20 anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l’Evangelium Vitae, l’enciclica dedicata all’inviolabilità della vita umana, tuttora uno dei punti di riferimento per la Chiesa su temi quali l’aborto e l’eutanasia.
Pubblicata nel 1995, dopo un percorso durato quattro anni, l’enciclica Evangelium Vitae, ha raccolto, ribadendoli con l’autorità papale, la condanna della Chiesa ad ogni forma di soppressione della vita, sia essa la pena di morte, l’aborto e l’eutanasia. In uno scenario in cui le biotecnologie sono avanzate in maniera impensabile 20 anni fa, le affermazioni dell’enciclica rimangono ancora un punto fermo nella dottrina della Chiesa. Mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia accademia per la Vita.
“L’Evangelium Vitae ha un profilo soprattutto dottrinale: è un tipo di argomentazione che non risponde alle circostanze del momento, ma a quella che è la visione cristiana dell’essere umano – dell’uomo – e della sua dignità: fondamentalmente quella che l’uomo non può mai essere strumentalizzato e usato per altri scopi”. L’aborto oggi è ancora peggio di vent’anni fa. La questione dell’eutanasia, che allora era un fenomeno molto raro, adesso si sta diffondendo sotto diverse forme. Questi problemi non sono spariti, ma continuano. Sono questioni che oggi sono molto più complesse ed estese rispetto a vent’anni fa”.
Un atto che riguarda la vita umana non è mai un fattore personale, ma ha sempre ricadute sociali, perché, si legge nell’enciclica, “rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo, quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri”.