioni intraprese dalla Chiesa nella lotta a questa piaga e nella prevenzione, sia a livello locale che a livello mondiale. Vi è dunque un significativo aumento delle denunce, passate da 220 del periodo tra il 2010 al 2016 a 320. Una crescita che il rapporto collega alle misure prese dalla Chiesa di Francia in questi ultimi anni: segnatamente l’istituzione nel 2018 di una Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase), la creazione di cellule di accoglienza e di ascolto nelle diocesi, oltre ai ripetuti inviti rivolti alle vittime dalla Commissione perché abbiano il coraggio di denunciare l’abuso subito e si mettano in contatto con le istituzioni ecclesiastiche.

Un altro dato che emerge dal rapporto riguarda le segnalazioni da parte dei vescovi alle procure, che tra il 2010 e il 2020 sono state in tutto 110, di cui 67 per fatti anteriori al 2000 e 43 per fatti successivi. Quanto agli autori degli abusi, sono state 208 le persone per cui si è aperto un procedimento. Con riferimento alle misure prese, sempre negli ultimi due anni, 57 tra preti, religiosi e diaconi sono stati sospesi e 13 condannati ad una pena canonica. Lo scarto esistente tra le 320 persone che hanno denunciato e le segnalazioni ed i procedimenti avviati viene spiegato dal fatto che spesso le vittime non erano note ai vescovi, che i responsabili erano deceduti o non  identificabili.

Un’altra informazione importante fornita dal documento riguarda infine l’azione capillare intrapresa dalla Chiesa per lottare contro la pedofilia: su 97 diocesi e arcidiocesi francesi, 24 possono oggi contare su referenti diocesani e sono 83 quelle che hanno aperto una cellula di ascolto e accoglienza. “Anche se resta ancora molto da fare perché la Chiesa diventi una casa sicura per tutti – si sottolinea nell’introduzione – il nuovo rapporto evidenzia la ferma determinazione dei vescovi di andare oltre e di attuare tutte le misure necessarie ad affrontare questa sfida così urgente e necessaria”, cominciando dall’ascolto delle vittime.

Papa Francesco non ha mai lesinato parole e provvedimenti contro tali abusi.

Nel giorno del suo 83esimo compleanno, Bergoglio ha emanato due nuovi importanti provvedimenti sulla linea della tolleranza zero per il contrasto della pedofilia. Si tratta di norme in perfetta continuità con le leggi già emanate dopo il summit mondiale sugli abusi tenutosi nel febbraio 2019 in Vaticano. In essi si stabilisce che non sono poiù coperti dal segreto pontificio le denunce, i processi e le decisioni che riguardano chi “costringe qualcuno, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, a compiere o subire atti sessuali”; chi “compie atti sessuali con un minore o con una persona vulnerabile; chi è coinvolto “nella produzione, nell’esibizione, nella detenzione o nella distribuzione, anche per via telematica, di materiale pedopornografico, nonché nel reclutamento o nell’induzione di un minore o di una persona vulnerabile a partecipare ad esibizioni pornografiche”.

Papa Francesco  ha abolito anche il segreto pontificio sulle denunce, i processi e le decisioni riguardanti coloro che hanno commesso azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso in merito ai delitti di abusi sessuali.

Il pontefice ha modificato anche uno dei reati più gravi in materia di abusi. Si tratta di quello che riguarda “l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori di diciotto anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento”. Bergoglio ha stabilito, inoltre, che l’esclusione del segreto pontificio sussiste anche quando tali delitti siano stati commessi in concorso con altri reati. Nelle cause di abusi sessuali il Papa prevede che “le informazioni sono trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza”, “al fine di tutelare la buona fama, l’immagine e la sfera privata di tutte le persone coinvolte”. Francesco sottolinea ancora che “il segreto d’ufficio non osta all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione, nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili. A chi effettua la segnalazione, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo ai fatti di causa”.

Nel settembre scorso  il Papa ha affermato : “La necessaria denuncia va sempre accompagnata da un annuncio che farà bene a tutti noi sentire: Vi assicuro che ogni volta che l’avete fatto con il più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto con me” , citando il Vangelo di Matteo, nella prefazione che ha firmato a un libro intitolato “Teologia e prevenzione”, un approfondito studio teologico interdisciplinare sulla prevenzione degli abusi nella Chiesa, coordinato dal Consiglio latinoamericano del Centro di ricerca e formazione interdisciplinare per la protezione dei minori (CEPROME) della Pontificia Università del Messico.

Si tratta di un testo articolato che raggruppa diversi contenuti a firma di psicologi, sacerdoti, specialisti che, dal punto di vista teologico, invitano ad approfondire «questo doloroso male dell’abuso sessuale avvenuto nella nostra Chiesa cattolica» scrive ancora Bergoglio. Il testo dovrebbe essere anche tradotto in Italiano.

«In quest’ultimo tempo ecclesiale siamo stati sfidati a guardare a testa alta questo conflitto, ad assumerlo e a soffrirlo insieme alle vittime, alle loro famiglie e a tutta la comunità per trovare vie che ci facessero dire: mai più alla cultura dell’abuso. Questa realtà ci impone di lavorare sulla consapevolezza, la prevenzione e la promozione della cultura della cura e della protezione nelle nostre comunità e nella società in generale, affinché nessuno possa vedere la propria integrità e dignità violata o abusata. Lottare contro gli abusi significa promuovere e responsabilizzare le comunità capaci di vigilare e di annunciare che ogni vita merita di essere rispettata e valorizzata; soprattutto i più indifesi che non hanno le risorse per far sentire la loro voce».

Il 16 Luglio 2020 la CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE ha pubblicato un Vadmecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commesso dai chierici.

Nell’introduzione si legge che pPer rispondere alle numerose domande sui passi da seguire nelle cause penali di propria competenza, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha predisposto questo Vademecum destinato, in primo luogo, agli Ordinari e agli Operatori del diritto che si trovano nella necessità di dover tradurre in azioni concrete la normativa canonica circa i casi di abuso sessuale di minori compiuti da chierici.

Si tratta di una sorta di “manuale”, che dalla notitia criminis alla definitiva conclusione della causa intende prendere per mano e condurre passo passo chiunque si trovi nella necessità di procedere all’accertamento della verità nell’ambito dei delitti sopra menzionati.

Non è un testo normativo, non innova la legislazione in materia, ma si propone di rendere più chiaro un percorso. Nonostante ciò se ne raccomanda l’osservanza, nella consapevolezza che una prassi omogenea contribuisce a rendere più chiara l’amministrazione della giustizia.

I riferimenti principali sono i due Codici vigenti (CIC e CCEO); le Norme sui delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, nella versione emendata del 2010, emanate con il motu proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela, tenuto conto delle innovazioni apportate dai Rescripta ex Audientia del 3 e 6 dicembre 2019; il motu proprio Vos estis lux mundi; e, non da ultimo, la prassi della Congregazione per la Dottrina della Fede, che negli ultimi anni si è sempre più precisata e consolidata.

Trattandosi di uno strumento duttile, si prevede che esso possa essere aggiornato periodicamente, ogni qual volta si dovesse modificare la normativa di riferimento o la prassi della Congregazione rendesse necessarie precisazioni ed emendamenti.

Non sono state volutamente contemplate nel Vademecum le indicazioni sullo svolgimento del processo penale giudiziale nel primo grado di giudizio, nella convinzione che la procedura illustrata nei Codici vigenti sia sufficientemente chiara e dettagliata.

Il desiderio è che questo strumento possa aiutare le Diocesi, gli Istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica, le Conferenze episcopali e le diverse circoscrizioni ecclesiastiche a meglio comprendere e attuare le esigenze della giustizia su un delictum gravius che costituisce, per tutta la Chiesa, una ferita profonda e dolorosa che domanda di essere guarita.

Che cosa configura il delitto?

1. Il delitto di cui si sta trattando comprende ogni peccato esterno contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore (cf can. 1395 § 2 CIC; art. 6 § 1, 1° SST).

2. La tipologia del delitto è molto ampia e può comprendere, ad esempio, rapporti sessuali (consenzienti e non consenzienti), contatto fisico a sfondo sessuale, esibizionismo, masturbazione, produzione di pornografia, induzione alla prostituzione, conversazioni e/o proposte di carattere sessuale anche mediante mezzi di comunicazione.

3. Il concetto di “minore” per quanto riguarda i casi in questione è variato nel tempo: fino al 30 aprile 2001 si intendeva la persona con meno di 16 anni di età (anche se in alcune legislazioni particolari — per esempio USA [dal 1994] e Irlanda [dal 1996] — l’età era già stata innalzata ai 18 anni). Dal 30 aprile 2001, quando fu promulgato il motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela, l’età è stata universalmente innalzata ai 18 anni, ed è l’età tuttora vigente. Di queste variazioni bisogna tenere conto quando si deve definire se il “minore” era effettivamente tale, secondo la definizione di Legge in vigore al tempo dei fatti.

4. Il fatto che si parli di “minore” non incide sulla distinzione, che si desume talora dalle scienze psicologiche, fra atti di “pedofilia” e atti di “efebofilia”, ossia con adolescenti già usciti dalla pubertà. La loro maturità sessuale non influisce sulla definizione canonica del delitto.

5. La revisione del motu proprio SST, promulgata il 21 maggio 2010, ha sancito che al minore vanno equiparate le persone che hanno abitualmente un uso imperfetto della ragione (cf art. 6 § 1, 1° SST). Circa l’uso dell’espressione “adulto vulnerabile”, altrove descritto come «ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa» (cf art. 1 § 2, b VELM), va ricordato che tale definizione integra fattispecie più ampie rispetto alla competenza della CDF, la quale resta limitata, oltre ai minori di diciotto anni, a chi “ha abitualmente un uso imperfetto di ragione”. Altre fattispecie al di fuori di questi casi vengono trattate dai Dicasteri competenti (cf art. 7 § 1 VELM).

6. SST ha inoltre introdotto (cf art. 6 § 1, 2° SST) tre nuovi delitti che riguardano una tipologia particolare di minori, ossia acquisire, detenere (anche temporaneamente) e divulgare immagini pornografiche di minori di 14 anni (dal 1 gennaio 2020: di 18 anni) da parte di un chierico a scopo di libidine in qualunque modo e con qualunque strumento. Dal 1 giugno al 31 dicembre 2019 l’acquisizione, la detenzione, e la divulgazione di materiale pornografico che coinvolga minori fra i 14 e i 18 anni di età commessi da chierici o da membri di Istituti di Vita consacrata o di Società di vita apostolica sono delitti di competenza di altri Dicasteri (cf artt. 1 e 7 VELM). Dal 1 gennaio 2020 la competenza è della Congregazione per la Dottrina della Fede.

7. Si sottolinea che questi tre delitti sono canonicamente perseguibili solo a partire dall’entrata in vigore di SST, cioè dal 21 maggio 2010. La produzione di pornografia con minori, invece, rientra nella tipologia di delitto indicata nei nn. 1-4 del presente Vademecum e, quindi, va perseguita anche prima di tale data.

8. Secondo il diritto dei religiosi appartenenti alla Chiesa latina (cf cann. 695 ss. CIC), il delitto di cui al n. 1 può comportare anche la dimissione dall’Istituto religioso. Si nota fin d’ora quanto segue: a/ tale dimissione non è una pena, ma è un atto amministrativo del Moderatore supremo; b/ per decretarla, deve essere scrupolosamente osservata la procedura relativa, descritta nei cann. 695 § 2, 699, 700 CIC; c/ la conferma ex can. 700 CIC del decreto di dimissione va richiesta alla CDF; d/ la dimissione dall’Istituto comporta la perdita dell’incorporazione nell’Istituto e la cessazione dei voti e degli obblighi derivanti dalla professione (cf can. 701 CIC), e il divieto di esercitare l’Ordine ricevuto finché non siano verificate le condizioni di cui al can. 701 CIC. Si applicano le medesime regole, con gli opportuni adattamenti, anche per i membri definitivamente incorporati nelle Società di Vita apostolica (cf can. 746 CIC).

II.  Che cosa fare quando si riceve un’informazione su un possibile delitto (notitia de delicto)?

a/ Che cosa s’intende per notitia de delicto?

9. La notitia de delicto (cf can. 1717 § 1 CIC; can. 1468 § 1 CCEO; art. 16 SST; art. 3 VELM), che viene talora chiamata notitia criminis, è qualunque informazione su un possibile delitto che giunga in qualunque modo all’Ordinario o al Gerarca. Non è necessario che si tratti di una denuncia formale.

10. Questa notitia può dunque avere varie fonti: essere presentata formalmente all’Ordinario o al Gerarca, in modo orale o scritto, dalla presunta vittima, dai suoi tutori, da altre persone che asseriscono di essere informate dei fatti; giungere all’Ordinario o al Gerarca durante l’esercizio dei suoi doveri di vigilanza; essere presentata all’Ordinario o al Gerarca dalle autorità civili secondo le modalità previste dalle legislazioni locali; essere diffusa dai mezzi di comunicazione di massa (ivi compresi i social media); giungere a sua conoscenza tramite le voci raccolte, e in ogni altro modo adeguato.

11. Talvolta, la notitia de delicto può giungere da fonte anonima, ossia da persone non identificate o non identificabili. L’anonimato del denunciante non deve far ritenere falsa in modo automatico tale notitia; tuttavia, per ragioni facilmente comprensibili, è opportuno usare molta cautela nel prendere in considerazione tale tipo di notitia, che non va assolutamente incoraggiato.

12. Allo stesso modo, non è consigliabile scartare aprioristicamente la notitia de delicto che perviene da fonti la cui credibilità può sembrare, ad una prima impressione, dubbia.

13. Talora, la notitia de delicto non fornisce dettagli circostanziati (nominativi, luoghi, tempi…). Anche se vaga e indeterminata, essa deve essere adeguatamente valutata e, nei limiti del possibile, approfondita con la debita attenzione.

14. Bisogna ricordare che una notizia di delictum gravius appresa in confessione è posta sotto lo strettissimo vincolo del sigillo sacramentale (cf can. 983 § 1 CIC; can. 733 § 1 CCEO; art. 4 § 1, 5° SST). Occorrerà pertanto che il confessore che, durante la celebrazione del Sacramento, viene informato di un delictum gravius, cerchi di convincere il penitente a rendere note le sue informazioni per altre vie, al fine di mettere in condizione di operare chi di dovere.

15. L’esercizio dei doveri di vigilanza in capo all’Ordinario e al Gerarca non prevede che egli debba esercitare continui controlli investigativi a carico dei chierici a lui soggetti, ma non consente neppure che egli si esima dal tenersi informato circa le loro condotte in tale ambito, soprattutto se sia giunto a conoscenza di sospetti, comportamenti scandalosi, condotte che turbano gravemente l’ordine.

b/ Quali azioni si devono intraprendere quando si è ricevuta una notitia de delicto?

16. L’art. 16 SST (cf anche cann. 1717 CIC e 1468 CCEO) dispone che, ricevuta una notitia de delicto, si svolga un’indagine previa, qualora la notitia de delicto sia “saltem verisimilis”. Se tale verisimiglianza risultasse non fondata, si può non dare seguito alla notitia de delicto, avendo cura tuttavia di conservare la documentazione insieme a una nota nella quale illustrare le ragioni della decisione.

17. Anche in assenza di un esplicito obbligo normativo, l’autorità ecclesiastica presenti denuncia alle autorità civili competenti ogni qualvolta ritenga che ciò sia indispensabile per tutelare la persona offesa o altri minori dal pericolo di ulteriori atti delittuosi.

18. Considerata la delicatezza della materia (data per esempio dal fatto che i peccati contro il sesto comandamento del Decalogo sono raramente avvenuti in presenza di testimoni), il giudizio circa l’assenza di verisimiglianza (che può portare all’omissione dell’indagine previa) sarà emesso solo in caso di manifesta impossibilità di procedere a norma del Diritto Canonico: per esempio, se risulta che, al tempo del delitto di cui è accusata, la persona non era ancora chierico; se risulta evidente che la presunta vittima non era minorenne (su questo punto, cf n. 3); se è un fatto notorio che la persona segnalata non poteva essere presente sul luogo del delitto nel momento in cui sarebbero avvenuti gli addebiti.

19. Anche in questi casi, comunque, è consigliabile che l’Ordinario o il Gerarca dia alla CDF comunicazione della notitia de delicto e della decisione di soprassedere all’indagine previa per manifesta assenza di verisimiglianza.

20. In tal caso si ricordi che, pur mancando il delitto con minori, ma comunque in presenza di condotte improprie e imprudenti, se la cosa è necessaria per proteggere il bene comune e per evitare scandali, rientra nei poteri dell’Ordinario e del Gerarca prendere altri provvedimenti di tipo amministrativo nei confronti della persona segnalata (per esempio, limitazioni ministeriali), o imporle i rimedi penali di cui al can. 1339 CIC, al fine di prevenire i delitti (cf can. 1312 § 3 CIC), oppure la riprensione pubblica di cui al can. 1427 CCEO. Se poi ci sono stati delitti non graviora, l’Ordinario o il Gerarca deve intraprendere le vie giuridiche adatte alle circostanze.

21. Secondo il can. 1717 CIC e il can. 1468 CCEO, il compito dell’indagine previa spetta all’Ordinario o al Gerarca che ha ricevuto la notitia de delicto, o a persona idonea che egli avrà individuato. L’eventuale omissione di questo dovere potrebbe costituire un delitto perseguibile ai sensi del CIC, del CCEO e del motu proprio Come una madre amorevole, nonché dell’art. 1 § 1, b VELM.

22. L’Ordinario o il Gerarca cui spetta tale compito può essere quello del chierico segnalato o, se differente, l’Ordinario o il Gerarca del luogo dove sono avvenuti i presunti delitti. In questo caso, si comprende facilmente che è bene che si attivi la comunicazione e la collaborazione fra i diversi Ordinari interessati, onde evitare conflitti di competenza o duplicati nel lavoro, soprattutto se il chierico è un religioso.

23. Se un Ordinario o un Gerarca riscontra problemi per avviare o svolgere l’indagine previa, si rivolga senza indugio alla CDF, per consiglio o per dirimere eventuali questioni.

24. Può succedere che la notitia de delicto sia giunta direttamente alla CDF, senza il tramite dell’Ordinario o del Gerarca. In tal caso, la CDF può chiedergli di svolgere l’indagine, o, secondo l’art. 17 SST, svolgerla essa stessa.

25. La CDF, per proprio giudizio, per esplicita richiesta o per necessità, può anche chiedere ad un Ordinario o a un Gerarca terzo di svolgere l’indagine previa.

26. L’indagine previa canonica deve essere svolta indipendentemente dall’esistenza di una corrispondente indagine da parte delle autorità civili. Qualora però la legislazione statale imponga il divieto di indagini parallele alle proprie, l’autorità ecclesiastica competente si astenga dall’avviare l’indagine previa e dia comunicazione alla CDF di quanto è stato segnalato, allegando eventuale materiale utile. Qualora sembri opportuno attendere la fine delle indagini civili per acquisirne eventualmente le risultanze o per altri tipi di motivazione, è bene che l’Ordinario o il Gerarca si consigli in proposito con la CDF.

27. L’attività di indagine deve essere svolta nel rispetto delle leggi civili di ogni Stato (cf art. 19 VELM).

28. È noto che, anche per i delitti di cui si sta trattando, esistono termini di prescrizione dell’azione criminale che sono notevolmente variati nel tempo. I termini attualmente vigenti sono definiti dall’art. 7 SST[1]. Poiché però il medesimo art. 7 § 1 SST consente alla CDF di derogare in singoli casi alla prescrizione, l’Ordinario o il Gerarca che abbia constatato che i tempi per la prescrizione sono trascorsi dovrà ugualmente dare seguito alla notitia de delicto e all’eventuale indagine previa, comunicandone gli esiti alla CDF, cui unicamente spetta il giudizio sul mantenimento della prescrizione o sulla deroga ad essa. Nella trasmissione degli atti l’Ordinario o il Gerarca potranno utilmente esprimere un proprio parere circa l’eventuale deroga, motivandolo in ragione delle circostanze attuali (es.: stato di salute o età del chierico, possibilità del medesimo di esercitare il suo diritto di difesa, danno provocato dalla presunta azione criminale, scandalo suscitato).

29. In questi delicati atti preliminari, l’Ordinario o il Gerarca può ricorrere al consiglio della CDF (cosa che può avvenire in ogni momento del trattamento di un caso), come anche liberamente consultarsi con esperti in materia canonica penale. In quest’ultima evenienza, però, si badi di evitare ogni inopportuna o illecita diffusione di informazioni al pubblico che potrebbe pregiudicare la possibile, successiva indagine previa o dare l’impressione di aver già definito con certezza i fatti o la colpevolezza del chierico in questione.

30. Si deve notare che già in questa fase si è tenuti all’osservanza del segreto di ufficio. Va ricordato tuttavia che a chi effettua la segnalazione, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo ai fatti.

31. A norma dell’art. 2 § 3 VELM, l’Ordinario che abbia ricevuto la notitia de delicto deve trasmetterla senza indugio all’Ordinario o al Gerarca del luogo dove sarebbero avvenuti i fatti, nonché all’Ordinario o al Gerarca proprio della persona segnalata, vale a dire, nel caso di un religioso, al suo Superiore maggiore se è l’Ordinario proprio, e nel caso di un diocesano, all’Ordinario della diocesi o al Vescovo eparchiale di incardinazione. Qualora l’Ordinario o il Gerarca del luogo e l’Ordinario o il Gerarca proprio non siano la stessa persona, è auspicabile che essi prendano contatto per concordare chi svolgerà l’indagine. Nel caso che la segnalazione riguardi un membro di un Istituto di vita consacrata o di una Società di vita apostolica, il Superiore maggiore informerà anche il Moderatore Supremo e, nel caso di Istituti e Società di diritto diocesano, anche il Vescovo di riferimento.

III. Come avviene l’indagine previa?

32. L’indagine previa si svolge secondo i criteri e le modalità indicati nel can. 1717 CIC o 1468 CCEO e richiamati qui di seguito.

a/ Che cos’è l’indagine previa?

33. Si deve sempre tenere presente che l’indagine previa non è un processo, e il suo scopo non è raggiungere la certezza morale in merito allo svolgimento dei fatti oggetto dell’accusa. Essa serve: a/ alla raccolta di dati utili ad approfondire la notitia de delicto; e b/ ad accreditarne la verisimiglianza, ossia a definire quello che si chiama fumus delicti, cioè il fondamento sufficiente in diritto e in fatto per ritenere verisimile l’accusa.

34. Per questo, come indicano i canoni citati nel n. 32, l’indagine previa deve raccogliere informazioni più dettagliate rispetto alla notitia de delicto circa i fatti, le circostanze e l’imputabilità di essi. Non è necessario realizzare già in questa fase una raccolta minuziosa di elementi di prova (testimonianze, perizie), compito che spetterà poi all’eventuale procedura penale successiva. L’importante è ricostruire, per quanto possibile, i fatti su cui si fonda l’accusa, il numero e il tempo delle condotte delittuose, le loro circostanze, le generalità delle presunte vittime, aggiungendo una prima valutazione dell’eventuale danno fisico, psichico e morale procurato. Si dovrà avere cura di indicare possibili relazioni con il foro interno sacramentale (in merito a ciò, tuttavia, si tenga conto di quanto richiede l’art. 24 SST[2]). Si aggiungeranno anche eventuali altri delitti attribuiti all’accusato (cf art. 8 § 2 SST[3]) e si indicheranno fatti problematici emergenti dal suo profilo biografico. Può essere opportuno raccogliere testimonianze e documenti, di qualunque genere e provenienza (comprese le risultanze delle indagini o di un processo svolte da parte delle autorità civili), che possano risultare veramente utili a circostanziare e accreditare la verisimiglianza dell’accusa. È già possibile indicare eventuali circostanze esimenti, attenuanti o aggravanti, come previste dalla Legge. Può anche essere utile raccogliere fin d’ora testimoniali di credibilità circa i denuncianti e le presunte vittime. In Appendice al presente Vademecum si include uno schema riassuntivo dei dati utili, che chi svolge l’indagine previa vorrà tenere presente e compilare (cf n. 69).

35. Qualora, durante l’indagine previa, si venga a conoscenza di altre notitiae de delicto, esse vengano approfondite nella medesima indagine.

36. Come accennato, l’acquisizione delle risultanze delle indagini civili (o dell’intero processo di fronte al Tribunale statale) potrebbe rendere superflua l’indagine previa canonica. Si deve comunque prestare la dovuta attenzione alla valutazione delle indagini civili da parte di chi deve svolgere l’indagine previa, perché i criteri di esse (per esempio in merito ai tempi di prescrizione, alla tipologia del delitto, all’età della vittima…) possono sensibilmente variare rispetto al prescritto della Legge canonica. Anche in questo caso, può essere consigliabile, in caso di dubbio, ricorrere al confronto con la CDF.

37. L’indagine previa potrebbe essere superflua anche in caso di delitto notorio e non dubbio (per esempio l’acquisizione degli atti processuali civili o la confessione da parte del chierico).

b/ Quali atti giuridici bisogna compiere per avviare l’indagine previa?

38. Se l’Ordinario o il Gerarca competente ritiene opportuno avvalersi di altra persona idonea per svolgere l’indagine (cf n. 21), lo scelga con i criteri indicati dal can. 1428 §§ 1-2 CIC o 1093 CCEO[4].

39. Nella nomina di chi svolge l’indagine, tenendo conto della cooperazione che può essere offerta dai laici ai sensi dei cann. 228 CIC e 408 CCEO (cf art. 13 VELM), l’Ordinario o il Gerarca tenga presente che, secondo il can. 1717 § 3 CIC e 1468 § 3 CCEO, se in seguito si svolgerà un processo penale giudiziale, la stessa persona non potrà in esso svolgere la funzione di giudice. La prassi suggerisce che lo stesso criterio si usi per la nomina del Delegato e degli Assessori nel caso di processo extragiudiziale.

40. Secondo i cann. 1719 CIC e 1470 CCEO, l’Ordinario o il Gerarca deve emettere un decreto di apertura dell’indagine previa, in cui nomina colui che conduce l’indagine, indicando nel testo che egli ha i poteri di cui al can. 1717 § 3 CIC o 1468 § 3 CCEO.

41. Benché la Legge non lo preveda espressamente, è consigliabile che sia nominato un Notaio sacerdote (cf cann. 483 § 2 CIC e can. 253 § 2 CCEO, dove vengono indicati altri criteri per la scelta), che assiste chi svolge l’indagine previa, ai fini di garantire la fede pubblica degli atti da lui redatti (cf can. 1437 § 2 CIC e 1101 § 2 CCEO).

42. Si noti tuttavia che, non trattandosi di atti processuali, la presenza del Notaio non è necessaria ad validitatem dei medesimi.

43. In fase di indagine previa non è prevista la nomina di un Promotore di giustizia.

c/ Quali atti complementari si possono o si debbono compiere durante l’indagine previa?

44. I cann. 1717 § 2 CIC e 1468 § 2 CCEO, e gli artt. 4 § 2 e 5 § 2 VELM fanno riferimento alla tutela della buona fama delle persone coinvolte (accusato, presunte vittime, testimoni), così che la denuncia non possa generare pregiudizi, ritorsioni, discriminazioni. Chi svolge l’indagine previa deve dunque avere questa specifica attenzione, mettendo in atto ogni precauzione a tal fine, dato che quello alla buona fama è un diritto dei fedeli garantito dai cann. 220 CIC e 23 CCEO. Si noti tuttavia che questi canoni garantiscono dalle lesioni illegittime di tale diritto: qualora quindi sia in pericolo il bene comune, la diffusione di notizie circa l’esistenza di un’accusa non costituisce necessariamente una violazione della buona fama. Inoltre le persone coinvolte siano informate che qualora intervenisse un sequestro giudiziario o un ordine di consegna degli atti di indagine da parte delle autorità civili, non sarà più possibile per la Chiesa garantire la confidenzialità delle deposizioni e della documentazione acquisita in sede canonica.

45. Ad ogni modo, soprattutto quando si debbano diffondere pubblici comunicati in merito, bisogna adoperare ogni cautela nel dare informazioni sui fatti, per esempio usando una forma essenziale e stringata, evitando clamorosi annunci, astenendosi del tutto da ogni giudizio anticipato circa la colpevolezza o innocenza della persona segnalata (che sarà stabilita solo dal corrispondente, eventuale processo penale, mirante a verificare il fondamento dell’accusa), attenendosi all’eventuale volontà di rispetto della riservatezza manifestata dalle presunte vittime.

46. Poiché, come detto, in questa fase non si può ancora definire l’eventuale colpevolezza della persona segnalata, andrà evitato con ogni cura — nei pubblici comunicati o nelle comunicazioni private — qualsiasi affermazione a nome della Chiesa, dell’Istituto o Società, o a titolo personale, in quanto ciò potrebbe costituire un’anticipazione del giudizio sul merito dei fatti.

47. Si ricordi poi che le denunce, i processi e le decisioni relative ai delitti di cui all’art. 6 SST sono soggette al segreto di ufficio. Questo non toglie che il denunciante – soprattutto se intende rivolgersi anche alle autorità civili – possa rendere pubbliche le proprie azioni. Inoltre, poiché non tutte le forme di notitiae de delicto sono denunce, si può eventualmente valutare quando ritenersi obbligati al segreto, sempre tenuto presente il rispetto della buona fama di cui al n. 44.

48. Sempre a tale proposito, bisogna accennare alla sussistenza o meno, a carico dell’Ordinario o del Gerarca, dell’obbligo di dare comunicazione alle autorità civili della notitia de delicto ricevuta e dell’indagine previa aperta. I principi applicabili sono due: a/ si devono rispettare le leggi dello Stato (cf art. 19 VELM); b/ si deve rispettare la volontà della presunta vittima, sempre che essa non sia in contrasto con la legislazione civile e — come si dirà (n. 56) — incoraggiando l’esercizio dei suoi doveri e diritti di fronte alle autorità statali, avendo cura di conservare traccia documentale di tale suggerimento, evitando ogni forma dissuasiva nei confronti della presunta vittima. Si osservino sempre e comunque a tal proposito le eventuali convenzioni (concordati, accordi, intese) stipulate dalla Sede Apostolica con le nazioni.

49. Quando le leggi statali impongano all’Ordinario o al Gerarca l’informativa circa una notitia de delicto, si è tenuti ad essa anche se si prevede che, in base alle leggi dello Stato, non vi sarà l’apertura di una procedura (per esempio per intervenuta prescrizione o per differenti previsioni circa la tipologia delittuosa).

50. Qualora le Autorità giudiziarie civili emanino un ordine esecutivo e legittimo richiedendo la consegna di documenti riguardanti le cause, o dispongano il sequestro giudiziario degli stessi documenti, l’Ordinario o il Gerarca dovrà cooperare con le Autorità civili. Qualora vi siano dubbi sulla legittimità di tale richiesta o sequestro, l’Ordinario o il Gerarca potrà consultare esperti legali circa i rimedi disponibili nell’ordinamento locale. In ogni caso è opportuno informare immediatamente il Rappresentante Pontificio.

51 Qualora si renda necessario ascoltare un minore o persona ad esso equiparata, si adottino le norme civili del Paese e modalità adeguate alla età e allo stato, permettendo, ad esempio, che il minore sia accompagnato da un maggiorenne di sua fiducia ed evitando che abbia contatto diretto con l’accusato.

52. Nella fase dell’indagine previa, un compito di particolare delicatezza che spetta all’Ordinario o al Gerarca è di decidere se e quando informare di essa l’accusato.

53. Per questo compito, non esiste un criterio uniforme, né vi sono esplicite disposizioni di Legge. Bisogna valutare l’insieme dei beni che sono in gioco: oltre alla protezione della buona fama delle persone interessate, c’è anche da tenere in conto per esempio il rischio di inquinamento dell’indagine previa, lo scandalo dei fedeli, l’opportunità di raccogliere prima tutti gli elementi indiziali che potrebbero essere utili o necessari.

54. Qualora si decidesse di ascoltare la persona segnalata, trattandosi di una fase precedente al giudizio non è obbligatorio provvedere a nominarle un avvocato d’ufficio. Se essa lo ritiene opportuno potrà tuttavia avvalersi dell’assistenza di un patrono da lei scelto. Alla persona segnalata non può essere imposto il giuramento (cf ex analogia cann. 1728 § 2 CIC e 1471 § 2 CCEO).

55. Le autorità ecclesiastiche devono impegnarsi affinché la presunta vittima e la sua famiglia siano trattati con dignità e rispetto, e devono offrire loro accoglienza, ascolto e accompagnamento, anche tramite specifici servizi, nonché assistenza spirituale, medica e psicologica, a seconda del caso specifico (cf art. 5 VELM). Altrettanto può essere fatto nei confronti dell’accusato. Si eviti però di dare l’impressione di voler anticipare le risultanze processuali.

56. È assolutamente necessario che, in questa fase, si eviti ogni atto che possa essere interpretato dalle presunte vittime come un ostacolo all’esercizio dei loro diritti civili di fronte alle autorità statali.

57. Là dove esistano strutture statali o ecclesiastiche di informazione e appoggio alle presunte vittime, o di consulenza per le autorità ecclesiali, è bene fare riferimento anche ad esse. Queste strutture hanno uno scopo di puro consiglio, di orientamento e di assistenza, e le loro analisi non costituiscono in alcun modo decisioni processuali canoniche.

58. Ai fini della tutela della buona fama delle persone coinvolte e della tutela del bene pubblico, così come per evitare altri fatti (per esempio, il diffondersi dello scandalo, il rischio di occultamento delle future prove, l’attivazione di minacce o altre condotte volte a distogliere la presunta vittima dall’esercizio dei suoi diritti, la tutela di altre possibili vittime), secondo l’art. 19 SST l’Ordinario o il Gerarca hanno il diritto, fin dall’inizio dell’indagine previa, di imporre le misure cautelari elencate nei cann. 1722 CIC e 1473 CCEO[5].

59. Le misure cautelari elencate in questi canoni costituiscono un elenco tassativo, ossia si potrà scegliere unicamente una o più di esse.

60. Ciò non toglie che l’Ordinario o il Gerarca possa imporre altre misure disciplinari, secondo i suoi poteri, che però, a stretto rigore di termini, non potranno essere definite “misure cautelari”.

d/ Come si impongono le misure cautelari?

61. Sia detto anzitutto che una misura cautelare non è una pena (le pene si impongono solo al termine di un processo penale), ma un atto amministrativo i cui fini sono descritti dai citati cann. 1722 CIC e 1473 CCEO. L’aspetto non penale della misura deve essere ben chiarito all’interessato, per evitare che egli pensi di essere già stato giudicato o punito prima del tempo. Va inoltre sottolineato che le misure cautelari si devono revocare se viene meno la causa che le ha suggerite e cessano quando l’eventuale processo penale avrà termine. Inoltre, esse possono essere modificate (aggravandole o alleggerendole) se le circostanze lo richiedessero. Si raccomanda comunque particolare prudenza e discernimento nel giudicare il venir meno della causa che ha suggerito le misure; non si esclude, inoltre, che esse – una volta revocate – possano essere imposte di nuovo.

62. Si rileva frequentemente che è ancora in uso l’antica terminologia di sospensione a divinis per indicare il divieto di esercizio del ministero imposto come misura cautelare a un chierico. È bene evitare questa denominazione, come anche quella di sospensione ad cautelam, perché nella vigente legislazione la sospensione è una pena e in questa fase non può ancora essere imposta. Correttamente la disposizione sarà denominata, per esempio, divieto o proibizione di esercizio del ministero.

63. È da evitare la scelta di operare semplicemente un trasferimento d’ufficio, di circoscrizione, di casa religiosa del chierico coinvolto, ritenendo che il suo allontanamento dal luogo del presunto delitto o dalle presunte vittime costituisca soddisfacente soluzione del caso.

64. Le misure cautelari di cui al n. 58 si impongono mediante un precetto singolare legittimamente notificato (cf cann. 49 ss. e 1319 CIC e 1406 e 1510 ss. CCEO).

65. Si ricordi che, quando si decidesse di modificare o revocare le misure cautelari, bisognerà farlo con apposito decreto legittimamente notificato. Non sarà necessario farlo, invece, alla fine dell’eventuale processo, dato che in quel momento esse cessano in forza del diritto.

e/ Che cosa fare per concludere l’indagine previa?

66. Si raccomanda, ai fini dell’equità e dell’esercizio ragionevole della giustizia, che la durata dell’indagine previa sia adeguata alle finalità dell’indagine stessa, ossia il raggiungimento della fondata verisimiglianza della notitia de delicto e della corrispettiva esistenza del fumus delicti. Il protrarsi ingiustificato della durata dell’indagine previa può costituire una negligenza da parte dell’autorità ecclesiastica.

67. Se l’indagine è stata svolta da persona idonea nominata dall’Ordinario o dal Gerarca, essa gli consegni tutti gli atti dell’indagine insieme a una propria valutazione delle risultanze dell’indagine.

68. Secondo i cann. 1719 CIC e 1470 CCEO, l’Ordinario o il Gerarca deve decretare la chiusura dell’indagine previa.

69. Secondo l’art. 16 SST, una volta che l’indagine previa sia conclusa, e qualunque ne sia l’esito, l’Ordinario o il Gerarca ha il dovere di inviare copia autentica dei relativi atti alla CDF, nei tempi più rapidi. Alla copia degli atti e alla tabella riassuntiva di cui all’Allegato, egli unisca la propria valutazione delle risultanze dell’indagine (votum), offrendo anche eventuali suoi suggerimenti circa la maniera di procedere (per esempio, se ritiene opportuno attivare una procedura penale, e di quale tipo; se possa ritenersi sufficiente la pena imposta dalle autorità civili; se sia preferibile l’applicazione di misure amministrative da parte dell’Ordinario o del Gerarca; se si debba invocare la prescrizione del delitto o concederne la deroga).

70. Nel caso in cui l’Ordinario o il Gerarca che ha svolto l’indagine previa sia un Superiore maggiore, è bene che trasmetta copia del fascicolo dell’indagine anche al Moderatore supremo (o al Vescovo di riferimento, nel caso di Istituti o Società di diritto diocesano), in quanto sono le figure con cui ordinariamente la CDF interloquirà nel seguito. A sua volta, il Moderatore supremo invierà alla CDF il proprio votum, come al n. 69.

71 Qualora l’Ordinario che ha svolto l’indagine previa non sia l’Ordinario del luogo dove è stato commesso il presunto delitto, il primo comunichi al secondo le risultanze dell’indagine.

72. Gli atti vengano inviati in un unico esemplare; è utile che essi siano autenticati da un Notaio, che sarà uno della Curia, se non ne è stato nominato uno apposito per l’indagine previa.

73. I cann. 1719 CIC e 1470 CCEO dispongono che l’originale di tutti gli atti venga conservato nell’archivio segreto della Curia.

74. Sempre secondo l’art. 16 SST, una volta inviati gli atti dell’indagine previa alla CDF, l’Ordinario o il Gerarca dovranno attendere comunicazioni o istruzioni in proposito da parte della CDF.

75. Chiaramente, qualora nel frattempo emergessero altri elementi relativi all’indagine previa o a nuove accuse, essi vengano trasmessi il più presto possibile alla CDF, a integrazione di quanto già in suo possesso. Se poi sembrasse utile riaprire l’indagine previa a motivo di tali elementi, se ne dia immediata comunicazione alla CDF.

IV. Che cosa può fare la CDF a questo punto?

76. Ricevuti gli atti dell’indagine previa, ordinariamente la CDF ne dà immediato riscontro all’Ordinario, al Gerarca, al Moderatore supremo (nel caso dei religiosi, anche alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; se poi il chierico è di una Chiesa orientale, alla Congregazione per le Chiese orientali; infine, alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli se il chierico appartiene a un territorio soggetto a quel Dicastero), comunicando – se già non lo si era fatto in precedenza – il numero di Protocollo corrispondente al caso. A questo numero bisognerà fare riferimento per ogni successiva comunicazione con la CDF.

77. In un secondo tempo, dopo aver studiato attentamente gli atti, alla CDF si aprono varie possibilità di azione: archiviare il caso; chiedere un approfondimento dell’indagine previa; imporre misure disciplinari non penali, ordinariamente mediante un precetto penale; imporre rimedi penali o penitenze, oppure ammonizioni o riprensioni; aprire un processo penale; individuare altre vie di sollecitudine pastorale. La decisione presa viene comunicata all’Ordinario, con le adeguate istruzioni per portarla ad effetto.

a/ Che cosa sono le misure disciplinari non penali?

78. Le misure disciplinari non penali sono atti amministrativi singolari (ossia, atti dell’Ordinario o del Gerarca, oppure anche della CDF) con cui all’accusato viene imposto di fare o di non fare qualcosa. In questi casi, ordinariamente si impongono limitazioni nell’esercizio del ministero, più o meno estese in considerazione del caso, come anche talvolta l’obbligo di risiedere in un determinato luogo. Si sottolinea che non si tratta di pene, ma di atti di governo destinati a garantire e proteggere il bene comune e la disciplina ecclesiale, e ad evitare lo scandalo dei fedeli.

b/ Che cosa è un precetto penale?

79. La forma ordinaria con cui si impongono queste misure è il precetto penale ai sensi del can. 1319 § 1 CIC e 1406 § 1 CCEO. Il can. 1406 § 2 CCEO equipara ad esso l’ammonizione con minaccia di pena.

80. Le formalità richieste per un precetto sono quelle già ricordate (cann. 49 ss. CIC e 1510 ss. CCEO). Tuttavia, perché si tratti di un precetto penale, nel testo deve essere chiaramente indicata la pena comminata nel caso in cui il destinatario del precetto trasgredisca le misure che gli sono state imposte.

81. Si ricordi che, secondo il can. 1319 § 1 CIC, in un precetto penale non si possono comminare pene espiatorie perpetue; inoltre, la pena deve essere chiaramente determinata. Altre esclusioni di pene sono previste dal can. 1406 § 1 CCEO per i fedeli di rito orientale.

82. Tale atto amministrativo ammette ricorso nei termini di Legge.

c/ Che cosa sono i rimedi penali, le penitenze e le riprensioni pubbliche?

83. Per la definizione dei rimedi penali, delle penitenze e delle riprensioni pubbliche, si rimanda rispettivamente ai cann. 1339 e 1340 § 1 CIC, e 1427 CCEO[6].

V. Quali sono le decisioni possibili in una procedura penale?

84. Le decisioni al termine del processo penale, sia esso giudiziale o extragiudiziale potranno avere un esito di tre tipi:

– condannatorio (“constat”), se con certezza morale consti la colpevolezza dell’accusato in ordine al delitto ascrittogli. In tal caso si dovrà indicare specificatamente il tipo di sanzione canonica inflitta o dichiarata;

– assolutorio (“constat de non”), se con certezza morale consti la non colpevolezza dell’imputato, in quanto il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non è previsto dalla legge come delitto o è stato commesso da persona non imputabile;

 dimissorio (“non constat”), qualora non sia stato possibile raggiungere la certezza morale in ordine alla colpevolezza dell’imputato, in quanto manca o è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato ha commesso il fatto o che il delitto è stato commesso da persona imputabile.

Vi è la possibilità di provvedere al bene pubblico o al bene dell’accusato con opportune ammonizioni, rimedi penali e altre vie dettate dalla sollecitudine pastorale (cf can. 1348 CIC).

La decisione (per sentenza o per decreto) dovrà indicare a quale di questi tre generi fa riferimento, perché sia chiaro se “consta”, o “consta che non”, o “non consta”.

VI. Quali sono le procedure penali possibili?

85. Secondo la Legge, le procedure penali possibili sono tre: il processo penale giudiziale; il processo penale extragiudiziale; la procedura introdotta dall’art. 21 § 2, 2° SST.

86. La procedura prevista nell’art. 21 § 2, 2° SST[7] è riservata ai casi gravissimi, si conclude con una decisione diretta del Sommo Pontefice e prevede comunque che, anche se il compimento del delitto è manifesto, all’accusato sia garantito l’esercizio del diritto di difesa.

87. Per quanto riguarda il processo penale giudiziale, si rimanda alle apposite disposizioni di Legge, sia dei rispettivi Codici, sia degli artt. 8-15, 18-19, 21 § 1, 22-31 SST.

88. Il processo penale giudiziale non richiede la doppia sentenza conforme, pertanto la decisione assunta dalla eventuale seconda istanza tramite sentenza determina la res iudicata (cf anche art. 28 SST). Contro una sentenza che sia passata in giudicato è possibile solo la restitutio in integrum, purché si producano elementi che rendano palese la sua ingiustizia (cf cann. 1645 CIC, 1326 CCEO) o la querela di nullità (cf cann. 1619 ss. CIC, 1302 ss. CCEO). Il Tribunale costituito per questo tipo di processo è sempre collegiale, ed è formato da un minimo di tre giudici. Gode del diritto di appello alla sentenza di primo grado non solo la parte accusata che si ritiene ingiustamente gravata dalla sentenza, ma anche il Promotore di Giustizia della CDF (cf art. 26 § 2 SST).

89. Secondo gli artt. 16 e 17 SST, il processo penale giudiziale si può svolgere in CDF o essere affidato a un Tribunale inferiore. Circa la decisione in proposito, viene inviata apposita lettera esecutiva a quanti sono interessati.

90. Anche durante lo svolgimento di un processo penale, giudiziale o extragiudiziale, si possono imporre all’accusato le misure cautelari di cui ai nn. 58-65.

a/ Che cos’è il processo penale extragiudiziale?

91. Il processo penale extragiudiziale, talora chiamato “processo amministrativo”, è una forma di processo penale che riduce le formalità previste nel processo giudiziale, al fine di accelerare il corso della giustizia, senza per questo eliminare le garanzie processuali che sono previste dal giusto processo (cf can. 221 CIC e 24 CCEO).

92. Per i delitti riservati alla CDF, l’art. 21 § 2, 1° SST, derogando ai cann. 1720 CIC e 1486 CCEO, dispone che sia solo la CDF, in singoli casi, ex officio o su richiesta dell’Ordinario o del Gerarca, a decidere se procedere per questa via.

93. Come il processo giudiziale, anche il processo penale extragiudiziale si può svolgere in CDF o essere affidato a un’istanza inferiore, ossia all’Ordinario o al Gerarca dell’accusato, oppure a terzi incaricati a ciò dalla CDF, su eventuale richiesta dell’Ordinario o del Gerarca. Circa la decisione in proposito, viene inviata apposita lettera esecutiva a quanti sono interessati.

94. Il processo penale extragiudiziale si svolge con formalità leggermente differenti secondo i due Codici. Se vi fossero ambiguità circa il Codice a cui fare riferimento (per esempio nel caso di chierici di rito latino che operano in Chiese orientali, o chierici di rito orientale attivi in circoscrizioni latine), bisognerà chiarire con la CDF quale Codice seguire e, in seguito, attenersi scrupolosamente a tale decisione.

b/ Come si svolge un processo penale extragiudiziale secondo il CIC?

95. Quando un Ordinario riceve dalla CDF l’incarico di svolgere un processo penale extragiudiziale, deve anzitutto decidere se presiedere personalmente il processo o nominare un proprio Delegato. Deve inoltre nominare due Assessori, che assisteranno lui o il suo Delegato nella fase di valutazione. Per la loro scelta, può essere opportuno attenersi ai criteri elencati nei cann. 1424 e 1448 § 1 CIC. È necessario nominare anche un Notaio, secondo i criteri richiamati al n. 41. Non è prevista la nomina del Promotore di giustizia.

96. Le suddette nomine avvengano tramite apposito decreto. Agli officiali sia richiesto il giuramento di compiere fedelmente l’incarico ricevuto, osservando il segreto. L’avvenuto giuramento deve constare agli atti.

97. Successivamente, l’Ordinario (o il suo Delegato) deve avviare il processo, con un decreto di convocazione dell’accusato. Tale decreto deve contenere: l’indicazione chiara della persona convocata, del luogo e del momento in cui dovrà comparire, dello scopo per cui viene convocato, cioè prendere atto dell’accusa (che il testo del decreto richiamerà per sommi capi) e delle corrispondenti prove (che non è necessario elencare già nel decreto), ed esercitare il suo diritto alla difesa.

98. Benché non esplicitamente previsto dalla Legge per il caso di un processo extragiudiziale, tuttavia, trattandosi di materia penale, è quanto mai opportuno che l’accusato, secondo il disposto dei cann. 1723 e 1481 §§ 1-2 CIC, abbia un procuratore e/o avvocato che lo assiste, da lui scelto o – se egli non lo fa – nominato d’ufficio. Il nominativo dell’avvocato deve essere fornito all’Ordinario (o al suo Delegato) prima della sessione di notifica delle accuse e delle prove, con apposito mandato procuratorio autentico secondo il can. 1484 § 1 CIC, per le necessarie verifiche sui requisiti richiesti dal can. 1483 CIC[8].

99. Se l’accusato rifiuta o trascura di comparire, l’Ordinario (o il suo Delegato) valuti se effettuare una seconda convocazione.

100. L’accusato che rifiuta o trascura di comparire in prima o in seconda convocazione venga avvertito che il processo andrà avanti nonostante la sua assenza. Questa notizia può essere data già al momento della prima convocazione. Se l’accusato ha trascurato o rifiutato di comparire, la cosa venga verbalizzata e si proceda ad ulteriora.

101. Giunti il giorno e l’ora della sessione di notifica delle accuse e delle prove, all’accusato e all’eventuale avvocato che lo accompagna viene esibito il fascicolo degli atti dell’indagine previa. Si renda noto l’obbligo di rispettare il segreto di ufficio.

102. Si presti particolare attenzione al fatto che, se il caso coinvolge il sacramento della Penitenza, venga rispettato l’art. 24 SST, che prevede che all’accusato non venga riferito il nome della presunta vittima, a meno che essa non abbia espressamente acconsentito a rivelarlo.

103. Non è obbligatorio che alla sessione di notifica prendano parte gli Assessori.

104. La notifica di accusa e prove avviene allo scopo di dare all’accusato la possibilità di difendersi (cf can. 1720, 1° CIC).

105. Con “accusa” si intende il delitto che la presunta vittima o altra persona sostiene essere accaduto, secondo quanto risultato durante l’indagine previa. Presentare l’accusa significa dunque rendere noto all’accusato il delitto che gli si attribuisce, secondo quanto lo configura (per esempio, luogo di accadimento, numero ed eventualmente nominativo delle presunte vittime, circostanze).

106. Con “prove” si intende l’insieme di tutto il materiale raccolto durante l’indagine previa e altro materiale eventualmente acquisito: anzitutto la verbalizzazione delle accuse rilasciate dalle presunte vittime; poi i documenti pertinenti (per esempio cartelle cliniche, scambi epistolari anche per via elettronica, fotografie, prove d’acquisto, estratti conto bancari); i verbali delle dichiarazioni di eventuali testimoni; e, infine, eventuali perizie (mediche — tra cui quelle psichiatriche —, psicologiche, grafologiche) che chi ha condotto l’indagine abbia ritenuto di accogliere o far eseguire. Si osservino le regole di riservatezza eventualmente imposte dalla legge civile.

107. L’insieme di quanto sopra viene chiamato “prove” perché, pur essendo stato raccolto in fase antecedente il processo, nel momento in cui viene aperto il processo extragiudiziale diventa automaticamente un insieme di prove.

108. In qualunque fase del processo, è lecito che l’Ordinario o il suo Delegato dispongano la raccolta di ulteriori prove, se sembra loro opportuno in base alle risultanze dell’indagine previa. Ciò può accadere anche in base alle istanze dell’accusato in fase di difesa. I risultati andranno ovviamente presentati all’accusato durante lo svolgimento di essa. Gli venga presentato quanto raccolto a seguito delle istanze difensive, indicendo una nuova sessione di contestazione di accuse e prove, qualora si siano riscontrati nuovi elementi di accusa o di prova; altrimenti, questo materiale si può considerare semplicemente come elemento integrante della difesa.

109. La difesa può avvenire secondo due modalità: a/ raccogliendola seduta stante con apposito verbale sottoscritto da tutti i presenti (ma, in particolare, da: Ordinario o suo Delegato; accusato ed eventuale avvocato; Notaio); b/ fissando un ragionevole termine entro il quale detta difesa venga presentata all’Ordinario o al suo Delegato, in forma scritta.

110. Si ricordi attentamente che, secondo il can. 1728 § 2 CIC, l’accusato non è tenuto a confessare il delitto, né può essergli imposto il giuramento de veritate dicenda.

111. La difesa dell’accusato può chiaramente servirsi di tutti i mezzi leciti, come per esempio la richiesta di udire testimoni di parte, o esibire documenti e perizie.

112. Per quanto riguarda l’ammissione di queste prove (e, in particolare, la raccolta di dichiarazioni di eventuali testimoni), valgono i criteri discrezionali permessi al giudice dalla Legge generale sul giudizio contenzioso[9].

113. Qualora il caso concreto lo richieda, l’Ordinario o il suo Delegato valuti la credibilità circa gli intervenuti nel processo[10]. Però, secondo l’art. 24 § 2 SST, è obbligato a farlo a proposito del denunciante qualora sia coinvolto il sacramento della Penitenza.

114. Trattandosi di processo penale, non è previsto l’obbligo di un intervento del denunciante in fase processuale. Di fatto, egli ha esercitato il suo diritto contribuendo alla formazione dell’accusa e alla raccolta delle prove. Da quel momento, l’accusa viene portata avanti dall’Ordinario o dal suo Delegato.

c/ Come si conclude un processo penale extragiudiziale secondo il CIC?

115. Egli invita i due Assessori a fornire entro un certo ragionevole termine la loro valutazione delle prove e degli argomenti di difesa, di cui al can. 1720, 2° CIC. Nel decreto può anche invitarli a una sessione comune, in cui svolgere tale valutazione. Il fine di tale sessione è evidentemente di facilitare l’analisi, la discussione e il confronto. Per tale sessione, facoltativa ma raccomandabile, non sono previste particolari formalità giuridiche.

116. Si fornisca previamente agli Assessori tutto il fascicolo processuale, concedendo loro un tempo congruo per lo studio e la valutazione personale. È bene ricordare loro l’obbligo di osservare il segreto di ufficio.

117. Benché non sia previsto dalla Legge, è bene che il parere degli Assessori venga redatto in forma scritta, per facilitare la stesura del successivo decreto conclusivo da parte di chi di dovere.

118. Allo stesso fine, se la valutazione delle prove e degli argomenti di difesa avviene durante una sessione comune, è consigliabile prendere una serie di appunti sugli interventi e sulla discussione, anche in forma di verbale sottoscritto dagli intervenuti. Questi scritti ricadono sotto segreto di ufficio e non devono essere diffusi.

119. Qualora consti del delitto con certezza, l’Ordinario o il suo Delegato (cf can. 1720, 3° CIC) dovrà emanare un decreto con cui chiudere il processo, imponendo la pena, il rimedio penale o la penitenza che egli riterrà più adeguata alla riparazione dello scandalo, al ristabilimento della giustizia e all’emendamento del reo.

120. L’Ordinario ricordi sempre che, se intende imporre una pena espiatoria perpetua, secondo l’art. 21 § 2, 1° SST dovrà avere il mandato previo della CDF. Viene in tal modo derogato, limitatamente a questi casi, il divieto di infliggere pene perpetue per decreto, di cui al can. 1342 § 2 CIC.

121. L’elenco delle pene perpetue è unicamente quello previsto dal can. 1336 § 1 CIC[11], con le avvertenze di cui ai cann. 1337 e 1338 CIC[12].

122. Poiché si tratta di un processo extragiudiziale, si abbia cura di ricordare che il decreto penale non è una sentenza, che si emette solo alla fine di un processo giudiziale, anche se – come una sentenza – esso impone una pena.

123. Il decreto in questione è un atto personale dell’Ordinario o del suo Delegato, pertanto non deve essere firmato dagli Assessori, ma solo autenticato dal Notaio.

124. Oltre alle formalità generali previste per ogni decreto (cf cann. 48-56 CIC), il decreto penale dovrà citare per sommi capi i principali elementi dell’accusa e dello svolgimento del processo, ma soprattutto esporre almeno brevemente le ragioni su cui si fonda la decisione, in diritto (elencando cioè i canoni su cui la decisione si fonda – per esempio, quelli che definiscono il delitto, quelli che definiscono eventuali attenuanti, esimenti o aggravanti – e, almeno in modo essenziale, la logica giuridica che ha portato a decidere di applicarli) e in fatto.

125. La motivazione in fatto è chiaramente la più delicata, perché l’autore del decreto deve esporre le ragioni in base alle quali, confrontando il materiale dell’accusa e quanto affermato nella difesa, di cui dovrà rendere conto sinteticamente nell’esposizione, è giunto a ritenersi certo del compimento o del non compimento del delitto, o della non sufficiente certezza morale.

126. Ben comprendendo che non tutti possiedono articolate conoscenze del diritto canonico e del suo linguaggio formale, per un decreto penale si richiede che venga principalmente messo in evidenza il ragionamento svolto, più che curare nel dettaglio la precisione terminologica. Eventualmente si ricorra all’aiuto di persone competenti.

127. La notifica del decreto nella sua integrità (quindi, non solo della parte dispositiva) avverrà tramite i mezzi legittimi previsti (cf cann. 54-56 CIC[13]) e deve constare in debita forma.

128. In qualunque caso, comunque, si deve inviare alla CDF copia autenticata degli atti processuali (se già non erano stati trasmessi) e del decreto notificato.

129. Se la CDF decide di avocare a sé il processo penale extragiudiziale, tutti gli adempimenti previsti a partire dal n. 91 saranno chiaramente a proprio carico, fatto salvo il diritto di chiedere la collaborazione delle istanze inferiori, se necessario.

d/ Come si svolge un processo penale extragiudiziale secondo il CCEO?

130. Come si è detto nel n. 94, il processo penale extragiudiziale secondo il CCEO si svolge con alcune peculiarità proprie di quel diritto. Ai fini di una maggiore scorrevolezza espositiva, per evitare ripetizioni, si indicheranno solo tali peculiarità: pertanto, alla prassi fin qui descritta e in comune con il CIC, bisognerà fare gli adattamenti che seguono.

131. Anzitutto va ricordato che il dettato del can. 1486 CCEO va scrupolosamente seguito, pena la mancanza di validità del decreto penale.

132. Nel processo penale extragiudiziale secondo il CCEO non c’è la presenza degli Assessori, ma è invece obbligatoria quella del Promotore di giustizia.

133. La sessione di notifica dell’accusa e delle prove si deve svolgere con la presenza obbligatoria del Promotore di giustizia e del Notaio.

134. Secondo il can. 1486 § 1, 2° CCEO, la sessione di notifica e conseguentemente la raccolta della difesa va svolta unicamente in discussione orale. Ciò non esclude tuttavia che, per tale discussione, la difesa possa essere consegnata in forma scritta.

135. Si invita a ponderare con particolare attenzione, in base alla gravità del delitto, se le pene di cui al can. 1426 § 1 CCEO siano veramente adeguate per raggiungere quanto previsto dal can. 1401 CCEO. Nella decisione circa la pena da imporre si osservino i cann. 1429[14] e 1430[15] CCEO.

136. Il Gerarca o il suo Delegato ricordi sempre che, secondo l’art. 21 § 2, 1° SST, sono abrogati i divieti di cui al can. 1402 § 2 CCEO. Pertanto, egli potrà imporre per decreto una pena espiatoria perpetua, avuto tuttavia il mandato previo della CDF richiesto dal medesimo art. 21 § 2, 1° SST.

137. Per stendere il decreto penale valgono i medesimi criteri indicati ai nn. 119-126.

138. La notifica, poi, avverrà nei termini del can. 1520 CCEO e deve constare in debita forma.

139. Per tutto quanto non si è detto nei numeri precedenti, si faccia riferimento a quanto scritto per il processo extragiudiziale secondo il CIC, anche nell’eventuale svolgimento del processo in CDF.

e/ Il decreto penale ricade sotto il segreto pontificio?

140. Come già richiamato (cf n. 47), gli atti processuali e la decisione si trovano sotto il segreto di ufficio. Bisogna costantemente richiamare a questo tutti gli intervenuti nel processo, a qualunque titolo.

141. Il decreto va notificato integralmente all’accusato. La notifica va fatta al suo procuratore, se egli se ne è avvalso.

VII. Che cosa può succedere quando finisce una procedura penale?

142. Secondo il tipo di procedura attivata, vi sono differenti possibilità che spettano a chi è intervenuto come parte nella procedura stessa.

143. Se vi è stata la procedura secondo l’art. 21 § 2, 2° SST, trattandosi di un atto del Romano Pontefice esso è inappellabile (cf cann. 333 § 3 CIC e 45 § 3 CCEO).

144. Se vi è stato un processo penale giudiziale, si aprono le possibilità di impugnazione previste dalla Legge, ossia la querela di nullità, la restitutio in integrum e l’appello.

145. Secondo l’art. 20, 1° SST, l’unico Tribunale di seconda istanza che si può adire è quello della CDF.

146. Per presentare appello, si segue il disposto di Legge, notando accuratamente che l’art. 28, 2° SST modifica i termini di presentazione dell’appello, imponendo il termine perentorio di un mese, da contarsi secondo quanto disposto dai cann. 202 § 1 CIC e 1545 § 1 CCEO.

147. Se vi è stato un processo penale extragiudiziale, è data la possibilità di presentare ricorso contro il decreto che lo conclude secondo i termini previsti dalla Legge, ossia dai cann. 1734 ss. CIC e 1487 CCEO (cf punto VIII).

148. Appelli e ricorsi, secondo i cann. 1353 CIC, e 1319 e 1487 § 2 CCEO, hanno effetto sospensivo della pena.

149. Poiché la pena è sospesa e si è ritornati in una fase analoga a quella preprocessuale, restano in vigore le misure cautelari con le stesse avvertenze e modalità di cui ai nn. 58-65.

VIII. Che cosa fare in caso di ricorso contro un decreto penale?

150. La Legge prevede modalità differenti, secondo i Codici.

a/ Che cosa prevede il CIC in caso di ricorso contro un decreto penale?

151. Chi intende presentare un ricorso contro un decreto penale, secondo il can. 1734 CIC deve chiederne prima la riforma all’autore (Ordinario o suo Delegato) entro il termine perentorio di dieci giorni utili dalla legittima notifica.

152. L’autore, secondo il can. 1735 CIC, entro trenta giorni da quando ha ricevuto la domanda può rispondere correggendo il proprio decreto (ma, prima di procedere in tal caso, è bene consultarsi immediatamente con la CDF), o respingendo la domanda. Ha anche facoltà di non rispondere in alcun modo.

153. Contro il decreto corretto, il respingimento della domanda o il silenzio dell’autore, il ricorrente può rivolgersi alla CDF direttamente o tramite l’autore del decreto (cf can. 1737 § 1 CIC) o tramite procuratore, nei termini perentori di 15 giorni utili previsti dal can. 1737 § 2 CIC[16].

154. Se il ricorso gerarchico è stato presentato all’autore del decreto, questi lo deve immediatamente trasmettere alla CDF (cf can. 1737 § 1 CIC). Dopo di che (come pure se il ricorso è stato presentato direttamente in CDF), l’autore del decreto deve unicamente attendere eventuali istruzioni o richieste della CDF, che comunque lo informerà circa l’esito dell’esame del ricorso.

b/ Che cosa prevede il CCEO in caso di ricorso contro un decreto penale?

155. Il CCEO prevede una procedura più semplice rispetto al CIC. Infatti, il can. 1487 § 1 CCEO prevede unicamente che il ricorso venga inviato alla CDF entro dieci giorni utili dalla notifica.

156. L’autore del decreto, in tal caso, non deve fare nulla, se non attendere eventuali istruzioni o richieste della CDF, che comunque lo informerà circa l’esito dell’esame del ricorso. Tuttavia, se si tratta dell’Ordinario, dovrà prendere atto degli effetti sospensivi del ricorso, di cui al n. 148.

IX. C’è qualcosa che bisogna tenere sempre presente?

157. Fin da quando si ha la notitia de delicto, l’accusato ha diritto di presentare domanda di essere dispensato da tutti gli oneri connessi con il suo stato di chierico, compreso il celibato, e, contestualmente, dagli eventuali voti religiosi. L’Ordinario o il Gerarca deve chiaramente informarlo di questo suo diritto. Qualora il chierico decidesse di avvalersi di questa possibilità, dovrà scrivere apposita domanda, rivolta al Santo Padre, presentandosi e indicando in breve le motivazioni per cui la chiede. La domanda deve essere chiaramente datata e firmata dall’Oratore. Essa andrà consegnata alla CDF, accompagnata dal votum dell’Ordinario o Gerarca. La CDF, a sua volta, provvederà all’inoltro e – se il Santo Padre accetterà l’istanza – trasmetterà all’Ordinario o Gerarca il rescritto di dispensa, chiedendogli di provvedere alla legittima notifica all’Oratore.

158. Per tutti gli atti amministrativi singolari emanati o approvati dalla CDF è data facoltà di ricorso ex art. 27 SST[17]. Il ricorso, ai fini della sua ammissibilità, deve determinare con chiarezza il petitum e contenere le motivazioni in iure in facto sulle quali si basa. Il ricorrente deve sempre avvalersi di un avvocato, munito di apposito mandato.

159. Se una Conferenza episcopale ha già provveduto a scrivere le proprie linee guida in merito al trattamento dei casi di abuso sessuale di minori, rispondendo all’invito fatto dalla CDF nel 2011, questo testo dovrà essere tenuto presente.

160. Capita talvolta che la notitia de delicto riguardi un chierico già deceduto. In tal caso, non può essere attivato alcun tipo di procedura penale.

161. Se un chierico segnalato muore durante l’indagine previa, non sarà possibile aprire una successiva procedura penale. Si raccomanda comunque all’Ordinario o al Gerarca di darne ugualmente informazione alla CDF.

162. Se un chierico accusato muore durante il processo penale, il fatto venga comunicato alla CDF.

163. Se, in fase di indagine previa, un chierico accusato ha perso tale stato canonico in seguito a concessione di dispensa o a pena imposta in altra procedura, l’Ordinario o il Gerarca valuti se sia opportuno condurre a termine l’indagine previa, a fini di carità pastorale e per esigenze di giustizia nei confronti delle presunte vittime. Se ciò poi avviene a processo penale già avviato, essa potrà comunque essere condotta a termine, se non altro ai fini di definire la responsabilità nell’eventuale delitto e di imporre eventuali pene. Va infatti ricordato che, nella definizione di delictum gravius, conta che l’accusato fosse chierico al tempo dell’eventuale delitto, non al tempo della procedura.

164. Fatto salvo quanto previsto dall’Istruzione sulla riservatezza delle cause del 6 dicembre 2019, l’autorità ecclesiastica competente (Ordinario o Gerarca) informi nei dovuti modi la presunta vittima e l’accusato, qualora ne facciano richiesta, circa le singole fasi del procedimento, avendo cura di non rivelare notizie coperte da segreto pontificio o segreto di ufficio la cui divulgazione potrebbe portare detrimento a terzi.

* * *

Questo Vademecum non pretende di sostituirsi alla formazione degli operatori del diritto canonico, in particolare per quanto riguarda la materia penale e processuale. Soltanto una conoscenza approfondita della Legge e dei suoi intendimenti potrà rendere il debito servizio alla verità e alla giustizia, da ricercarsi con peculiare attenzione in materia di delicta graviora in ragione delle profonde ferite che infliggono alla comunione ecclesiale.




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