“Non sono un calcolatore, mi sento più spinto dall’istinto del cuore che dall’intuito della ragione” sono le prime parole con cui il neo presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti ha esordito di fronte ai giornalisti.
Tanti i temi sottoposti al nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, dall’accoglienza dei profughi alle regole necessarie per attuarla, dalla politica che riguarda il bene comune alla pedofilia, definita «un crimine enorme», di fronte a cui «la Chiesa sta facendo tutto il possibile» fino alla difesa della vita. Non è mancato un accenno alla formazione spirituale e umanistica del cardinale Bassetti che deve tutto alla Chiesa fiorentina e a testimoni di fede come don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira.
Ma andiamo con ordine. Ecco qualche curiosità sul nuovo presidente della CEI.
Gualtiero Bassetti, ordinato sacerdote nel ‘66 a Firenze, rettore del Seminario minore e maggiore rispettivamente nel ’72 e nel ’79, vicario generale dell’arcidiocesi di Firenze nel ’92, vescovo di Massa Marittima-Piombino nel ’94, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro nel ’98, poi di Perugia-Città della Pieve nel 2009, cardinale nel 2014, nonostante i 75 anni compiuti, l’eta in cui i vescovi presentano la loro rinuncia, godendo di una proroga di altri cinque anni a Perugia, potrebbe svolgere un quinquennio completo come Presidente della Cei di cui conosce in modo molto approfondito le dinamiche essendone stato vicepresidente dal 2009 al 2014.
Molto interessante la raccolta dei suoi interventi ‘La gioia della carità’ con un rimando preciso al passo paolino della prima lettera ai Corinzi che costituisce un inno alla carità.
Vi sono poi numerosi scritti che hanno come tema principale la carità che “non è un ideale o un sentimento affettuoso, ma è un incontro autentico con il divino, è quella strada perfetta che porta a Dio. Vivere da cristiani senza carità è una sciagura. E una sciagura per noi stessi e per tutte le persone che ci sono accanto’. Come titola il suo libro la sintesi della vita cristiana sta in questa ‘gioia della carità’.
Già, gli ultimi! Per indicare chi sono gli ‘ultimi’ usa parole e concetti di Papa Wojtyla e di Papa Bergoglio: “…direbbe san Giovanni Paolo II: sono gli “sconfitti della vita” che sono stati abbandonati da tutti; sono gli esclusi del nostro sistema sociale ed economico prodotti da quella “cultura dello scarto” più volte denunciata da Francesco. Gli ultimi sono gli immigrati e i bambini mai nati, sono i poveri delle periferie e i precari delle metropoli, sono le donne umiliate e gli anziani abbandonati, sono i giovani esclusi dal lavoro e le famiglie maltrattate da una cultura individualista e materialista”.
Punto fondamentale per Bassetti, ‘L’annuncio del Vangelo […], non è una dimensione accessoria della nostra fede ma ne é il presupposto essenziale. Prima si annuncia l’amore di Cristo per ogni uomo e poi viene tutto il resto. Prima si annuncia il kerygma e poi viene la dottrina sociale o la teologia. E non viceversa. Ciascun cristiano deve andare verso l’uomo così come egli è, e non come vorremmo che fosse, secondo i nostri schemi teologici oppure secondo i nostri progetti pastorali o, addirittura, secondo le nostre idee politiche travestite da buoni propositi”.
“Il Concilio Vaticano II, però, come ho avuto modo di ripetere in più occasioni, pur segnando un momento paradigmatico nella storia della Chiesa e una fonte di ispirazione importantissima per quella conversione pastorale a cui fa costante riferimento Francesco, va letto sempre secondo un’ermeneutica della continuità e non della rottura. Anche perché, com’è noto, il Vaticano II è il prodotto di una temperie culturale, di un dibattito teologico e di una prassi pastorale precedente agli anni di svolgimento del Concilio stesso che si può far risalire sino al pontificato di Pio XII..”.
Da segnalare le parole di gratitudine a papa Benedetto XVI nel momento in cui si concludeva l’esercizio del suo ministero (“che rimarrà nella storia della Chiesa non solamente per il suo coraggioso atto conclusivo […], ma per tutto quanto Egli ci ha testimoniato, con una fede viva e cristallina, e per tutto quanto ci ha insegnato, con una sapienza altissima”), tra forti denunce circa i cristiani vittime di persecuzioni nel mondo (“… in tutto il mondo occidentale si parla pochissimo di questa tragedia. Perché questo silenzio”»,
Il nuovo presidente della Cei, da altre due cose ha sempre preso le distanze : l’autoreferenzialità, il peccato “che colpisce le chiese che ritengono di non aver bisogno di nulla” (“Purtroppo è un virus dilagante per il quale mancano spesso, soprattutto ai preti e ai vescovi, gli anticorpi”), e il clericalismo, ovvero quella sorta di paternalismo “che non permette ai battezzati di crescere ed esclude quelli che non sono in sintonia con il responsabile della comunità”, quella presunzione che “sembra autorizzare a forgiare la comunità cristiana a nostra immagine e somiglianza e a disprezzare il cammino fatto prima del nostro arrivo”. “È per rinunciare al clericalismo che dobbiamo avere il coraggio di rivedere – a partire dal vescovo – le modalità con cui esercitiamo il governo nella Chiesa”.
Durante la sua conferenza stampa di presentazione Bassetti ha toccato molti altri punti. Ha mostrato molta sensibilità per il lavoro giovanile: “Guardiamo ai giovani con il cuore di pastori e la prima preoccupazione è che nessuno gli rubi la speranza, perché ci sono tanti lupi.
In alcune regioni c’è il 50% di disoccupazione. Quando tutti sbattono porte in faccia a un ragazzo, quel ragazzo diventa apatico la mancanza di lavoro ai nostri ragazzi toglie la dignità. Spesso – ha aggiunto l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve – il nostro grido su problemi della società è stato inascoltato, ma noi continueremo: non possiamo restare inerti davanti ai problemi dei giovani. Questa è una società che emargina e produce scarti.
Lo dice Papa Francesco e ci fa riflettere: non si parla neanche più di ultimi, ma di scarti. Dobbiamo stare attenti a capire cosa produce questi ingranaggi”.
Immancabile l’argomento profughi: “Nei confronti dei profughi il discorso è complesso. Ci sarebbe bisogno di un impegno grande. La Chiesa ha sempre accolto i bisognosi, chi è profugo va accolto. Capisco però che l’Italia fa parte di un contesto più ampio che si chiama Europa e che l’Europa fa parte di un contesto più ampio che si chiama mondo e che da soli siamo impotenti. C’è l’impegno della Chiesa nell’accoglienza, ma anche nel rispetto delle regole necessarie. Mi sembra una cosa molto bella la nostra iniziativa ‘Liberi di partire liberi di restare’ per la quale sono stati predisposti già 30 milioni. I nostri occhi mai avrebbero avuto vedere il Mediterraneo trasformarsi in una immensa tomba.
Sulla politica ha affermato: “La Chiesa postconciliare dialoga con tutti, ma sul piano della politica bisogna fare distinzione tra la politica con la ‘p’ minuscola, quella dei partiti, e la politica con la ‘P’ maiuscola che riguarda il bene comune – ha spiegato il cardinale Bassetti -. La chiesa vuole impegnarsi fino infondo su questo secondo aspetto.
Sui mali della Chiesa ha voluto evidenziare: “Purtroppo il problema della pedofilia è veramente preoccupante, ma la Chiesa non sta partendo da zero. Il magistero di Benedetto XVI è stato di una chiarezza totale. Noi vescovi siamo tenuti a metterci in contatto con la Congregazione della fede. La Santa Sede si è assunta l’impegno di stabilire criteri da seguire. Ma il problema non va generalizzato. La pedofilia resta sempre un male. I bambini sono sacri. È un delitto enorme e un crimine grande. E la Chiesa – ha concluso – sta facendo tutto il possibile. Se c’è qualche smagliatura non è colpa di nessuno. Dobbiamo essere molto vigilanti”.
Fine vita e sostegno alle famiglie: “La legislazione deve tenere molto più conto del medico, che è vicino, che assiste il malato, e che dovrebbe essere molto più considerato. Noi, forse, in qualcosa stiamo già mancando, il mea-culpa a proposito dei malati terminali: «Non diamo a queste persone l’assistenza, la vicinanza, l’amicizia, l’affetto di cui avrebbero bisogno. Conosco famiglie con malati terminali o con la sla – la testimonianza personale – che li sostengono con il loro sorriso. Finché le persone hanno la percezione di essere un valore per l’altro, è sempre più difficile che arrivi a togliersi la vita, che è un atto estremo.
Amoris laetitia? “L’Amoris laetitia è un capolavoro per la sua sintesi sul matrimonio e la famiglia. “In particolare – ha osservato il porporato – nel documento c’è un passaggio che va capito. Non dobbiamo fare l’omologazione che ogni situazione irregolare è peccato mortale. Che non sia così lo dice già il catechismo. Il Papa chiede di verificare la situazione di quella persona, di quella coppia. L’Amoris laetitia, va presentata come il Papa l’ha scritta. È magistero come gli altri documenti”.
Terremoto e ricostruzione. “Occorre accelerare il più possibile gli interventi non tanto per la ricostruzione, che sono complessi, ma per garantire un’abitazione alle persone» è l’appello del presidente della Cei, il cardinale Bassetti, che arriva dall’Umbria, terra colpita dal sisma. Per il porporato occorrono non solo le case prefabbricate ma anche «ambienti pluriuso dove riportare quei segni di religiosità che sono stati tolti dalle macerie e che ora sono conservati altrove. Ora che arriva l’estate quelle sono terre di feste religiose, di processioni. Occorre favorire questo, altrimenti si perde l’identità di un popolo”.
“Ringrazio – ha affermato il cardinale Bassetti – per l’affetto i vescovi e il Papa che ho incontrato dopo aver appreso la notizia. Mi sembra di essere il piccolo Davide nell’armatura indossata per sfidare Golia. Dovette toglierla perché non ce la faceva a portarla. Poi ha raccolto quelle 5 pietre con cui ha battuto il gigante”.
Bassetti ha ricordato anche l’incontro del Papa con i vescovi in apertura dei lavori dell’Assemblea generale della Cei, lunedì scorso. “Il Papa – ha sottolineato il neo presidente della Cei – ci ha parlato con grande libertà per ben due ore e mezzo, dimostrando una pazienza e fraternità immensa. Ma rileggendo il discorso ho colto il richiamo che ci ha fatto alla conversione pastorale della Chiesa. Non si tratta di fare qualcosa di nuovo. Mentalità e cuore ce li abbiamo, ma ci vogliono le mani”.
Alcune nomine sono arrivate dal Consiglio Permanente della Cei che si è riunito a Roma durante i lavori dell’Assemblea Generale dei vescovi italiani. È stato eletto monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, nuovo vicepresidente della Cei per il Sud Italia. Don Giovanni De Robertis il nuovo direttore generale della Fondazione Migrantes. Sostituisce monsignor Gian Carlo Perego, chiamato, lo scorso 15 febbraio, da papa Francesco a guidare la diocesi di Ferrara-Comacchio.
Matteo Truffelli è stato confermato presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il triennio 2017-20.
Molto interessante uno scritto di su pugno del luglio dello scorso anno su ‘Chi ha paura
non ha futuro’ e pubblicato dall’Osservatore Romano in data 23 luglio 2016.
Il 2 gennaio 1991, poco prima della guerra del Golfo, madre Teresa di Calcutta scrisse una lettera aperta ai presidenti degli Stati Uniti e dell’Iraq in cui li supplicava «a nome dei poveri e di coloro che diventeranno tali se scoppierà la guerra» a farsi operatori di pace e a non scatenare un conflitto sanguinoso. E li ammoniva: «Potete vincere la guerra, ma quale ne sarebbe il costo in termini di vite umane, devastate, mutilate e annientate?». Dodici anni più tardi, nel gennaio del 2003, Giovanni Paolo II tenne un importante discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede affermando che «il dialogo ecumenico fra cristiani, e i contatti rispettosi con le altre religioni in particolare con l’islam costituiscono il migliore antidoto alle derive settarie, al fanatismo o al terrorismo religioso».
Parole inascoltate che acquistano oggi un significato profetico e mostrano al mondo due grandi insegnamenti. Prima di tutto, una lezione sulla guerra. Diversi conflitti sono stati combattuti ma il «terrorismo religioso», come lo definiva Giovanni Paolo II — cioè un’azione di morte cieca e vile che riduce la religione a strumento di odio ideologico — non è stato sconfitto. Anzi, si è trasformato in un conflitto permanente: una guerra globale contro l’umanità che colpisce chiunque e ovunque.
A Nizza, nel cuore dell’Europa, le 84 vittime dell’attentato del 14 luglio appartengono alle nazionalità più diverse — francesi, italiani, tunisini, malgasci, armeni, statunitensi, tedeschi, georgiani, svizzeri, algerini, polacchi, belgi, kazaki — e circa una trentina sono musulmane. Nello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria, ben 240.000 bambini sono colpiti da denutrizione acuta a causa del tragico conflitto provocato, come è stato scritto sull’Osservatore Romano di ieri, dalla «violenza assassina» dei terroristi di Boko Haram.
Quelle parole pronunciate da due grandi santi del Novecento forniscono poi una lezione importante sul ruolo che possono avere le religioni nel delineare una nuova geopolitica della misericordia. Se infatti il dialogo ecumenico non è certo una questione per intellettuali o per convegni accademici, quello tra religioni è la costruzione incessante di luoghi di incontro, tra uomini e donne di fedi diverse, che possono trasformarsi in oasi di pace.
Come quelli organizzati da Giorgio La Pira nei Colloqui mediterranei svoltisi a Firenze tra il 1958 e il 1964, incontri autentici tra alcuni esponenti della «triplice famiglia di Abramo» — cristiani, ebrei e musulmani — attorno a un luogo, il Mediterraneo, che La Pira non esitava a definire come una sorta di «grande lago di Tiberiade».
Questa è senza dubbio la sfida del futuro: memori degli insegnamenti profetici del passato e consapevoli delle opportunità fornite dalla cultura del dialogo possiamo impegnarci per costruire un mondo che vada oltre i suoi tratti disumani. Anche se il presente assume le sembianze fosche degli attentati terroristici o dei volti sfigurati dei rifugiati che fuggono dalle loro case, occorre avere la fede e il coraggio di non aver paura del futuro. Perché chi ha paura non ha futuro.Evocare il Mediterraneo significa, però, parlare dell’Europa e di un suo ruolo attivo nella risoluzione di questioni che la coinvolgono direttamente: il terrorismo, le guerre in Medio oriente, i rifugiati, l’integrazione dei migranti. E bisogna chiedersi cosa sia oggi il Vecchio continente? Zygmunt Bauman ha di recente affermato che l’Europa sembra essere diventata un luogo caratterizzato dall’incertezza, da una crescente ostilità nei confronti dello straniero e dalla «paura del futuro». Un continente che però, secondo il sociologo d’origine polacca, potrebbe uscire da questa condizione se segue la determinazione di Papa Francesco che esorta ogni persona a promuovere una «cultura del dialogo», a evitare uno «scontro di civiltà» e a realizzare una «giusta distribuzione» dei frutti del lavoro.
Raffaele Dicembrino