India – Una vicenda di ingiustizia e di bellezza della Fede viene da luoghi lontani nel mondo….
In India, un pastore cristiano è stato arrestato dalla polizia dell’Uttar Pradesh dopo essere stato denunciato per “conversioni forzate”. In seguito però l’uomo che aveva sporto denuncia contro di lui ha ammesso di essere stato costretto ad accusare il pastore da alcuni gruppi di estremisti indù. Dal canto suo, dopo il rilascio il reverendo ha dichiarato che la sua detenzione “è stata una benedizione”, perché in carcere “ho potuto incontrare 1.300 detenuti, tra i quali diversi arrestati per omicidio, e tra di loro ho potuto testimoniare il Vangelo”.
La vicenda del pastore è raccontata dal giornale cristiano protestante Morning Star News. Il reverendo Dharmendra Singh 40enne è originario di Delhi e cinque anni fa si è trasferito in Nepal, dove guida la chiesa di Nepalganj, al confine con l’India. Il religioso amministra le preghiere nella Prem Sewa Clinic, l’ospedale del villaggio di Rupaidiha, nel distretto di Bahraich (Uttar Pradesh), dove è stato arrestato. In questo villaggio il pastore conduce visite regolari anche per seguire una comunità cristiana di recente formazione. A questa comunità appartiene Ramesh Gautam, l’uomo che l’ha accusato di essere stato convertito “tramite allettamento”.
Il reverendo Singh è stato arrestato il 28 gennaio. Su di lui, la polizia aveva avviato un’indagine per oltraggio al sentimento religioso e promozione dell’inimicizia. In seguito il fedele ha rivelato di aver ricevuto pressioni da esponenti del gruppo ultra-nazionalista Vishwa Hindu Parishad e dalla sua ala giovanile Bajrang Dal, che gli hanno chiesto di presentare una falsa denuncia. Il pastore è stato quindi rilasciato su cauzione (perché su cauzione se è innocente?).
Il reverendo ha sottolineato che non nutre rancore nei confronti di Gautam. “Egli ha testimoniato – afferma – che la sua fede è una scelta autonoma e che nessuno ha forzato lui o la sua famiglia a credere in Gesù Cristo”. Il fedele infatti si è convertito circa sei mesi fa, dopo la guarigione della moglie che egli attribuisce alle preghiere del reverendo. Il villaggio non ha accolto con favore la sua conversione e ha iniziato a discriminarlo sino a creare difficoltà serie a tutta la sua famiglia.
“Per me – ha affermato il religioso protagonista di questa vicenda – è un privilegio soffrire per Cristo. In carcere ho potuto predicare in maniera potente il messaggio di Cristo tra i prigionieri, e sono lieto che il nome di Cristo sia stato udito da 1.300 detenuti. Il loro spirito è infranto, vivono una profonda solitudine”. Il suo racconto continua: “Alcuni di loro sono rinchiusi per omicidio. Abbiamo pregato insieme e ci siamo abbracciati, avvertendo un senso di benedizione e il potere di Dio [su di noi]”. Il predicatore cristiano si sente “felice di essere andato in prigione, perché in questo modo sono stato usato da Dio. Ora che ho potuto incontrare e ascoltare i prigionieri, posso pregare per loro con più convinzione e impegno”.
Ma come vivono i cristiani in India?
La comunità cristiana, che conta circa 30 milioni di fedeli (il 2,3 per cento degli indiani), è spesso sotto attacco. Negli ultimi anni si sono moltiplicati drammaticamente gli assalti a chiese, incontri di preghiera e istituzioni culturali e caritative. Secondo segnalazioni di attivisti cristiani, le autorità tendono a ignorare le denunce e a minimizzare i fatti e, quando arrestano presunti colpevoli, li indicano nei rapporti come «individui affetti da disturbi mentali».
A documentare questa situazione sono vari studi e rapporti. Tra quelli maggiormente degni di nota quello della Commissione statunitense per la Libertà religiosa internazionale (Uscirf), che ha messo apertamente sotto accusa il governo indiano per lo scarso impegno nel prevenire «una pressione diffusa contro le minoranze religiose e contro i dalit che raggruppano fuoricasta, tribali e aborigeni e che totalizzano il 20 per cento degli 1,35 miliardi di indiani».
Il rapporto ha registrato che «nel 2017 le condizioni della libertà religiosa hanno visto proseguire la tendenza al peggioramento» e che «la realtà di una società multiculturale e multireligiosa come quella indiana è minacciata da una crescente concezione esclusivista di identità nazionale basata sulla religione».
A confermare un incremento della persecuzione ci sono anche dati governativi diffusi a febbraio: 111 uccisi e almeno 2.398 feriti in 822 episodi di violenza settaria nel 2017, contro 86 morti e 2.321 di 703 eventi nel 2016.
Una situazione che resta difficile, ma piccoli passi per uscire da questa criticità vengono compiuti quotidianamente grazie al coraggio di tanti religiosi di cui il reverendo Dharmendra Singh è un brillante esempio.