Michelangelo Buonarroti, uno dei grandi geni del Rinascimento, nasce il 6 Marzo del 1475 a Caprese bogo dell’Alta Val Tiberina ad Arezzo.
Nel 1488 il giovane Michelangelo iniziò a frequentare la bottega di Domenico Ghirlandaio, ma l’attività non corrispondeva al suo carattere, tanto che si trovava spesso a lavorare in solitudine. E’ in questo periodo che l’Artista Michelangelo si forma e matura una propria creatività artistica attraverso lo studio della cultura quattrocentesca fiorentina. A Firenze vive e lavora per la famiglia Medici.
In questo periodo giovanili realizza la Battaglia dei Centauri e la Madonna della Scala (1490-92,Casa Buonarroti, Firenze).
Nel 1495 quando a Firenze Savonarola combatte l’arte, Michelangelo si sposta a Roma dove scolpisce la famosa Pietà Vaticana.
Rientra poi a Firenze dove produce una serie di opere che ancor oggi sono dei capolavori. Il Tondo Doni (Galleria Uffizi, Firenze), il Tondo Pitti (Museo del Bargello, Firenze) e nel 1501 crea la sua scultura più celebre il David (Museo dell’Accademia, Firenze). L’opera fu collocata all’ingresso di Palazzo Vecchio, poi spostata all’interno del Museo (attualmente all’esterno di Palazzo Vecchio è presente una una copia).
Spostatosi nuovamente a Roma alla dipendenza di Papa Giulio II dove lavora per circa quaranta anni. Inizia con il progetto della sua tomba, ma Michelangelo trascurato dal Papa non si trova in perfetta sintonia con il pontefice. Successivamente appianate le divergenze, Giulio II nel 1508 gli affida l’incarico di affrescare la volta della Cappella Sistina. Un’opera immensa che richiede quattro anni di lavoro intenso, dove spiccano la Creazione di Adamo e rappresenta la piena espressione degli ideali artistici del Rinascimento.
Alla morte del Papa Giulio II (nel 1513) Michelangelo lavora alla sua tomba e realizza il Mosè e i due Schiavi (Museo Louvre, Parigi). Michelangelo rientra a Firenze e ritorna al lavoro per i Medici realizzando la basilica di San Lorenzo con il progetto per la decorazione della facciata e la costruzione della Sacrestia Nuova (1520-34).
A San Lorenzo crea anche il progetto per la biblioteca Mediceo-Laurenziana (che pois sarà realizzata solo dopo la metà del 1500 insieme all’Ammannati).
Dopo il 1530 riprende i lavori alla tomba di Giulio II e scolpisce i quattro Prigioni incompiuti che però anche questi non vanno ad adornare il monumento funebre del grande pontefice.
Dopo la morte del padre Lodovico, nel 1534 si trasferisce definitivamente a Roma e lavora per Clemente VII. In questa fase della vita affresca l’altare della Sistina con il Giudizio Universale (1536-41).
Michelangelo lavora anche sull’architettura e dopo il 1550 conclude la costruzione della Biblioteca Laurenziana a Firenze e progetta e realizza Piazza del Campidoglio a Roma per poi dedicarsi alla realizzazione della Cupola di San Pietro a Roma. Quest’opera gli fu affidata nel 1547 da Paolo III e l’Artista intervenne nella zona absidale. Michelangelo morì a Roma il 18 febbraio del 1564 nella sua casa presso il Foro di Traiano all’età di 90 anni. I lavori di San Pietro terminarono successivamente con la costruzione della cupola da lui progettata con piccole modifiche. Dopo la morte la città di Firenze reclama le spoglie del loro concittadino, che il nipote trafuga da Roma. Attualmente la tomba del genio del Rinascimento si trova nella Chiesa di Santa Croce.
Ampio il numero delle sue opere soprattutto nel periodo romano e legate al rapporto con la Chiesa. che nasce dall’inganno del Cupido.
A Firenze, all’insaputa di Michelangelo, si decise di sotterrare il Cupido, per patinarlo come un reperto archeologico e rivenderlo sul fiorente mercato delle opere d’arte antiche a Roma. L’inganno riuscì, infatti di lì a poco, con l’intermediazione del mercante Baldassarre Del Milanese, il cardinale di San Giorgio Raffaele Riario, nipote di Sisto IV e uno dei più ricchi collezionisti del tempo, lo acquistò per la cospicua somma di duecento ducati: Michelangelo ne aveva incassati per la stessa opera appena trenta.
Poco dopo tuttavia le voci del fruttuoso inganno si sparsero fino ad arrivare alle orecchie del cardinale, che per avere conferma e richiedere indietro i soldi, spedì a Firenze un suo intermediario, Jacopo Galli, che risalì a Michelangelo e riuscì ad avere conferma della truffa. Il cardinale andò su tutte le furie, ma volle anche conoscere l’artefice capace di emulare gli antichi facendoselo spedire a Roma, nel luglio di quell’anno, dal Galli. Con quest’ultimo in seguito Michelangelo strinse un solido e proficuo rapporto
Michelangelo accettò senza indugio l’invito a Roma del cardinale, nonostante questi fosse nemico giurato dei Medici: di nuovo per convenienza voltava le spalle ai suoi protettori.
Arrivò a Roma il 25 giugno 1496. Il giorno stesso il cardinale mostrò a Michelangelo la sua collezione di sculture antiche, chiedendogli se se la sentiva di fare qualcosa di simile. Neppure dieci giorni dopo, l’artista iniziò a scolpire una statua a tutto tondo di un Bacco (oggi al Museo del Bargello), raffigurato come un adolescente in preda all’ebbrezza, in cui è già leggibile l’impatto con la statuaria classica: l’opera infatti presenta una resa naturalistica del corpo, con effetti illusivi e tattili simili a quelli della scultura ellenistica; inedita per l’epoca è l’espressività e l’elasticità delle forme, unite al tempo stesso con un’essenziale semplicità dei particolari. Ai piedi di Bacco scolpì un giovinetto che sta rubando qualche acino d’uva dalla mano del dio: questo gesto destò molta ammirazione in tutti gli scultori del tempo poiché il giovane sembra davvero mangiare dell’uva con grande realismo. Il Bacco è una delle poche opere perfettamente finite di Michelangelo e dal punto di vista tecnico segna il suo ingresso nella maturità artistica.
L’opera, forse rifiutata dal cardinale Riario, rimase in casa di Jacopo Galli, dove Michelangelo viveva. Il cardinale Riario mise a disposizione di Michelangelo la sua cultura e la sua collezione, contribuendo con ciò in maniera determinante al miglioramento del suo stile, ma soprattutto lo introdusse nell’ambiente cardinalizio dal quale sarebbero arrivate presto importantissime commissioni. Eppure, ancora una volta Michelangelo mostrò ingratitudine verso il mecenate di turno: a proposito del Riario fece scrivere dal suo biografo Condivi che era un ignorante e non gli aveva commissionato nulla. Si diceva anche che Michelangelo fosse un mago.
Grazie sempre all’intermediazione di Jacopo Galli, Michelangelo ricevette altre importanti commissioni in ambito ecclesiastico, tra cui forse la Madonna di Manchester, la tavola dipinta della Deposizione per Sant’Agostino, forse il perduto dipinto con le Stigmate di san Francesco per San Pietro in Montorio, e, soprattutto, una Pietà in marmo per la chiesa di Santa Petronilla, oggi in San Pietro.
Considerato il primo capolavoro di Michelangelo, la Pietà vaticana (databile tra 1497 e 1499) si può oggi ammirare nella Basilica di San Pietro in Vaticano. Nonostante l’incarico per la realizzazione dell’opera gli fu consegnato nel 1497 (durante il quale la progettò e scelse un marmo di qualità e dimensioni adeguate), solo nell’agosto 1498 fu firmato il contratto, in cui si stabiliva il tempo di consegna entro un anno. Rispettando l’accordo preso, nel 1499, la Pietà vaticana fu scolpita in un anno e ottenne grandi riconoscimenti fin dal principio. Con “Pietà” si intende la Vergine Maria vestita che stringe tra le braccia il Cristo morto.
Di solito questa scena era tradizionalmente ritratta con una certa rigidità, ma Michelangelo le donò una naturalezza e fluidità senza precedenti, con le due figure che si fondono, in toccante intimità, dando vita a una particolare struttura piramidale, basata sulle ampie vesti di Maria. La sporgenza rocciosa su cui siede la Vergine Divina raffigura il monte Calvario. Proprio questo naturalismo straordinario e il livello di dettaglio estremo hanno reso l’opera celebre in tutto il mondo. Eppure l’opera non fu priva di critiche, in particolare per la giovane età con cui viene raffigurata Maria, scelta proveniente dalla tradizione medioevale che vedeva La vedeva come sposa di Cristo e simbolo della Chiesa; fatto a cui si aggiunge una nota stessa di Michelangelo (riportata dal suo biografo Ascanio Condivi) secondo cui “la castità, la santità e l’incorruzione preservano la giovinezza”. Infine, si deve considerare la volontà non tanto di ricreare perfettamente la scena della Pietà, quanto di centrare l’aspetto simbolico della vicenda.
Già nel 1517 la Pietà vaticana venne trasferita alla Basilica di San Pietro in vaticano, e spostata solo in occasione del restauro dell’edificio e nel 1964, quando fu prestata per due anni all’Esposizione universale di New York 1964-1965.
Nel 1972 fu oggetto di un atto vandalico da parte di un australiano (poi riconosciuto malato di mente), che la colpì più volte con un martello, prima che riuscissero a fermarlo. I danni furono gravi, ma il restauro incominciò in tempi molto brevi, tentando di riutilizzare il più possibile i materiali originali. Dopo quell’evento, la Pietà è custodita dietro un cristallo antiproiettile.
Curiosità: sulla fascia a tracolla che regge il mando della Vergine, si può vedere la firma “MichealAngelvs Bonarotvs florentinvs Faciebat”, ovvero: “lo fece il fiorentino Michelangelo Buonarroti”.
Nel 1501 Michelangelo decise di tornare a Firenze. Prima di partire Jacopo Galli gli ottenne una nuova commissione, questa volta per il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro papa Pio III. Si trattava di realizzare quindici statue di Santi di grandezza leggermente inferiore al naturale, per l’altare Piccolomini nel Duomo di Siena.
Il suo ritorno coincise con l’avvio di una stagione di commissioni di grande prestigio, che testimoniano la grande reputazione che l’artista si era conquistato durante gli anni passati a Roma.
Il 16 agosto del 1501 l’Opera del Duomo di Firenze gli affidò ad esempio una colossale statua del David da collocare in uno dei contrafforti esterni posti nella zona absidale della cattedrale. Si trattava di un’impresa resa complicata dal fatto che il blocco di marmo assegnato era stato precedentemente sbozzato da Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476, col rischio che fossero state ormai asportate porzioni di marmo indispensabili alla buona conclusione del lavoro.
Nonostante la difficoltà, Michelangelo iniziò a lavorare su quello che veniva chiamato “il Gigante” nel settembre del 1501 e completò l’opera in tre anni. L’artista affrontò il tema dell’eroe in maniera insolita rispetto all’iconografia data dalla tradizione, rappresentandolo come un uomo giovane e nudo, dall’atteggiamento pacato ma pronto a una reazione, quasi a simboleggiare, secondo molti, il nascente ideale politico repubblicano, che vedeva nel cittadino-soldato – e non nel mercenario – l’unico in grado di poter difendere le libertà repubblicane. I fiorentini riconobbero immediatamente la statua come un capolavoro. Così, anche se il David era nato per l’Opera del Duomo e quindi per essere osservato da un punto di vista ribassato e non certo frontale, la Signoria decise di farne il simbolo della città e come tale venne collocata nel luogo col maggior valore simbolico: piazza della Signoria. A decidere di questa collocazione della statua fu una commissione appositamente nominata e composta dai migliori artisti della città, tra i quali Davide Ghirlandaio, Simone del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea Sansovino, Leonardo da Vinci, Pietro Perugino.
Detto questo torniamo al rapporto dell’artista con i Papi.
Fu probabilmente Giuliano da Sangallo a raccontare a papa Giulio II Della Rovere, eletto nel 1503, gli strabilianti successi fiorentini di Michelangelo. Papa Giulio infatti si era dedicato a un ambizioso programma di governo che intrecciava saldamente politica e arte, circondandosi dei più grandi artisti viventi (tra cui Bramante e, in seguito, Raffaello) nell’obiettivo di restituire a Roma e alla sua autorità la grandezza del passato imperiale
Chiamato a Roma nel marzo 1505, Michelangelo ottenne il compito di realizzare una sepoltura monumentale per il papa, da collocarsi nella tribuna (in via di completamento) della basilica di San Pietro. Artista e committente si accordarono in tempi relativamente brevi (appena due mesi) sul progetto e sul compenso, permettendo a Michelangelo, riscosso un consistente acconto, di dirigersi subito a Carrara per scegliere personalmente i blocchi di marmo da scolpire. Il primo progetto, noto tramite le fonti, prevedeva una colossale struttura architettonica isolata nello spazio, con una quarantina di statue, dimensionate in scala superiore al naturale, su tutte e quattro le facciate dell’architettura[
Durante la sua assenza si mise in moto a Roma una sorta di complotto ai danni di Michelangelo, mosso dalle invidie tra gli artisti della cerchia papale. La scia di popolarità che aveva anticipato l’arrivo a Roma dello scultore fiorentino doveva infatti averlo reso subito impopolare tra gli artisti al servizio di Giulio II, minacciando il favore del pontefice e la relativa disposizione dei fondi che, per quanto immensi, non erano infiniti. Pare che fu in particolare il Bramante, architetto di corte incaricato di avviare – pochi mesi dopo la stipula del contratto della tomba – il grandioso progetto di rinnovo della basilica costantiniana, a distogliere l’attenzione del papa dal progetto della sepoltura, giudicata di cattivo auspicio per una persona ancora in vita e nel pieno di ambiziosi progetti.
Fu così che nella primavera del 1506 Michelangelo, mentre tornava a Roma carico di marmi e di aspettative dopo gli estenuanti mesi di lavoro nelle cave, fece l’amara scoperta che il suo progetto mastodontico non era più al centro degli interessi del papa, accantonato in favore dell’impresa della basilica e di nuovi piani bellici contro Perugia e Bologna. Ci vollero ben tre brevi del papa inviate alla Signoria di Firenze e le continue insistenze del gonfaloniere Pier Soderini («Noi non vogliamo per te far guerra col papa e metter lo Stato nostro a risico»), perché Michelangelo prendesse infine in considerazione l’ipotesi della riconciliazione
L’occasione venne data dalla presenza del papa a Bologna, dove aveva sconfitto i Bentivoglio: qui l’artista raggiunse il pontefice il 21 novembre 1506 e, in un incontro all’interno del Palazzo D’Accursio, narrato con toni coloriti dal Condivi, ottenne l’incarico di fondere una scultura in bronzo che rappresentasse lo stesso pontefice a figura intera, seduto e in grande dimensione, da collocare al di sopra della Porta Magna di Jacopo della Quercia, nella facciata della basilica civica di San Petronio.
A luglio 1507 avvenne la fusione e il 21 febbraio 1508 l’opera venne scoperta e installata, ma non ebbe vita lunga. Poco amata per l’espressione del papa-conquistatore, più minacciosa che benevolente, fu abbattuta in una notte del 1511, durante il rovesciamento dalla città e il rientro temporaneo dei Bentivoglio
Il 10 maggio però una breve papale lo raggiunge ingiungendogli di presentarsi alla corte papale. Subito Giulio II decise di occupare l’artista con una nuova, prestigiosa impresa, la ridecorazione della volta della Cappella Sistina. A causa del processo di assestamento dei muri, si era infatti aperta, nel maggio del 1504, una crepa nel soffitto della cappella rendendola inutilizzabile per molti mesi; rinforzata con catene poste nel locale sovrastante da Bramante, la volta aveva bisogno però di essere ridipinta. L’impresa si dimostrava di proporzioni colossali ed estremamente complessa, ma avrebbe dato a Michelangelo l’occasione di dimostrare la sua capacità di superare i limiti in un’arte quale la pittura, che tutto sommato non sentiva come sua e non gli era congeniale. L’8 maggio di quell’anno l’incarico venne dunque accettato e formalizzato.
Nel contratto del primo progetto erano previsti dodici apostoli nei peducci, mentre nel campo centrale partimenti con decorazioni geometriche. Di questo progetto rimangono due disegni di Michelangelo, uno al British Museum e uno a Detroit.
Insoddisfatto, l’artista ottenne di poter ampliare il programma iconografico, raccontando la storia dell’umanità “ante legem”, cioè prima che Dio inviasse le Tavole della Legge: al posto degli Apostoli mise sette Profeti e cinque Sibille, assisi su troni fiancheggiati da pilastrini che sorreggono la cornice; quest’ultima delimita lo spazio centrale, diviso in nove scompartimenti attraverso la continuazione delle membrature architettoniche ai lati di troni; in questi scomparti sono raffigurati episodi tratti della Genesi, disposti in ordine cronologico partendo dalla parete dell’altare: Separazione della luce dalle tenebre, Creazione degli astri e delle piante, Separazione della terra dalle acque, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, Sacrificio di Noè, Diluvio universale, Ebbrezza di Noè; nei cinque scomparti che sormontano i troni lo spazio si restringe lasciando posto a Ignudi che reggono ghirlande con foglie di quercia, allusione al casato del papa cioè Della Rovere, e medaglioni bronzei con scene tratte dall’Antico Testamento; nelle lunette e nelle vele vi sono le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo, riprese dal Vangelo di Matteo; infine nei pennacchi angolari si trovano quattro scene bibliche, che si riferiscono ad altrettanti eventi miracolosi a favore del popolo eletto: Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, Punizione di Aman e il Serpente di bronzo. L’insieme è organizzato in un partito decorativo complesso, che rivela le sue indubbie capacità anche in campo architettonico, destinate a rivelarsi pienamente negli ultimi decenni della sua attività.
Nel febbraio 1513, con la morte del papa, gli eredi decisero di riprendere il progetto della tomba monumentale, con un nuovo disegno e un nuovo contratto nel maggio di quell’anno. Si può immaginare Michelangelo desideroso di riprendere lo scalpello, dopo quattro anni di estenuante lavoro in un’arte che non era la sua prediletta. La modifica più sostanziale del nuovo monumento era l’addossamento a una parete e l’eliminazione della camera mortuaria, caratteristiche che vennero mantenute fino al progetto finale. L’abbandono del monumento isolato, troppo grandioso e dispendioso per gli eredi, comportò un maggiore affollamento di statue sulle facce visibili.
Il 22 settembre 1533 incontrò a San Miniato al Tedesco Clemente VII e, secondo la tradizione, in quell’occasione si parlò per la prima volta della pittura di un Giudizio universale nella Sistina. Clemente VII gli aveva commissionato la decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina con il Giudizio universale, ma non fece in tempo a vedere nemmeno l’inizio dei lavori, perché morì pochi giorni dopo l’arrivo dell’artista a Roma.
Mentre l’artista riprendeva la Sepoltura di papa Giulio, venne eletto al soglio pontificio Paolo III, che non solo confermò l’incarico del Giudizio, ma nominò anche Michelangelo pittore, scultore e architetto del Palazzo Vaticano. I lavori alla Sistina poterono essere avviati alla fine del 1536, per proseguire fino all’autunno del 1541.
In seguito Paolo III, al pari dei suoi predecessori, fu un entusiasta committente di Michelangelo. Con il trasferimento sul Campidoglio della statua equestre di Marco Aurelio, il papa incaricò Michelangelo, nel 1538, di studiare la ristrutturazione della piazza.
Con il trasferimento sul Campidoglio della statua equestre di Marco Aurelio, simbolo dell’autorità imperiale e per estensione della continuità tra la Roma imperiale e quella papale, il papa incaricò Michelangelo, nel 1538, di studiare la ristrutturazione della piazza, centro dell’amministrazione civile romana fin dal Medioevo e in stato di degrado.
Nel 1542 il papa gli commissionò quella che rappresenta la sua ultima opera pittorica, dove ormai anziano lavorò per quasi dieci anni, in contemporanea ad altri impegni. Il papa Farnese, geloso e seccato del fatto che il luogo ove la celebrazione di Michelangelo pittore raggiungesse i suoi massimi livelli fosse dedicato ai papi Della Rovere, gli affidò la decorazione della sua cappella privata in Vaticano che prese il suo nome (Cappella Paolina). Michelangelo realizzò due affreschi, lavorando da solo con faticosa pazienza, procedendo con piccole “giornate”, fitte di interruzioni e pentimenti.
Il primo a essere realizzato, la Conversione di Saulo (1542-1545), presenta una scena inserita in un paesaggio spoglio e irreale, con compatti grovigli di figure alternati a spazi vuoti e, al centro, la luce accecante che da Dio scende su Saulo a terra; il secondo, il Martirio di san Pietro (1545-1550), ha una croce disposta in diagonale in modo da costituire l’asse di un ipotetico spazio circolare con al centro il volto del martire.
Dopo gli ultimi accordi del 1542, la tomba di Giulio II venne posta in essere nella chiesa di San Pietro in Vincoli tra il 1544 e il 1545 con le statue del Mosè, di Lia (Vita attiva) e di Rachele (Vita contemplativa) nel primo ordine.
Gli ultimi decenni di vita di Michelangelo sono caratterizzati da un progressivo abbandono della pittura e anche della scultura, esercitata ormai solo in occasione di opere di carattere privato.
Per quanto riguarda la basilica vaticana, la storia del progetto michelangiolesco è ricostruibile da una serie di documenti di cantiere, lettere, disegni, affreschi e testimonianze dei contemporanei, ma diverse informazioni sono in contrasto tra loro.
Infatti, Michelangelo non redasse mai un progetto definitivo per la basilica, preferendo procedere per parti. In ogni caso, subito dopo la morte dell’artista toscano furono pubblicate diverse stampe nel tentativo di restituire una visione complessiva del disegno originario; le incisioni di Étienne Dupérac si imposero subito come le più diffuse e accettate[
Nel 1550 Michelangelo aveva terminato gli affreschi alla Cappella Paolina e nel 1552 era stato completato il Campidoglio. In quell’anno l’artista fornì anche il disegno per la scala nel cortile del Belvedere in Vaticano. In scultura lavorò alla Pietà e in letteratura si occupa delle proprie biografie. Nel 1560 fece un disegno a Caterina de’ Medici per la tomba di Enrico II. Inoltre lo stesso anno progetto la tomba di Giangiacomo de’ Medici per il Duomo di Milano, eseguita poi da Leone Leoni. Verso il 1560 progettò anche la monumentale Porta Pia, vera e propria scenografia urbana con la fronte principale verso l’interno della città. Il portale con frontone curvilineo interrotto e inserito in un altro triangolare è fiancheggiata da paraste scanalate, mentre sul setto murario ai lati si aprono due finestre timpanate, con al di sopra altrettanti mezzanini ciechi. Dal punto di vista del linguaggio architettonico, Michelangelo manifestò uno spirito sperimentale e anticonvenzionale tanto che si è parlato di “anticlassicismo”].
Ormai vecchio, Michelangelo progettò nel 1561 una ristrutturazione della chiesa di Santa Maria degli Angeli all’interno delle Terme di Diocleziano e dell’adiacente convento dei padri certosini, avviati a partire dal 1562.
A un solo anno dalla nomina, il 18 febbraio 1564, quasi ottantanovenne, Michelangelo morì a Roma, nella sua modesta residenza di piazza Macel de’ Corvi (distrutta quando venne creato il monumento a Vittorio Emanuele II), assistito da Tommaso de’ Cavalieri. Si dice che fino a tre giorni prima avesse lavorato alla Pietà Rondanini.
CULTURA E SPETTACOLOPERSONAGGISTORIA e personaggi
Michelangelo l’artista dei papi
By RaffaeleMar 07, 2021, 07:29 am0
1907
Messaggio precedenteSpazio - Samantha Cristoforetti si prepara a tornare sull'ISS
Next PostVolley - Serie A1 Femminile: la Unet e-work Busto Arsizio vince per 3-1 la sfida contro la VBC èpiù Casalmaggiore