Sant’Antonio la sua festa non è esentata dall’emergenza dovuta al coronavirus.
Così, dopo secoli, la statua processionale di s. Antonio il 13 giugno non attraverserà le vie della città di Padova. Sarà invece la benedizione dall’alto di un elicottero, messo a disposizione dall’esercito, a farci sentire la presenza del Santo. Un modo non solo alternativo rispetto alla tradizionale processione, ma pure funzionale a far giungere l’intercessione del Santo a Schiavonia, sede del Covid Hospital e in particolare nei luoghi dove l’epidemia si è fatta sentire con tutta la sua virulenza come Merlara e Vo’.
In occasione di questo anniversario papa Francesco ha scritto una lettera – pubblicata nel numero di giugno del Messaggero di s. Antonio – al Ministro Generale del nostro Ordine dei Frati Minori Conventuali. Di quanto scrive il Papa nel suo messaggio augurale mi colpiscono due parole, su cui mi soffermo. Sono riferite in particolare ai giovani. Antonio all’epoca della vestizione del saio francescano aveva 25 anni e morirà, come sappiamo, a soli 36 anni nel 1231.
Sant’Antonio è nato in Portogallo, a Lisbona, nel 1195. Una tradizione molto tardiva indica la data del 15 agosto. Figlio di genitori nobili, sappiamo che venne battezzato con il nome di Fernando.
Trascorre i primi anni di formazione sotto la guida dei canonici del Duomo. Saranno anni preziosi per la sua formazione e discernimento.
A circa 15 anni entra nel convento agostiniano S. Vincenzo, fuori le mura di Lisbona, per aderire al progetto di consacrazione a Dio che aveva maturato.
Vive qui per circa due anni. Poi, probabilmente per evitare le distrazioni causate da amici e parenti della città, col permesso dei religiosi si sposta a Coimbra, a quel tempo capitale del Portogallo, dove sorge un’altra abbazia di canonici agostiniani.
Rimarrà a Coimbra 8 anni, approfondendo la sua formazione religiosa e dedicandosi allo studio delle scienze umane, bibliche e teologiche: i frutti di questo studio lo renderanno uno degli ecclesiastici più colti dell’Europa degli inizi del Duecento.
A soli venticinque anni viene ordinato sacerdote.
E’ nel 1220 che Fernando viene a contatto con i frati minori, religiosi animati da Francesco d’Assisi nella lontana Italia. Infatti le reliquie di cinque missionari francescani torturati e uccisi in Marocco vengono portate a Coimbra, nella chiesa di Santa Croce, proprio dove si trovava Fernando. E’ di questo periodo il probabile contatto più approfondito con i primi francescani giunti in Portogallo.
L’incontro si rivelerà fondamentale nel percorso di fede del giovane religioso: con grande sorpresa di tutti, nel settembre 1220 decide di lasciare i Canonici agostiniani per entrare a far parte dei seguaci di Francesco d’Assisi. Per l’occasione, abbandona il vecchio nome di battesimo per assumere quello di Antonio.
Antonio matura una forte vocazione alla missione e, in particolare, al martirio: e con questo ideale parte alla volta del Marocco.
Giunto in Marocco però Antonio contrae una grave e non ben precisata malattia: è costretto al riposo forzato e non può predicare. Dopo qualche tempo – non guarendo – non gli resta che arrendersi alla volontà di Dio e rimpatriare. Ma la nave su cui si era imbarcato per il ritorno viene spinta da venti contrari fino alla Sicilia, con un rovinoso naufragio.
Da qui, dopo una convalescenza di un paio di mesi, si reca ad Assisi: è l’occasione propizia per incontrare Francesco d’Assisi che nella Pentecoste del 1221 aveva convocato tutti i frati. Sarà un incontro semplice ma capace di confermare la scelta di Antonio nella sequela di Cristo per mezzo della fraternità e minorità francescane.
Antonio è invitato a recarsi in Romagna, all’eremo di Montepaolo, vicino a Forlì, per dedicarsi alla preghiera, alla mediazione e all’umile servizio ai confratelli.
Nel settembre 1222 si celebrano a Forlì le ordinazioni sacerdotali. Secondo la leggenda viene meno il predicatore invitato per l’occasione: Antonio – religioso e sacerdote – viene invitato a sostituirlo: è la rivelazione del suo talento come predicatore. Nonostante sia straniero, dalle sue parole emergono la sua profonda cultura biblica la semplicità d’espressione.
Da quel giorno Antonio viene inviato sulle strade del nord Italia e del sud della Francia per animare con la sua predicazione del Vangelo genti e paesi spesso confusi dai dilaganti movimenti ereticali del tempo. Avrà anche parole di correzione per la decadenza morale di alcuni esponenti della Chiesa.
Sul finire del 1223 ad Antonio viene proposto anche di insegnare teologia a Bologna, compito che svolge per due anni, all’età di 28-30 anni. Sant’Antonio è dunque tra i primi religiosi dediti all’insegnamento della teologia nella fraternità minoritica, ricevendo per questo l’approvazione di san Francesco in persona attraverso una lettera a noi giunta.
Sappiamo che nel 1226 Antonio è a Limoges, in Francia; non abbiamo notizie chiare sul tempo del ritorno in Italia. Le agiografie indicano però la sua presenza ad Assisi nel Capitolo generale dei Frati minori, tenuto in Assisi per la Pentecoste il 30 maggio 1227.
Antonio, per i talenti che dimostra di saper mettere a servizio del Regno di Dio, riceve anche l’incarico di Ministro provinciale (ossia guida delle fraternità francescane) del nord Italia, con molta probabilità nel triennio 1227-1230. L’incarico comporta la visita di numerosi conventi dell’Italia settentrionale. Antonio dimostrerà poi di prediligere la città di Padova e la piccola comunità francescana presso la semplice chiesa di Santa Maria Mater Domini.
In questa città Antonio farà un paio di soggiorni ravvicinati relativamente brevi: il primo, fra il 1229 e il 1230; il secondo, fra il 1230 e il 1231, durante il quale muore precocemente. Nonostante il periodo sia così relativamente breve, con questa città Antonio instaura un fortissimo legame.
L’Assidua, prima biografia di sant’Antonio, afferma che scrisse i suoi Sermones per le domeniche durante un suo soggiorno a Padova. Nonostante la notizia non sia del tutto fondata, è certo che questo voluminoso testo (rivolto in modo particolare ai confratelli per formarli alla predicazione) esprime bene la grande scienza teologica del religioso che – dopo la canonizzazione – riceverà anche il titolo di Dottore della Chiesa.
L’impegno profuso da parte di Antonio nella predicazione e nel sacramento della riconciliazione durante la Quaresima del 1231 può essere considerato il suo grande testamento spirituale.
Tutto questo unito a una grande attenzione ai poveri e ai mali della città: grazie ai suoi interventi e insegnamenti sappiamo che in uno statuto cittadino relativo ai debitori insolventi, datato 17 marzo 1231, il podestà di Padova Stefano Badoer stabilisce che il debitore insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non deve più essere imprigionato.
Le fatiche della quaresima logorano un fisico già provato. Dopo Pasqua accetta di ritirarsi con altri confratelli a Camposampiero (paese a pochi chilometri da Padova) presso l’ospitalità del Conte Tiso. Chiede però che gli venga adattato un semplice rifugio sopra un grande albero di noce, dove trascorre le giornate in contemplazione con Dio e in dialogo che le genti umili del borgo di campagna. E’ durante questo soggiorno che Gesù, nell’aspetto di bambino, lo visita e dialoga con lui, come il conte Tiso potrà testimoniare.
Un venerdì – è il 13 giugno 1231 – viene colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, viene trasportato a Padova, dove lui stesso chiede di poter morire. Giunto però all’Arcella, un borgo alle porte della città, mormorando le parole “Vedo il mio Signore”, spira all’età di circa 36 anni.
Dopo qualche giorno, con solenni funerali, Antonio viene sepolto a Padova, presso la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, il suo rifugio spirituale nei periodi di intensa attività apostolica.
Un anno dopo la morte, la devozione dei padovani e la fama dei tanti prodigi compiuti convincono papa Gregorio IX a ratificare rapidamente la canonizzazione e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte.
La Chiesa poi nel 1946 proclama sant’Antonio di Padova “dottore della chiesa universale”, col titolo di Doctor evangelicus.
ant’Antonio venne sepolto a Padova, nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica, martedì 17 giugno 1231. Probabilmente il corpo non venne interrato, ma fatto rimanere un po’ sopraelevato in un’urna marmorea, in maniera che i devoti, sempre più frequenti e numerosi, potessero vederne e toccarne l’arca-tomba.
Nel corso dei secoli, per motivi diversi, la tomba è stata aperta e le sue reliquie spostate in tre occasioni:
Ricognizione e traslazione del 1263
La più importante ricognizione e traslazione avvenne l’8 aprile 1263, quando il corpo venne trasferito nella chiesa, la Basilica appunto, che era stata costruita in suo onore. Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dei francescani, poi anche lui santo, presiedette la cerimonia.
Nell’esaminare i resti mortali, prima di riporli in una nuova cassa di legno, si accorse che la lingua del Santo era rimasta incorrotta. A tale scoperta Bonaventura esclamò: “O lingua benedetta, che sempre hai benedetto il Signore e l’hai fatto benedire dagli altri, ora si manifestano a tutti i grandi meriti che hai acquistato presso Dio”.
Traslazione del 1310
Un’altra traslazione sicura avvenne il 14 giugno 1310, quando le sacre spoglie furono solennemente trasportate nella nuova cappella dedicata al Santo, all’estremità sinistra del transetto.
Il 14 febbraio 1350 il cardinale Guido de Boulogne venne a Padova per sciogliere un voto al Santo (era stato guarito dalla peste nera) e per donare un prezioso reliquiario in cui fu posta la mandibola del santo.
Ricognizione ed esposizione del 1981
Un’importante indagine sui resti del Santo fu iniziata il 6 gennaio 1981, in occasione del 750° anniversario della morte di sant’Antonio. Una commissione religiosa e una commissione tecnico-scientifica, entrambe nominate dalla Santa Sede, curarono l’apertura della tomba ed esaminarono quanto vi rinvennero. Rimossa una lastra laterale di marmo verde, si trovò una grande cassa di legno d’abete, avvolta in preziosi drappi.
Essa conteneva un’altra cassa più piccola in legno, dentro cui in diversi involti, sistemati in tre comparti, avvolti in drappi preziosi e con scritte indicative, c’erano:
– lo scheletro, ad eccezione del mento, dell’avambraccio sinistro e di altre parti minori (da secoli conservate in altri reliquiari particolari),
– la tonaca,
– la “massa corporis”, cioè le ceneri: qui sono state individuate le fragili parti dell’apparato vocale del Santo, quasi a riconfermare il prodigio della lingua incorrotta.
I resti di sant’Antonio furono poi ricomposti in un’urna di cristallo ed esposti, dalla sera del 31 gennaio alla sera della domenica 1° marzo 1981 (per un totale di 29 giorni) alla venerazione dei devoti, che accorsero a folle impressionanti: oltre 650.000 persone.
Al termine dell’ostensione l’urna di cristallo venne rinchiusa in una cassa di rovere e riposta nella secolare tomba-altare della cappella dedicata a sant’Antonio.
Alcuni reperti, in particolare la tonaca e le reliquie dell’apparato vocale di sant’Antonio, sono tuttora esposti nella Cappella delle Reliquie.
Ostensione del 2010
Infine nel febbraio del 2010 per sei giorni i fedeli hanno potuto venerare le Spoglie mortali di S. Antonio esposte nella Cappella delle Reliquie della Basilica del Santo,
prima del loro ritorno alla Cappella dell’Arca una volta terminato il restauro iniziato nel 2008.
Risultato: circa 200.000 pellegrini giunti in Basilica e 150.000 preghiere lasciate sulla tomba, a confermare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’amore della gente per il nostro caro Santo.
Predicatore e confessore
Quel che è certo è che il Santo dei Miracoli fu soprattutto un predicatore e confessore instancabile. Per farsi un’idea dell’intensità delle giornate di Antonio è sufficiente riportare le parole di un suo contemporaneo: «Predicando, insegnando, ascoltando le confessioni, gli succedeva spesso di arrivare al tramonto senz’aver nemmeno potuto prendere cibo».
La vita contemplativa
Non dimentichiamo però che alla vita apostolica della predicazione itinerante Antonio alternò probabilmente periodi più o meno lunghi di ritiro nella solitudine, come nella tradizione francescana.
Quest’alternanza ha una spiegazione molto semplice: per Antonio la vita attiva è espressione dell’amore verso il prossimo, quella contemplativa dell’amore verso Dio. Come i due tipi di amore sono strettamente legati e interdipendenti, così sono “gemelle” entrambe le vite. Per Antonio lo stato di perfezione cristiana non si risolve né nella sola azione né nella sola contemplazione, ma nella conciliazione dell’una e dell’altra.
La carità
Si comprende bene, quindi, il valore centrale della carità, intesa come l’amore di Dio come bene supremo e del prossimo per amore di Dio, nella spiritualità di Antonio. Accanto a questa, fondamentali anche le virtù dell’obbedienza, della povertà e dell’umiltà, che viene vista come radice e madre di tutte le virtù.
Dottore evangelico
E infine ricordiamo che Antonio per il suo tempo fu anche un fine teologo. I suoi scritti redatti sotto forma di sermoni – i Sermones dominicales con un’appendice di Sermones mariani e di Sermones de sanctis (questi ultimi incompiuti) – riflettono lo stadio dottrinale di quella che fu la prima manifestazione della teologia francescana che vedrà poi altri grandi esponenti in san Bonaventura e nel beato Giovanni Duns Scoto.
Nell’opera antoniana la Sacra Scrittura occupa un posto fondamentale, anche perché la consuetudine del tempo faceva della Scrittura la fonte principale e quasi esclusiva dell’insegnamento teologico.
Antonio teologo, debitore a sant’Agostino nel pensiero, però molto personale e originale, sa congiungere la luce dell’intelligenza e l’affetto del cuore, la ricerca della speculazione con l’esercizio della virtù, lo studio con la preghiera, come intendeva il suo serafico padre san Francesco d’Assisi.
In alcune chiese francescane o, comunque, legate particolarmente a sant’Antonio, il giorno della sua festa (13 giugno) si è soliti benedire dei semplici piccoli pani, che poi vengono distribuiti ai fedeli e consumati per devozione.
Tale devozione deriva certamente dall’iniziativa del “pane dei poveri” che nel passato era molto viva e diffusa nelle chiese. Anche oggi, nei pressi della Basilica, operano la “Caritas antoniana” e l’“Opera del Pane di Poveri”, due organizzazioni che esprimono in forme più attuali e diversificate l’aiuto materiale verso i bisognosi.
L’accentuato e complesso fenomeno della carità, che fa capo al santuario, dipende certo dalla generosità che i pellegrini o i devoti attraverso il “Messaggero di S.Antonio” mettono a disposizione dei poveri. Quanto essi compiono è la continuazione della riconoscenza verso il Santo così prodigo di consigli, aiuto e grazie. Basti ricordare il commovente episodio del miracolo di Tommasino e della sua giovane mamma che, ottenuta la guarigione del figlio per intercessione del Santo, decise di offrire al convento per un certo periodo di tempo tanto pane quanto pesava il suo bambino, perché potesse essere ridonato alle mamme povere.