Palmieri – “Dio non punisce con la pandemia il peccato degli uomini”. Lo ha garantito monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo ausiliare di Roma, nell’omelia della Messa trasmessa in diretta su RaiUno.
“Ma la cecità, la malattia e anche la pandemia, ci ricordano che siamo Luce e fango, Luce impastata nel fango”, ha proseguito il vescovo, citando l’episodio evangelico della guarigione del cieco nato, che “ha imparato dalla fede semplice ma vera del suo popolo, che Dio ascolta chi fa la sua volontà e che se Gesù lo ha guarito è perché viene da Dio, e che Dio esulta per la guarigione dei suoi figli, non importa se è stato rispettato il riposo del sabato oppure no… Dentro di lui la Luce cresce sempre di più: quell’uomo di nome Gesù è un profeta, viene da Dio, e nel momento in cui lo incontra si prostra e fa la sua professione di fede: ‘Credi nel Figlio dell’uomo? – E chi è Signore, perché io creda in Lui? – Lo hai visto: è colui che parla con te – Credo Signore!’”. “Questa Luce per lui è sempre più chiara, lo conquista e lo commuove fin nelle viscere”, ha commentato Palmieri: “E’ come il lebbroso su dieci guariti ritornato a rendere grazie: non vede solo il miracolo della guarigione, ma vede Chi è che lo ha guarito! Il cieco, il lebbroso, sanno che prima o poi si ammaleranno di nuovo e moriranno. Ma ora hanno incontrato ‘la Luce vera, quella che illumina ogni uomo’ (Gv 1). Per questo al cieco non importa se passerà dall’esclusione sociale legata alla cecità a quella dovuta al fatto che è stato cacciato dalla sinagoga. Ormai è un discepolo di Gesù e fa parte della fraternità dei suoi discepoli. Ormai ha imparato che Dio è uno che squarcia le tenebre più fitte, quelle legate alla condizione umana”.
“Custodiamo questa Luce nel cuore, anzi lasciamoci custodire da essa”. L’invito del vescovo: “Rendiamo sempre più profonda la nostra vita spirituale, in questo tempo di reclusione forzata, attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera personale e in famiglia. Coltiviamo anche se a distanza quelle relazioni che ci fanno bene al cuore e prendiamoci cura con tenerezza di chi è in difficoltà. Manteniamo uno sguardo fermo ma luminoso sulle situazioni, che non si lasci avvilire ma sia pieno di speranza. Alla lunga, non basterà la buona volontà, servirà essere davvero in contatto con la Luce che viene da dentro. Sentiamoci in profonda comunione con tutto il Popolo santo di Dio di ogni luogo e di ogni tempo, che ha saputo affrontare le situazioni più difficili appoggiandosi con fede piena al Signore. Ricordiamo la fede dei nostri nonni che hanno attraversato la guerra, la saldezza di tanti cristiani che in tante parti del mondo hanno affrontato la persecuzione, le lotte fratricide, l’epidemia di Ebola”.
Quindi ha aggiunto: “Tante volte ci dimentichiamo che nella vita ci sono le ‘zone oscure’, i momenti bui. Pensiamo che possano capitare solo a qualcun altro. Invece questo tempo è oscuro per tutti, nessuno escluso. È segnato da dolore e ombre, che ci sono entrate in casa”. “Consentire alla Luce di Dio di diradare le nostre tenebre dal di dentro”, l’imperativo sulla scorta del Vangelo di oggi, che narra ala guarigione del cieco nato: “Questo lo può fare solo Dio. Da soli noi possiamo darci un po’ di coraggio, rassicurarci, dirci l’un l’altro: ‘ce la faremo’. Ma non ci basta. Il buio di cui si parla qui è quello del nato cieco, cioè dell’uomo che, dal momento stesso in cui è venuto al mondo, è esposto alla precarietà, all’imprevisto, alla malattia e alla morte. In questi istanti ci domandiamo: ma sono solo un’esistenza fragile appesa a un filo? Sono soltanto questa tenebra fredda, che mi entra nelle ossa? Oppure il mio cuore è attraversato da una Luce increata, quella divina, e che sono impastato di terra, si, ma destinata ad essere trasfigurata dalla Luce?”. Nella prima pagina della Genesi, nel giorno “uno” che coincide con l’eternità, Dio dice: “sia la Luce” e la Luce fu, ha ricordato il vescovo: “I commentatori ebrei si chiedevano: da dove proviene questa Luce, dal momento che Dio crea il sole, la luna e le stelle solo al quarto giorno? E rispondevano: è la Luce della Parola eterna uscita dalla bocca di Dio. Per questo la comunità del Vangelo di Giovanni, rispondendo alla domanda: ma chi è questo Gesù che abbiamo veduto, udito, toccato? scrive fin dall’inizio, nel prologo: è la Parola, il Verbo di Dio, Colui che è presso Dio ed è Dio e che ha posto la sua tenda in mezzo agli uomini; in Lui è la Vita ed è la Luce. ‘Io sono la Luce del mondo’ dice Gesù”. “Noi uomini, ci dice la Scrittura, non siamo ‘gettati nell’esistenza’, per caso”, ha spiegato Palmieri: “Noi siamo creati da questa Parola luminosa di Dio. E una raggio della sua Luce ci rimane per sempre nel cuore, fa parte di noi. Continua misteriosamente ad agire persino nell’ombra, anche nella disperazione. Da questo raggio nascono la spinta alla fraternità reciproca, il desiderio di rimanere umani, la speranza al di là delle ‘illusioni ottimistiche’, la determinazione a non arrenderci. Nascono da questa Luce interiore che è, per così dire, ‘un pezzo di Dio’ dentro di noi. Qualcosa che dobbiamo custodire e lasciar agire in noi. Anche adesso”.