Lugi XVI ed il tentativo di fuga che lo condannò

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Luigi XVI- Nella notte del 20 giugno 1791 il re di Francia Luigi XVI fugge da Parigi insieme alla regina Maria Antonietta e ai figli per raggiungere la piazzaforte monarchica di Montmédy. Dopo un giorno di viaggio, la sera del 21 giugno, a Varennes, il sovrano viene riconosciuto e costretto ad interrompere il viaggio. Successivamente lui e la sua famiglia sono riaccompagnati a Parigi. La tentata fuga di Luigi XVI rappresenta un punto di svolta per la Rivoluzione francese e ha conseguenze significative per la storia della Francia.
Luigi tentò la fuga con la famiglia, nella speranza di costringere la Rivoluzione a una svolta moderata, più di quanto fosse possibile restando nella Parigi radicale, ma pecche nel piano causarono ritardi sufficienti a far sì che venissero riconosciuti e catturati a Varennes. Questo fatto, unito ai documenti dell’armoire de fer, in cui si svelavano le trattative del re con le potenze nemiche, segnò di fatto la sua fine. Luigi venne ricondotto a Parigi dove rimase nominalmente come monarca costituzionale, ma in realtà agli arresti domiciliari, fino al 1792. Detestava privatamente e non accettò mai la Costituzione del 1791, che fu costretto a ratificare: come la moglie, sperava di schiacciare la rivoluzione e restaurare l’assolutismo borbonico. Per i primi mesi della rivoluzione il sovrano rimane molto popolare tra i sudditi e pubblicamente sembra appoggiare i lavori dell’Assemblea nazionale. La maggior parte dei patrioti è convinta che egli sia ben intenzionato e stia operando principalmente negli interessi della nazione e non della monarchia.


Il piano di fuga viene pensato a partire dalla fine del 1790 ma sono alcuni eventi che convincono definitivamente il re a metterlo in atto: la morte del conte di Mirabeau, un esponente moderato che ha mantenuto relazioni segrete con l’ambiente di corte, e gli avvenimenti del 18 aprile 1791, quando una folla minacciosa impedisce ai reali di lasciare il palazzo delle Tuileries per andare al castello di Saint-Cloud a celebrare le festività pasquali. Vista la situazione Luigi XVI autorizza il proprio entourage e quello della regina Maria Antonietta ad organizzare nei minimi dettagli la fuga. Tra gli organizzatori del piano vi sono: il conte svedese Hans Alex de Fersen, l’amministratore del tesoro reale Joseph Duruey, il vescovo di Pamiers Joseph-Mathieu d’Agoult, il generale De Bouillè e il barone di Breteuil.
Il disegno consiste nel raggiungere la piazzaforte monarchica di Montmédy da dove il sovrano avrebbe potuto guidare la controrivoluzione. Il convoglio dei fuggitivi viene fatto passare per quello della baronessa di Korff, vedova di un colonnello russo che si sta recando a Francoforte con due bambini, una governante, un maggiordomo e tre domestici. Alle ore 22,30 del 20 giugno 1791 viene attuato il piano di fuga della famiglia reale. Il gruppo dei fuggiaschi è composto da: Luigi XVI, Maria Antonietta, i due principini, la governante Louise Elisabeth de Croy, Madame Elisabeth sorella del re e tre domestici. Ad aiutare il gruppo ad abbandonare il palazzo delle Tuileries è il conte di Fersen e prima di uscire dalla residenza Luigi XVI lascia nella sua camera un testo di 16 pagine scritto di suo pugno, intitolato “Dichiarazione a tutti i Francesi“. Con tale documento egli giustifica la sua partenza da Parigi: “Francesi, e soprattutto voi Parigini, abitanti di una città che gli antenati di Sua Maestà si sono compiaciuti di chiamare la buona città di Parigi, diffidate dei suggestioni e delle menzogne dei vostri falsi amici, tornate al vostro Re, egli sarà sempre il vostro padre, il vostro migliore amico. Che piacere che avrebbe di dimenticare tutte queste ingiurie personali e di ritrovarsi in mezzo a voi quando una Costituzione che egli avrà accettato liberamente farà sì che la nostra santa religione sia rispettata, che il governo sia stabilizzato in modo solido e utile, che i beni e lo stato di ciascuno non siano più turbati, che le leggi non siano più violate impunemente, e infine che la libertà sia posta su basi ferme e solide. A Parigi, li 20 giugno 1791, Luigi”.
Dopo un giorno di viaggio i fuggitivi arrivano a Varennes, una piccola cittadina situata a nord-est della Francia. Qui un semplice mastro di stazione di cambio di nome Drouet riesce a smascherare la vera identità di Luigi XVI. Le autorità locali, incredule di trovarsi di fronte il proprio sovrano, fanno alloggiare la famiglia reale in una locanda e dopo una nottata insonne decidono di interrompere il loro viaggio. Alle 7 del 22 giugno arrivano a Varennes anche alcuni commissari dell’Assemblea nazionale che prendono in consegna i fuggiaschi e li riconducono a Parigi. La tentata fuga del re rappresenta un punto di svolta per la storia della rivoluzione e della monarchia francese ed ha, sin dall’immediato, un impatto enorme sugli eventi che seguiranno.
I parigini rimangono sgomenti quando apprendono la notizia; per molti l’evento rappresenta un trauma poiché crolla improvvisamente la figura centrale del nuovo apparato statale, il garante degli equilibri di potere. La delusione e la rabbia si diffondono in tutto il paese. L’Assemblea nazionale cerca disperatamente di salvare il salvabile diffondendo la notizia che il re, in realtà, sia stato rapito da agenti controrivoluzionari. Una bugia grossolana e di facciata alla quale nessuno crede.
Quando la berlina reale rientra nella capitale trova ad accoglierla una folla immensa e ammutolita; gli uomini al passaggio della carrozza tengono il proprio cappello in testa. Poco prima, infatti, è stato diramato un ordine perentorio: “Chi acclamerà il re sarà bastonato; chi lo insulterà sarà impiccato”. Luigi XVI, però, non perde la calma neanche in questa occasione, tanto che, come annota uno dei commissari che lo scortano: “Egli era flemmatico e tranquillo come se nulla fosse stato; sembrava che tornasse da una partita di caccia”.
l 25 luglio 1792, Carlo Guglielmo Ferdinando, duca di Brunswick-Luneburg, comandante delle forze prussiane, pubblicò il cosiddetto Proclama di Brunswick, nel quale minacciava gli abitanti di Parigi di gravi sanzioni se fosse stato recato danno alla famiglia reale. Il manifesto venne preso come prova definitiva di una collusione tra Luigi e le potenze straniere in una cospirazione contro il suo stesso paese per recuperare i suoi antichi poteri. Luigi venne arrestato ufficialmente il 13 agosto 1792, dopo essere stato deposto due giorni prima nel corso di una feroce battaglia sulle scale dello stesso palazzo. Il 21 settembre 1792, l’Assemblea Nazionale dichiarò che la Francia era una repubblica; il deposto Luigi XVI da allora venne chiamato ufficialmente “cittadino Luigi Capeto”. Il 5 dicembre la Convenzione nazionale decise di processare il sovrano e il 10 venne presentato un Atto enunciativo dei crimini di Luigi, tra i quali l’alto tradimento a causa dei documenti del cosiddetto armadio di ferro. Contrariamente ai regolari processi svoltisi alla Conciergerie, venne deciso di svolgere il processo a Luigi XVI presso l’aula del parlamento del Palazzo delle Tuileries, dinnanzi ai deputati dell’Assemblea nazionale costituente, i quali ebbero il compito di decidere sulla sorte dell’ex sovrano una volta terminato il processo. La prima apparizione di Luigi davanti all’Assemblea avvenne il 21 dicembre. Il sovrano decise di affidare l’organizzazione della difesa a Tronchet e Malesherbes (poi ghigliottinato), i quali individuarono nel giovane Raymond de Sèze l’avvocato giusto per l’arringa, pronunciata il 26. Dal 14 gennaio i deputati furono chiamati a esprimersi sulla colpevolezza dell’imputato, sull’opportunità di rivolgersi al giudizio popolare e sull’eventuale pena da infliggere al re.
Il primo punto non fu soggetto a divisioni: la colpevolezza fu votata quasi all’unanimità. Anche circa il ricorso al popolo venne subito raggiunta la maggioranza. 423 deputati si opposero, mentre 286 votarono a favore: il timore era che il popolo, in gran parte ancora intimamente monarchico e sconvolto in maniera crescente dalla persecuzione inflitta a chi rimaneva fedele alla Chiesa di Roma (pochi mesi dopo sarebbe scoppiata la consistente rivolta realista e cattolica della Vandea), non emettesse un giudizio unanime contro il sovrano. Il dibattito sulla pena fu più lungo e combattuto, dal momento che il primo scrutinio rivelò un grande equilibrio tra i sostenitori della pena di morte (366) e coloro che espressero parere negativo (355). La Gironda, favorevole alla sentenza capitale, ne chiedeva tuttavia il rinvio. Lanjuinais propose che il verdetto fosse approvato solo con un maggioranza dei due terzi, ma Danton fece bocciare la richiesta. L’enciclopedista Nicolas de Condorcet votò per la colpevolezza ma contro la pena capitale, e questo lo fece entrare nel novero dei nemici dei montagnardi. Sino all’ultimo, Luigi XVI pensò che nessuno avrebbe avuto la forza di ordinare la sua condanna a morte, che invece ottenne una maggioranza sufficiente il 17 gennaio 1793, con 387 voti favorevoli e 334 contrari. Raggiunto l’accordo sulla pena, restava da deciderne l’eventuale rinvio, bocciato il 19 gennaio con 383 voti contro 310.
Il giorno della decapitazione, Luigi XVI, dopo essere stato tenuto prigioniero nella Torre del Tempio, venne portato sul luogo delle esecuzioni in carrozza e non sulla carretta dei condannati, questo fu l’unico privilegio che gli venne concesso per evitare le umiliazioni della folla ma anche per ragioni di sicurezza; inoltre, vestì di bianco e teneva in mano il libro dei Salmi. Mostrando un coraggio esemplare, degno d’un re, venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793 alle 10:10 in Piazza della Rivoluzione, l’attuale Place de la Concorde. La condanna fu eseguita dal boia Charles-Henri Sanson. Morì come cittadino Luigi Capeto e le sue ultime parole furono: «Signori, sono innocente di tutto ciò di cui vengo incolpato. Auguro che il mio sangue possa consolidare la felicità dei francesi.» Secondo altre testimonianze disse anche: «Perdono coloro che hanno causato la mia morte e spero che il mio sangue non debba mai ricadere sulla Francia.»
L’esecuzione non risultò perfetta e si trasformò in uno “spettacolo” molto più raccapricciante del solito : il boia Sanson, forse preso dalla fretta, posizionò in modo errato il condannato, e quando la lama cadde non recise completamente il collo e fu quindi necessario ripetere il procedimento. Un assistente del boia mise all’asta i capelli e parte dei vestiti del re, e molti ne raccolsero il sangue. A mantenere l’ordine durante l’esecuzione fu un consistente assembramento di soldati rivoluzionari.
Alla sua morte, il figlio di soli otto anni, Luigi-Carlo di Francia, divenne automaticamente, per i monarchici e gli stati internazionali, il re de jure Luigi XVII di Francia. La moglie, Maria Antonietta, lo seguì sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793. Per l’esecuzione fu seguito il medesimo cerimoniale utilizzato per il marito. Alla regina fu vietato di indossare abiti vedovili durante il tragitto dalle prigioni alla ghigliottina, per cui al posto dell’abito nero che portava dal giorno della morte del re, indossò un vestito bianco, l’antico colore del lutto per le regine di Francia. I resti dei sovrani, come quelli di altri decapitati, furono cosparsi di calce viva e tumulati in una fossa comune del vecchio Cimitero della Madeleine. Il fratello, Luigi XVIII, una volta diventato re, nel gennaio 1815 fece riesumare i resti di Luigi XVI seppellendoli poi nella Basilica di Saint-Denis, assieme a quelli della moglie Maria Antonietta.
Il 21 gennaio 1815, giorno in cui cadeva il ventiduesimo anniversario dalla morte del re, avvenne una solenne processione sino all’abbazia di Saint-Denis, dove Luigi XVI e Maria Antonietta furono inumati, e dove venne eretto un sepolcro; su parte del cimitero della Madeleine Luigi XVIII fece costruire una cappella espiatoria, accanto alla chiesa della Madeleine. In Francia si sviluppò in seguito un certo culto del “re martire” e della “regina martire”.
Sia Luigi XVI, e di riflesso, seppur non ufficialmente, Maria Antonietta, che la sorella del re, Madame Elisabeth, furono considerati “martiri” da papa Pio VI in due allocuzioni; secondo cui il pontefice il re fu decapitato, come Maria Stuarda, a causa della volontà di protestanti anticattolici che diffusero il sentimento antimonarchico tramite gli scritti antireligiosi illuministi, e in spregio alla religione, non solo per motivi politici: “E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo?”; nel caso del re avvenne a Roma il 17 giugno 1793, con il discorso Quare lacrymae.
Luigi XVI viene descritto come un uomo debole, inadatto al trono o poco capace di prendere decisioni difficili. Sulla psicologia di Luigi XVI sono state fatte diverse osservazioni, per esempio che fosse affetto da una nevrosi ossessiva dato la sua mania di annotare ogni minima cosa (anche gli animali – rondini, cani, ecc. – uccisi per sbaglio durante le sue predilette battute di caccia) o la passione sullo smontare e rimontare orologi. Si è detto anche che soffrisse di criptoforia, una sorta di psicosi tipica di chi nasconde al proprio interno la “personalità fantasma”; essa può essere, in un particolare senso psicoanalitico, di un’altra persona, spesso un fratello o una sorella. Nel caso di Luigi, probabilmente, fu quella del fratello maggiore, il duca di Borgogna, morto prima di lui, facendolo divenire erede al trono come Delfino di Francia: infatti era un destino che, da giovane, Luigi pensava forse di non dover mai affrontare e che gli pesò molto, imponendosi appunto di dover sostituire il fratello.




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