CHIESA – In Iran aumentano i cristiani “vittime senza volto” di arresti e violazioni alla libertà religiosa perpetrati dalla Repubblica islamica, spesso per “paura” che la pubblicizzazione del proprio caso possa determinare sofferenze ancora peggiori. È quanto denuncia Article18, sito specializzato nel documentare le repressioni di Teheran contro le minoranze religiose, soprattutto cristiana, nel rapporto annuale intitolato “Vittime senza volto: violazioni dei diritti contro i cristiani in Iran” (clicca qui per leggerlo). Lo studio è stato realizzato con la collaborazione di altre ong di primo piano fra cui Open Doors, Christian Solidarity Worldwide (Csw) e Middle East Concern. A fronte di un aumento mimino di cristiani arrestati “pari a 166 nel 2023 rispetto ai 134 del 2022” sono sempre più, sottolineano gli autori del documento, quelli “privi di nome e di un volto” che finiscono nel mirino della giustizia.
Il rapporto diffuso oggi conferma che in Iran è in atto una “netta regressione” della situazione in tema di libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. UN dato emerso anche nel rapporto 2023 della US Commission on International Religious Freedom, pubblicato nel maggio scorso, che invita a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”.
La data di rilascio, il 19 febbraio, coincide con l’uccisione del rev. Arastoo Sayyah, assassinato nel suo ufficio a otto giorni dalla Rivoluzione islamica del 1979, primo di una lunga serie di eventi sanguinosi contro i cristiani, in particolare i convertiti, che continua ancora oggi. Nel 2023, si legge nello studio, si sono verificate “ondate di arresti” ma di queste solo “una manciata sono state segnalate prima di giugno”, poi “oltre 100 nei tre mesi successivi prima di un’ulteriore ondata a Natale”. “Tuttavia, pochissimi degli arrestati – prosegue il rapporto – hanno accettato di rendere pubblici i casi, il che ha portato a un numero crescente di vittime senza volto”. “Alla fine del 2023, almeno 17 dei cristiani arrestati durante l’estate avevano ricevuto pene detentive tra i tre mesi e i cinque anni o punizioni non detentive come multe, fustigazioni e, in un caso, l’obbligo di scavare tombe”. Ma solo due degli arrestati in l’estate sono stati identificati: si tratta di due armeni, Elisa Shahverdian e suo marito Hakop Gochumyan, quest’ultimo tuttora rinchiuso a Evin.
Un’altra tendenza del 2023 è la repressione di quanti distribuiscono Bibbie, viste che “oltre un terzo degli arresti” riguarda persone “in possesso di più copie”. Nel frattempo, almeno nove cristiani sono stati graziati e rilasciati dal carcere, sebbene “la maggior parte di essi” fosse già quasi a fine pena, con condanne dovute alla “pratica pacifica della loro fede” e che “quindi non avrebbe dovuto nemmeno essere emessa in primo luogo”. Il rapporto include anche una sezione sugli abusi specifici del Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) ai danni della comunità cristiana iraniana, con almeno 11 tipologie di violazioni: libertà di religione o di credo, opinione ed espressione, libertà di riunione pacifica e protezione dall’arresto arbitrario, detenzione e tortura.
Il rapporto contiene infine una sezione speciale di analisi che spiega come le pressioni sulle persone e sulle loro famiglie continuino anche dopo il rilascio dal carcere, con monitoraggio continuo e molestie, negazione di lavoro o istruzione, nuove accuse e riaperture di casi archiviati. Sono tutti esempi, spiegano le ong attiviste, di come Teheran possa rendere “sempre più difficile per i cristiani rimanere in Iran”. “Molti fuggono – conclude il rapporto – solo per trovare una nuova serie di sfide ad attenderli come rifugiati, come mostrato nel documento 2023 sulla situazione dei cristiani iraniani che chiedono protezione internazionale in Turchia”.
Sugli abusi e le minacce ai danni dei cristiani emigrati in Turchia prova ne è quanto sta avvenendo in questi giorni al 56enne Mojtaba Keshavarz Ahmadi (nella foto), migrato nel 2013 dall’Iran alla Turchia per sfuggire al carcere. E che oggi rischia di essere deportato dalle autorità di Ankara nella patria di origine, vittima di una nuova repressione. Fonti locali riferiscono che le autorità per l’immigrazione turche ne hanno disposto l’arresto il 29 gennaio scorso e lo hanno trasferito in un centro di detenzione nell’ovest del Paese dove risulta tuttora in custodia. Mojtaba è stato accusato di aver lasciato la sua città di residenza, Düzce, vicino Istanbul, senza autorizzazione, addebito che egli respinge con forza al mittente e per il quale le autorità turche non hanno fornito prove. Ora è detenuto nel centro di Ayvacık Geri Gönderme Merkezi, a quasi sei ore da Düzce, e gli è stata confiscata la carta d’identità, in attesa di espulsione e rimpatrio nonostante viva in Turchia in modo stabile da un decennio e abbia fatto richiesta – mai esaminata – per lo status di rifugiato. In caso di rientro, a suo carico pende una condanna a tre anni per pratica della fede cristiana.