Ronin – Nel 1702, quarantasette ronin, in precedenza al servizio di Asano Naganori, assaltano la dimora di Kira Yoshinaka, e lo uccidono per vendicare il loro signore. Il loro sfoggio degli ideali del bushidō diventa una leggenda nazionale Una storia tutta da raccontare.
L’episodio storico noto in occidente come la saga dei 47 ronin è tra quelli che hanno maggiormente influenzato il costume giapponese ma anche l’opinione pubblica occidentale ed alcuni di voi avranno avuto modo di vedere il film del 2013 diretto da Carl Rinsch e con protagonisti Keanu Reeves, Cary-Hiroyuki Tagawa, Hiroyuki Sanada e Rinko Kikuchi.
L’onore, nel Giappone del XVIII secolo, aveva un significato molto più nobile, più prossimo al sacrificio che non agli italici esempi di cui sopra, lontano anni luce dalla nostra mentalità moderna. E questa storia, parte proprio dal Giappone del XVIII secolo.
All’inizio in epoca Edo (1600-1868 circa) era prescritto il sistema detto Sankin Kotai: i feudatari di provincia prestavano periodicamente servizio nella capitale Edo presso la corte dello shogun. I loro incarichi prevedevano la stretta osservanza della rigida etichetta di corte, essi venivano di conseguenza affidati a funzionari esperti che avevano l’incarico di addestrarli e seguirli incessantemente per evitare infrazioni dell’e procedure.
Kira Yoshinaka ricevette disposizione di curare l’addestramento di Asano, appena arrivato dalla provincia di Harima (la stessa da cui proveniva Miyamoto Musashi) e di un altro nobile nelle sue stesse condizioni, il signore Kamei, di Tsuwano
In attesa di una visita da Kyoto – capitale dell’ovest – di un inviato ufficiale dell’imperatore in visita allo shogun, i due nobili dovevano essere istruiti su alcuni cerimoniali legati all’avvenimento. Ben presto Kira fece comprendere ad entrambi che si aspettava di essere generosamente ricompensato per i suoi servizi. I due rifiutarono sdegnati: era inaccettabile che un nobile samurai dovesse pagare un sottoposto per ottenere quanto era suo dovere fare.
Ma per evitare guai peggiori i dignitari al seguito di Kamei diedero di nascosto, dopo aver raccomandato la calma al loro signore che aveva giurato di punire l’affronto con la morte, una generosa mancia a Kira. Immediatamente questi cominciò ad infierire su Asano mostrando invece ogni premura verso Kamei.
Al termine di una lunga serie di provocazioni, a cui Asano aveva nonostante tutto resistito, Kira gli ordinò di allacciargli una scarpa che si era slacciata. Anche a questo Asano seppe resistere, ma quando Kira si dichiarò insoddisfatto del modo in cui era stata allacciata la scarpa, trattandolo da rude bifolco, perse definitivamente la calma. Estrasse il wakizashi, che tutti i dignitari portavano alla cintura mentre era proibito il porto della spada lunga, e si lanciò contro Kira con l’intenzione di ucciderlo.
Asano mancò il colpo per una serie di circostanze: l’impaccio dei vestiti di corte, progettati appositamente per impedire movimenti veloci e quindi attentati da parte di cortigiani e dignitari ma anche la resistenza opposta alla lama dall’eboshi, (l’alto cappello cerimoniale indossato a corte) e per l’intervento dell’ufficiale Kajikawa Yosobei che si gettò su Asano trattenendolo e dando tempo a Kira di mettersi in salvo.
Kira rimase ferito al volto e – sembra – deturpato dalla lama ma senza che la sua vita rimanesse in pericolo. Ma il crimine commesso, una aggressione a mano armata all’interno del castello di Edo (l’aggressione avvenne nel Grande Corridoio dei Pini, Matsu no Oroka) era comunque il più grave che un nobile potesse commettere.
Asano venne provvisoriamente messo agli arresti sotto la tutela del nobile Tamura Ukiyo no Daibu, ma la sera stessa gli venne recapitato l’ordine di darsi immediatamente la morte compiendo seppuku.
Pochi giorni dopo dei messaggeri raggiunsero il castello di Ako in Harima, portando gli ordini dello shogun: la casata di Ako veniva dispersa, e tutti i samurai del seguito dovevano diventare ronin, uomini onda senza padrone, abbandonando al più presto il castello nelle mani degli inviati dello shogun. Ad eseguire gli ordini dovette provvedere il vassallo principale del feudo: Oishi Kuranosuke.
Terminato il suo compito, terminava anche la sua vita di fedele vassallo: ormai era anche lui nullaltro che un ronin.
Tutto questo accadeva nelll’anno 1701 (le fonti più autorevoli indicano il 14. giorno del terzo mese). Dovevano trascorrere quasi 2 anni prima che Oishi Kuranosuke, alla testa di un drappello di samurai, vendicasse sanguinosamente la morte ingloriosa di Asano. La lunga attesa viene da una parte giustificata con la necessità di dissipare ogni sospetto ed allentare la vigilanza di Kira e dei suoi protettori, che lo avevano immediatamente messo sotto stretta sorveglianza.
D’altra parte è stata anche criticata da alcuni, essendo contrario all’etica samurai il ricorso a complicati sotterfugi: se veramente i samurai del feudo di Asano avevano intenzione di vendicare il loro signore, un gesto non solo comprensibile ma considerato anche doveroso dall’etica samurai eppure formalmente proibito, avrebbero dovuto farlo immediatamente. Con un assalto diretto privo di alcun indugio, e senza una dettagliata preparazione che lasciasse trasparire il desiderio di cautelarsi contro ogni inconveniente: il samurai dovrebbe affrontare la battaglia senza alcuna esitazione e non tenendo in conto le sue possibilità di riuscita.
Probabilmente queste critiche non tengono conto del fatto che Kira continuava a risiedere nella capitale Edo mentre il feudo – che poteva contare presumibilmente su non più di 300 samurai in assetto di guerra – si trovava a diversi giorni di distanza. Era inoltre politica del governo Tokugawa, all’epoca fortemente consolidato essendo al potere esattamente da un secolo – a partire dalla grande battaglia di Seikigahara – di rendere difficoltose le vie di comunicazione impedendo sia il consolidarsi di forti alleanze in grado di impensierire il potere centrale che il rapido spostamento di uomini armati. Non erano infatti consentiti veicoli a ruote ed era vietata la costruzione di ponti sui numerosi corsi d’acqua.
Inoltre la fitta rete di informatori e di barriere alle frontiere presidiate dai Fudai daimyo, dislocati dallo shogun col compito di vigilare gli infidi Tozama daimyo locali, avrebbe consentito di bloccare sul nascere ogni tentativo dei samurai di Harima di organizzare una spedizione punitiva ad Edo.
Va tenuto conto inoltre della difficoltà di ottenere a distanza informazioni corrette, considerando l’immeediata esecuzione della sentenza contro Asano ed il rigoroso segreto mantenuto sull’effettivo svolgimento dei fatti. I
nfine, e forse questo dovrebbe essere l’argomento decisivo, gli inviati dello shogun organizzarono l’immediato scioglimento del feudo e la dispersione dei dipendenti civili e dei samurai del seguito, annullando di fatto ogni possibilità di reazione.
La scelta di Oishi Kuranosuke fu quindi obbligata: lasciar trascorrere del tempo per allentare la vigilanza, e preparare nell’ombra, in gran segreto, la vendetta. Il gruppo dei samurai ai suoi ordini si disperse: chi si diede alla vita randagia del ronin, chi abbandonò le due spade per dedicarsi a piccole attività di commercio od artigianato per guadagnarsi da vivere.
Oishi divorziò senza apparente motivo dalla fedele moglie. Si trasferì poi a Kyoto – la capitale dell’ovest ove risiedeva l’imperatore, quindi a notevole distanza da Edo.
Oishi si diede a Kyoto ad una vita sregolata, frequentando giorno e notte i quartieri di piacere. Il suo tenore di vita era talmente dissoluto che i pochi samurai rimastigli a fianco si tassarono per acquistargli il contratto di una geisha nella speranza che questo contribuisse a calmarlo.
Apparentemente non ci fu alcun effetto positivo. Un giorno, mentre si trascinava ubriaco per le vie di Kyoto, venne affrontato da un samurai rimasto ignoto del feudo di Satsuma, che gli rinfacciò pesantemente la sua codardia prendendolo prima a male parole e poi mettendogli le mani addosso. Nessuna reazione da parte di Oishi, che rimase inerte e malconcio nella polvere della strada mentre l’ignoto gli sputava addosso: un comportamento codardo inconcepibile in un uomo d’armi.
Questo episodio fece sensazione: Oishi Kuranosuke, e con lui tutto il gruppo dei fedeli di Asano, doveva avere definitivamente rinunciato ad ogni proposito di vendetta, e non essere più comunque in grado di rendersi pericoloso. In effetti non era più nemmeno un samurai, essendosi pubblicamente disonorato. Una ulteriore prova che Kira non correva più rischi. Non era così. Lo si sarebbe scoperto la notte del 14. giorno del 12. mese del 15. anno Genroku. Corrisponde nel nostro calendario al 30 gennaio 1703
Diverse circostanze favorevoli erano presenti contemporaneamente in quella fredda notte innevata. Il gruppo dei fedelissimi si era trasferito alla spicciolata a Edo, rimanendovi nascosto finché non fosse arrivato il momento della chiamata. Ognuno aveva conservato le armi personali, ma procurandosi nel frattempo altro materiale, evitando quando possibile di acquistarlo per non attirare l’attenzione.
Oishi aveva stabilito che il gruppo dopo essersi dato convegno in un punto prestabilito si sarebbe recato compatto verso la residenza di Kira, ancora sorvegliata e presidiata da uomini armati, per quanto il livello di guardia fosse ormai notevolmente calato.
I cospiratori avevano una pianta accurata della residenza: uno dei ronin era arrivato al punto di sposare la figlia dell’architetto che l’aveva progettata, pur di avere accesso alle informazioni.
Erano divisi in due gruppi, che comunicavano attraverso segnali emessi da fischietti. Il gruppo più numeroso si schierò davanti alla porta principale, il secondo, comandato da Yoshikane Oishi che aveva all’epoca 16 anni, davanti a quella posteriore. Il segnale di attacco venne dato da Oishi con un tamburo.
Il primo gruppo aveva l’incarico di sfondare la porta, sembra però che qui il maglio fosse manovrato dal giovane Ohotaka Genjo e non da Horibe, forse posizionato sul retro. Contemporaneamente altri penetravano oltre il muro utilizzando le scale. Il grosso del gruppo attendeva la forzatura delle porte per penetrare in massa nell’edificio. Nell’attimo in cui venivano vibrati i primi colpi di maglio dei messaggeri partivano verso le dimore vicine per avvertire di quanto stava succedendo.
Uno dei samurai, salito sul tetto, annunciava intanto ad alta voce l’azione a chiunque fosse in ascolto, precisando che si trattava di un katauchi, la doverosa vendetta da parte di un gruppo di samurai intenzionato a vendicare il proprio onore oltraggiato, e non di una volgare rapina. Inoltre ognuno dei ronin portava indosso uno scritto in cui venivano ricapitolate le loro ragioni e dei cartelli vennero affissi per le strade.
Nessuno dei vicini intervenne o avvertì le autorità. Si dice che in una delle dimore adiacenti fosse presente un folto gruppo di guardia incaricato di tutelare la sicurezza di Kira, ma che il loro comandante abbia solidarizzato con gli aggressori ordinando ai suoi uomini di ignorare le grida ed il tumulto che provenivano dalla casa assaltata. I ronin, pesantemente armati e perfettamente organizzati, ebbero facilmente ragione di ogni resistenza: uccisero 16 delle guardie del corpo di Kira e ne ferirono 22, senza praticamente subire perdite. I superstiti, gli inservienti e le donne di servizio vennero rinchiusi e tenuti sotto controllo.
Ben presto i due gruppi si ricongiunsero all’interno della casa, di cui avevano ormai il pieno controllo. Dopo lunghe ricerche venne finalmente trovato nascosto in una legnaia, assieme ad alcune donne e a due uomini armati che tentarono una reazione ma vennero presto abbattuti.
L’uomo più anziano che avevano invano cercato di proteggere venne facilmente disarmato del wakizashi. Nessuno era certo della sua identità, l’uomo rifiutava di dichiararsi, venne comunque fatto il segnale convenuto per il ritrovamento di Kira. Oishi si convinse della sua identita illuminandone il volto con una lanterna: aveva ancora ben visibile la cicatrice del colpo infertogli da Asano.
Rivolgendosi a lui rispettosamente, gli rese note la sua identità e le motivazioni dell’assalto, ossia la vendetta per la morte oltraggiosa causata al signore del feudo.di Ako e la susseguente rovina della casata.
Propose poi a Kira di darsi onorevolmente la morte, utilizzando la stessa lama con cui aveva compiuto seppuku Asano. Sembra che Kira, in preda al panico, non sia stato in grado di rispondere. A quel punto Oishi lo uccise immediatamente, per poi decapitarlo.
Rimaneva ancora da compiere una parte molto importante del rituale della vendetta: recare la testa di Kira sulla tomba di Asano, nel quartiere di Sengakuji presso l’omonimo tempio.
Il gruppo riprese quindi l’ordine di marcia ed abbandonò la casa, avendo cura di spegnere tutti gli incendi sviluppatisi durante la breve ma cruente battaglia, per evitare che il fuoco si estendesse. Lungo il percorso furono loro tributate molte manifestazioni di stima. Passando davanti alla dimora del signore Matsudaira vennero fermati da un posto di blocco.
Dapprima allarmati, ebbero la piacevole sorpresa di essere invitati dal corpo di guardia a riposarsi per un poco e ad accettare di rifocillarsi prima di riprendere il cammino.
Mentre attraversava il ponte di Ryogoku il reparto trovò invece la strada sbarrata da un samurai a cavallo, con lo stemma dello shogun sull’uniforme.
Il rispetto per l’autorità dello shogun era tale che un solo uomo avrebbe potuto arrestare senza dover fare uso della forza l’intero gruppo.
L’ignoto samurai si dimostrò però solidale con i ronin: diede loro ordine di passare e di proseguire il cammino per le strade che lui avrebbe indicato, dove non avrebbero trovato altri ostacoli.
Arrivati finalmente a destinazione i 47 ronin lavarono accuratamente la testa di Kira presso un pozzo per poi deporla sulla tomba del loro signore.
Terminata la cruenta cerimonia la testa venne consegnata ai sacerdoti, che in seguito la resero ai familiari.
I samurai lasciarono al tempio anche una offerta in denaro, consistente in tutto quello che era loro rimasto. Sapevano infatti che non ne avrebbero più avuto bisogno.
Avevano già deciso da tempo che si sarebbero consegnati alle autorità attendendo di essere giudicati. Vennero divisi in quattro gruppi, affidati alla custodia di altrettanti nobili.
La condanna di Asano oltre che praticamente immediata era stata messa in esecuzione il giorno stesso. La casata di Asano era entrata in possesso del dominio di Ako nel 1648 con Asano Naganao, che vi costruì il castello demolendo per ordine dello shogun quello precedente. Venne privata del dominio nel 1701 nei giorni successivi alla morte di Asano Naganori.
La sentenza a carico dei 47 ronin venne invece attesa per qualche tempo. Nessun possibile dubbio poteva sorgere sulla loro inevitabile condanna a morte, ma il problema più rilevante era se dovessero essere giustiziati come comuni criminali o se venisse loro concesso di compiere seppuku, ottenendo così una morte onorevole.
Numerose mozioni a sostegno della loro causa arrivarono al governo dello shogun Tsunayoshi Tokugawa, seguendo vie più o meno ufficiali. Lo shogun decise infine di concedere loro il seppuku.
Venne inoltre concessa la grazia ad uno di loro, perché la memoria di quanto successo non andasse perduta.
Le opinioni su chi dovesse essere il prescelto variavano: ci furono esortazioni a graziare i più giovani come Yoshikane Oishi od i più anziani come Horibe Yasuhei.
Sembra accertato però che il prescelto fu l’ashigaru (samurai di basso rango, destinato a combattere nelle file della fanteria) Kichiemon Terasaka. Forse immediatamente prima dell’attacco, forse dopo la cerimonia a Sengakuji come fa sospettare la stampa – che comunque non costituisce prova – aveva ricevuto l’ordine di recarsi quanto più rapidamente possibile nel feudo di Ako per dare la notizia che vendetta era compiuta.
Terasaka visse fino all’età di 78 anni, 83 secondo altri, e chiese che dopo la morte le sue ceneri raggiungessero quelle dei compagni.
Gli altri ronin compirono seppuku nel 16. anno Genroku (1703), nel quarto giorno del secondo mese. Corrisponde nel nostro calendario al 20 marzo.
La moglie di Onodera Junai Hidetomo volle raggiungere lo sposo nella morte compiendo jigai, il suicidio rituale riservato alle donne samurai.
Le donne utilizzavano il kwaiken, il corto pugnale a loro riservato, per tagliarsi la gola. Le gambe venivano legate per evitare di assumere posizioni scomposte nell’agonia.
Inevitabile ricordare che questo era l’uso anche presso i romani: Giulio Cesare quando comprese di non poter sfuggire ai pugnali dei congiurati si preoccupò soprattutto di non cadere scompostamente, coprendosi con la toga.
Nel suo poema di addio Onodera Junai, che aveva 61 anni ma fu uno dei più valorosi, uccidendo 2 nemici, scrisse: Diventando vecchio si attende con ansia il giorno della fioritura; Com’e’ difficile essere testimoni dell’anno che finisce.
Il sacrificio dei ronin, oltre a ristabilire l’onore del feudo di Ako, ebbe anche non trascurabili effetti pratici.
Molti dei samurai allo sbando trovarono un nuovo impiego presso altri feudatari, dal momento che l’onta che era ricaduta sul nome degli Asano e di quanti li avevano serviti era stata lavata.
Trascorso un ragionevole lasso di tempo lo shogun stabilì infine di riassegnare il feudo a Nagahiro Asano, fratello minore del tragico protagonista della vicenda, sia pure limitandone notevolmente il territorio per non ledere i diritti acquisiti nel frattempo da coloro cui era stato assegnato.
Le tombe dei 47 fedeli ronin si trovano nel tempio di Sengakuji. Avrebbero dovuto in realtà essere solamente 46, poiché sappiamo che Terasaka ricevette il compito di sopravvivere per testimoniare al mondo di quanto avevano fatto i vassalli del signore di Asano, e non è chiaro dove si trovino le sue ceneri, ma in realtà sono proprio 47.nLe tombe dei 47 fedeli ronin si trovano nel tempio di Sengakuji. Avrebbero dovuto in realtà essere solamente 46, poiché sappiamo che Terasaka ricevette il compito di sopravvivere per testimoniare al mondo di quanto avevano fatto i vassalli del signore di Asano, e non è chiaro dove si trovino le sue ceneri, ma in realtà sono proprio 47.