Catechesi 6 – All’udienza generale il Papa prosegue la riflessione sulla preghiera parlando della figura di Giacobbe che “lotta con Dio” un’intera notte e ne esce cambiato: da uomo scaltro “impermeabile alla grazia”, si scopre fragile e avvolto dalla misericordia divina.
Pregare non significa solo sentire Dio come “presenza amica e vicina”, ma anche incontrare il Signore “faccia a faccia”. Papa Francesco all’udienza generale, nella Biblioteca del Palazzo apostolico, prosegue il ciclo di catechesi incentrate sul tema della preghiera. Un dialogo con il Signore che in certe ‘notti’ della vita diventa un “combattimento della fede” e una “vittoria della perseveranza”. Il Pontefice si rivolge agli uomini del terzo millennio sfogliando il libro della Genesi che, “attraverso vicende di uomini e donne di epoche lontane, ci racconta storie in cui noi possiamo rispecchiare la nostra vita”.
Lottare con Dio
Quella di Giacobbe, spiega il Santo Padre, è la storia di un uomo “costretto a fuggire lontano dal fratello” che un giorno sente “il richiamo di casa, della sua antica patria”. Parte e compie un lungo viaggio “con una carovana numerosa di persone e animali” ma quando resta solo, la sua mente è “un turbinio di pensieri”. Mentre si fa buio, “all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui”. Giacobbe lotta “per tutta la notte” ma “alla fine viene vinto” e “da allora sarà zoppo per tutta la vita”. In quella notte, “esce cambiato”. “Giacobbe – sottolinea il Papa – capisce di aver incontrato Dio faccia a faccia”.
Con il cuore nuovo
Ricordando il ‘combattimento’ del Patriarca, Francesco spiega che “lottare con Dio” è “una metafora della preghiera”. La vita di Giacobbe è quella dell’uomo che perde ogni corazza terrena. Si riconosce fragile e si abbandona alla misericordia del Signore:
Per una volta non è più padrone della situazione – la sua scaltrezza non serve -, non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza, anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo. Una volta ho sentito dire a un uomo anziano – buon uomo, buon cristiano, ma peccatore che aveva tanta fiducia in Dio – diceva: “Dio mi aiuterà; non mi lascerà da solo. Entrerò in paradiso, zoppicando, ma entrerò”. Giacobbe, prima era uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza. Era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia. “Qui sono io, comando io!”, non riteneva di avere bisogno di misericordia. Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia e lo salvò.
Dio ci darà un nome nuovo
Per ogni uomo, come Giacobbe, arriva il tempo di incontrare da soli il Signore “faccia a faccia” con le proprie vulnerabilità. Ma proprio in quel frangente, sottolinea il Papa, non si deve temere:
Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento. Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre. Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini – mi permetto di dire “poveracci” – ma, proprio allora, nel momento in cui ci sentiamo “poveracci”, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio. Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci”, può dirlo ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci. Cambiami”.
Appello contro il lavoro minorile
Dopo la catechesi, il Papa ha ricordato che venerdì prossimo si celebrerà la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. E ha lanciato un appello alle istituzioni “affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori”, colmando “lacune economiche e sociali”.
Lo sguardo di Francesco prende in particolare considerazione l’attuale situazione di emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di Covid-19: “in diversi Paesi – dice – molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà” :
In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo. Faccio appello alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I Bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità!
Nelle aree più povere del mondo il lavoro minorile rappresenta infatti una sorta di compensazione del reddito familiare a cui le famiglie ricorrono spesso in situazioni difficili. A esserne colpita soprattutto l’Africa subsahariana, ma questa piaga dilaga anche in Asia, America Latina e Caraibi. Ma anche Paesi del “primo mondo” non ne sono del tutto immuni. E tra le forme di sfruttamento rientra anche quella della violenza sui bambini per fini commerciali e sessuali, segnala il Coordinamento nazionale dei docenti della disciplina dei diritti umani in un comunicato in occasione della Giornata. Guerre e disastri naturali peggiorano molto la situazione quando l’istruzione smette di essere un diritto e una priorità. Un dramma quindi che interpella tutti come dice il Papa perché loro sono il futuro di tutti noi.
Vita eucaristica
Salutando i fedeli di lingua italiana, il Pontefice ha infine ricordato che domani si celebrerà la Solennità del Corpus Domini, Corpo e Sangue di Cristo. “Quest’anno – ha detto Francesco – non è possibile celebrare l’Eucaristia con manifestazioni pubbliche, tuttavia possiamo realizzare una vita eucaristica”.
“L’ostia consacrata racchiude la persona del Cristo: siamo chiamati a cercarla davanti al tabernacolo in chiesa, ma anche in quel tabernacolo che sono gli ultimi, i sofferenti, le persone sole e povere”.
Francesco, dopo aver rivolto il suo pensiero agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli ha esortato infine tutti “a trovare nell’Eucaristia le energie necessarie per vivere con fortezza cristiana i momenti difficili”.