CARITAS – Presentato il Rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale: 5 milioni 673 mila poveri assoluti nel Paese, il 30% stranieri. Quasi 3 milioni e mezzo di euro erogati dall’organismo ecclesiale a favore dei più fragili. Focus dedicato ai working poor, chi ha un impiego ma non riesce a vivere dignitosamente. Il presidente Redaelli: “Lo sciopero, segnale evidente di disagio”. Sulla idea di delocalizzare i migranti: “Sembra più una trovata pubblicitaria che una reale soluzione”.
“Non siamo per l’assistenzialismo, siamo per la promozione umana e il lavoro è il primo strumento per dare dignità”. Così don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, alla presentazione, oggi 17 novembre, della 27 ma edizione del Rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale Tutto da perdere, il quale – sulla base dei dati raccolti in olter 2900 Centri di ascolto – registra un aumento dei poveri assoluti, saliti a 5 milioni 673 mila in Italia, pari al 9,7% della popolazione.
L’Italia è il Paese in Europa in cui la trasmissione intergenerazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più intensa. Se si considerano i nuclei, si contano 2 milioni 187 mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22 mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei), concentrati soprattutto nel Mezzogiorno. Il lavoro non è più causa sufficiente di benessere. “Una persona su quattro che si rivolge alla Caritas aveva un lavoro”, precisa il sociologo Walter Nanni, il quale aggiunge un ulteriore dato preoccupante: si tende a parlare di processo di democratizzazione della povertà, ovvero essa può colpire chiunque. “Una volta il lavoro nobilitava davvero, oggi non è nemmeno più un biglietto da visita che qualifica il soggetto nella società”. “I lavoratori dipendenti non sono tutelati e nel giro di pochi anni avremo una quota importante di pensionati poveri”, sottolinea Nanni.
Evidenti le disuguaglianze tra cittadini italiani e stranieri residenti, acuitesi negli ultimi dodici mesi. La povertà assoluta si mantiene infatti al di sotto della media per le famiglie di soli italiani (6,4%), mentre si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (33,2%). Tra gli stranieri con figli minori il dato balza al 36,1% (a fronte del 7,8% delle famiglie di soli italiani). Gli stranieri, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione residente, costituiscono il 30% dei poveri assoluti. Nel 2022, nei Centri di ascolto e servizi delle Caritas diocesane le persone incontrate e accompagnate sono aumentate del 12% rispetto al 2021. Complessivamente il peso degli stranieri tra i beneficiari si attesta al 59,6%. Gli aiuti erogati sono stati complessivamente 3,4 milioni.
Il Rapporto analizza per la prima volta anche l’effetto della “povertà energetica”, ossia l’impossibilità di garantire un livello minimo di consumo energetico, che determina conseguenze importanti soprattutto sulle fasce sociali più fragili, e che colpisce il 9,9% della popolazione, con una tendenza all’aumento negli ultimi dieci anni. L’excursus sul panorama della povertà in Italia è stato affidato alla sociologa Federica De Lauso che, tra gli altri aspetti, ha evidenziato quello relativo alla presenza nel Paese di 1 milione e 200 mila bambini poveri. “La povertà diventa sempre più intensa, i poveri diventano sempre più poveri”, ha affermato mettendo in luce il fenomeno della polarizzazione della situazione in un Paese, l’unico nel quadro Ocse, che dal 2020 ha registrato un calo delle retribuzioni medie.
Uno dei focus del Rapporto Caritas è dedicato al fenomeno dei “working poor”, ossia quelle situazioni di povertà in cui non manca il lavoro, ma il reddito non è sufficiente a una vita dignitosa. Su questo tema è stata realizzata un’indagine nazionale, di taglio sperimentale e qualitativo, la prima di tipo partecipativo mai condotta da Caritas Italiana, che ha coinvolto in tutte le fasi di studio un gruppo di persone che vivono sulla propria pelle la condizione di fragilità economica e lavorativa. In questo modo le persone sono rese protagoniste e non solo destinatarie di aiuto. È stata la ricercatrice Vera Pellegrino a illustrarne i risultati, evidenziando che si tratta di un approccio che mette insieme un sapere scientifico con un sapere esperenziale, che produce conoscenza ma anche consapevolezza. In questo modo si applica proprio ciò che Papa Francesco suggerisce: guardare con gli occhi degli ultimi i problemi che vediamo.
“A Brescia – spiega Pellegrino – si è creato così uno spazio di riflessione ed è emerso che i poveri, nonostante la loro condizione, vogliono contribuire al bene comune”. Nel profilo dei working poor balza agli occhi quanto le carriere lavorative siano molto frammentate e, soprattutto, che c’è una parola chiave, molto citata e davvero eloquente, per descrivere la criticità dello stato di cose attuale: è “sopravvivere”. “Non c’è solo il problema economico, si vive in uno stato d’ansia continua che drena tante energie, non consente di concentrarsi per trovare strade per cambiare e porta a una frustrazione che si riversa sulle relazioni familiari”, osserva Pellegrino. Inoltre, la marcata tendenza alla terziarizzazione del lavoro, è stato detto, ha aumentato la proliferazione dei contratti precari e peggiorato lo scenario complessivo.
Nel corso della presentazione è stato dato spazio alla testimonianza dell’imprenditrice Marina Salamon, che ha scelto di usare una parte del proprio tempo per mettersi a servizio di diverse associazioni trasformando le aziende in traini sociali, di promozione del bene comune per venire incontro alle esigenze dei più fragili. Donna che guarda alla concretezza dei progetti, racconta di essere stata anche una volontaria degli Empori della Solidarietà a Verona. Ha parlato del problema assai grave della casa: “Sarà crescente perché non ci sono politiche attive in Italia in questo ambito”, ha detto, accennando alla collaborazione con Arca onlus che sta dando vita a first-housing e social-housing. La sua provocazione è stata inoltre di invitare Caritas a fare rete e a spingere affinché si sfruttino gli immobili ‘religiosi’ molti dei quali, abbandonati a se stessi, entreranno nelle logiche speculative senza recare beneficio a chi ne ha bisogno. In Italia c’è troppo lavoro nero, precario, grigio, ha lamentato, focalizzandosi anche sulla formazione, cruciale ambito da potenziare per scardinare l’inesorabile equazione ‘poca cultura-più povertà’.
“Noi abbiamo un mercato del lavoro fortemente diseguale, e un basso numero di laureati”: da queste premesse, l’esperto di Politiche del Lavoro, Mauro Bentivogli ha insistito sul fenomeno del ‘dumping contrattuale’, molto dannoso. Citando il Papa, ha ricordato la necessità di combattere per “un lavoro per tutti e non tanto per un reddito per tutti”. È essenziale infatti che venga garantita la rappresentanza, in un sistema democratico, è questo si può avere se si ha un lavoro. Favorevole al salario minimo, ha denunciato che ciò che manca in Italia è l’orientamento al lavoro e le politiche attive che servono a tornare in pista. “I centri per l’impiego italiani collocano poco più del 3% dei richiedenti”, la sua lamentela. “Un assurdo. Dobbiamo far sì che la formazione di qualità sia un elemento che accompagna tutta la carriera lavorativa”.
“Di fronte alla complessità bisogna dare risposte complesse, non banali. Caritas ci prova”, afferma ancora il direttore Caritas don Pagniello, per il quale bisogna cercare concretamente il bene comune, “non solo attraverso slogan”. Sulla stessa linea monsignor Carlo Redaelli, vescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana che, a margine della presentazione del Rapporto, commenta anche lo sciopero che in questa giornata ha interessato l’intera nazione: “Lo sciopero evidenzia un disagio evidente, di difficoltà. Ha colpito duro sulle famiglie certamente il Covid e l’inflazione”. Il presule chiede alle istituzioni di prestare molta attenzione all’aspetto della povertà lavorativa. “Chi viene da noi non ha solo un problema, ma magari ha il problema abitativo, un figlio disabile, i problemi spesso si sommano”. Circa i migranti, il presidente di Caritas afferma che nonostante le direttive sui maggiori controlli alla frontiere, i flussi stanno aumentando. “I centri sono tutti pieni, abbiamo dovuto attivare centri a bassa soglia per accogliere le persone che continuano ad arrivare più di prima”. E, circa la proposta del governo di delocalizzare le persone migranti, afferma: “Mi pare più una trovata pubblicitaria che una reale soluzione”.