La fuga di Napoleone dall’Isola d’Elba

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Napoleone – Napoleone lasciò l’isola d’Elba il 26 febbraio 1815, alle sette di sera. In realtà non si trattò di una fuga ma di una partenza ben preparata da tempo nei minimi dettagli.
Ad accelerare la scelta di Napoleone di tentare la carta del rientro in Francia fu, soprattutto, la notizia che, al Congresso di Vienna, le potenze vincitrici discutevano di allontanarlo dall’Elba, troppo vicina al continente; tra le ipotesi prese in considerazione c’erano le Azzorre o l’isola di Sant’Elena nell’oceano Atlantico.

Fleury de Chaboulon

In febbraio giunse sull’isola Fleury de Chaboulon, ex prefetto di Reims, su incarico dell’ex segretario di stato di Napoleone, Maret, per metterlo al corrente di un complotto per far sollevare contro Luigi XVIII diversi generali nel nord della Francia. Forte di queste notizie, Napoleone si decise e, il 26 febbraio, salpò dall’Elba accompagnato da un migliaio di soldati, quattro cannoni e dai generali Antoine Drouot e Pierre Cambronne, sbarcando il 1º marzo nei dintorni di Cannes.
Fu un susseguirsi di eventi: i primi di febbraio infatti, approfittando di un attracco forzoso dell’imbarcazione Inconstant (un bastimento a due alberi costruito nei cantieri di Livorno nel 1810 lungo 30 metri e con 14 cannoni) che si era arenata nei pressi della rada di Portoferraio, Napoleone, con la scusa di doverla far riparare, la incominciò a riarmare di cannoni e la caricò con patate e acquavite e tutto ciò che poteva servirgli per il viaggio.

La notte del 25 febbraio

La notte del 25 febbraio, fu molto concitata e Napoleone preparò tutte le cose da portare via; poi, approfittando dello scirocco e della partenza del suo “controllore” inglese Campbell per Firenze, il 26 febbraio si imbarcò sul brigantino e partì con un piccolo esercito composto da 673 uomini, fra cui molti giovani delle famiglie elbane più in vista.
Napoleone non intendeva certo rimanere all’Isola d’Elba a vita. Era stato molto cauto mascherando con abilità il suo disegno di ritornare protagonista in Europa. La maggior parte dei suoi nemici era convinto che l’imperatore avesse ormai abbandonato sogni di gloria.
MA verso la fine dell’anno la frustrazione di Napoleone aumentava. La rendita promessa con il Trattato di Fontainebleau non arrivava e le sue casse erano vuote. Intanto la spartizione del Continente al Congresso di Vienna attraversa una fase delicata e fra gli alleati c’erano dissensi e tensioni e il francese vi intravedeva l’occasione per spezzare l’alleanza fra i suoi nemici e compiere il proprio destino.

Re Luigi XVIII

Re Luigi XVIII soprannominato si era fatto dei nemici. Appena rientrato dall’esilio in Inghilterra volle cancellare due decenni di storia.
Rinunciò con il trattato di Parigi ai confini naturali francesi, non senza indignazione dei patrioti. Ristabilì privilegi fra i i nobili e gli emigrati, spogliò la Legion d’Onore dalle sue prerogative concedendola a chi la voleva, soppresse pensioni e gratificazioni ai mutilati e veterani creando così un malcontento nel paese difficile da contenere.
Così Fleury de Chaboulon, fervente bonapartista – “l’intrepido sottoprefetto” – giunse all’Elba da Parigi travestito da marinaio. Ebbe un incontro con l’Imperatore confidandogli che il malcontento generale presente in Francia era al colmo e l’imperatore era molto rimpianto.
Il 15 febbraio il colonello Campbell aveva lasciato Portoferraio per andare a trovare a Livorno la sua amante Bartoli.

Ecco quindi la ricostruzione della fuga

Napoleone decide che il momento è propizio …. ordina di apprestare l’Incostant ormai riparato dopo essersi arenato a Bagnaia e di dipingerlo di un altro colore come un brick inglese e di approvigionarlo di viveri per 3 mesi. Incarica Pons di noleggiare due grossi bastimenti a Rio. Si procura altre barche.
Subito dopo diversi corrieri vengono inviati nei villaggi dell’isola per avvertire le autorità di non lasciar partire nessuno: un embargo imposto su tutti i bastimenti. Nessuna concessione di passaporti, nessun rilascio di biglietti di spedizioni, i cannoni pronti ad affondare qualunque imbarcazione si muova, le truppe consegnate nelle caserme …
L’imperatore, che aveva anche ricevuto notizie decisive da Murat sul Congresso di Vienna dice a Drouot: “Sono rimpianto e richiesto da tutta la Francia. Fra pochi giorni lascerò l’isola per obbedire ai voti della Nazione”.
La sera del 25 febbraio si dà una gran festa a teatro. La madre Letizia viene informata del progetto di fuga e gli offre i risparmi di cui può disporre. “Il cielo non permetterà che voi moriate qui di veleno, né in un giaciglio indegno di voi, ma solo con la spada in mano. Andate dunque incontro al vostro destino. Voi non siete fatto per morire su quest’isola”.
Tutto è pronto. La mattina del 26 febbraio, domenica, al ricevimento mattutino c’è più gente del consueto. La notizia della partenza ormai si è diffusa in città e la commozione dei presenti è grande. L’imperatore compare con la leggendaria uniforme verde di Colonello della Guardia e la sua redingote grigia.

NAPOLEONE ANNUNCIA LA FUGA

“Signori, vi annuncio la mia partenza. Vi lascerò questa sera stessa. La Francia mi chiama, i Borboni la portano alla rovina. Diverse sono le Nazioni d’Europa che saranno felici di vedermi tornare”. “Ciononostante, Sire, i vostri sudditi vedranno forse il loro dolore attenuarsi al pensiero che li abbandonate per riprendere la strada della gloria”, risponde il Presidente del Tribunale. Poi, rientrato a Palazzo, riceve gli ufficiali di questi corpi. Letizia e Paolina lo affiancano, insieme a Drouot e Bertrand.
“Signori, vi voglio ringraziare per il vostro affetto e per la vostra fedeltà. Generale Lapi, la nomino Governatore dell’Isola. Se venisse attaccata, difendetela fino alla morte. Amici miei, non vi dimenticherò mai! Vi affido ciò che ho di più prezioso: mia madre e mia sorella. È questa la miglior prova di tutta la fiducia che ripongo in voi!”.
Le lacrime scorrono sulle guance di Paolina. Letizia invece si irrigidisce, nel ruolo di Madre Imperatrice. Napoleone, lui, lotta per rimanere sereno, facendo parlare forse più la dignità di un padre che non quella di un re. In fin dei conti è molto più commosso di quanto non voglia dare a vedere.
Alle 17 I tamburi rullano per tutta la città. Una folla triste accompagna i militari giù fino al porto. Sono finite le parate e le feste militari. Finite le danze delle signorine con i bei sottotenenti. E terminati pure, almeno per l’alta borghesia, le cene dall’Imperatore e i balli della Principessa. Ed è pure finito quel commercio prospero, ricco da ormai dieci mesi con gli scudi dei visitatori. Alcune scialuppe fanno la spola fra le imbarcazioni e il porto, trasportando ad ogni viaggio un carico di soldati. La maggior parte di loro esprime un’allegria festosa, in contrasto con la tristezza della gente. Alcuni però lasciano a Portoferraio un’innamorata, una fidanzata, talvolta un’amante in attesa di un bambino.

LA PARTENZA

Dall’alto del Falcone parte un colpo di cannone per segnalare che il Sovrano ha appena lasciato la Villa dei Mulini e si incammina verso la Darsena. Lo segue il gruppo dei fedeli: Bertrand, Drouot, Peyrusse, Pons de l’Herault, il segretario Rathery, il dottore Foureau de Beauregard, e infine Marchand, apprezzatissimo valletto di camera. Quest’ultimo regge una valigetta di cuoio nero. Contiene parte di quei famosi gioielli Borghese, che Paolina aveva voluto offrire al fratello per finanziare la sua marcia attraverso la Francia. Una sola collana vale almeno mezzo milione di franchi d’oro.
Quando il corteo arriva al porto, la notte sta già scendendo. Migliaia di lampade si accendono sopra le mura, dove si accalca la gente accorsa da ogni parte dell’isola. Napoleone la percorre con lo sguardo, lentamente, forse con pena. All’imbarcadero ci sono tutte le autorità civili e militari. Traditi cerca di leggere un saluto che tiene in mano. Sarà l’oscurità, oppure la troppa emozione, fatto sta che il buon sindaco non vi riesce. Napoleone lo abbraccia.
È finita: dopo dieci mesi l’Aquila prigioniera spezzava finalmente le catene e si librava in volo. Dopo domani sarebbe approdata a Juan, e sarebbe infine volata, “di campanile in campanile, fino alle guglie di Notre Dame”.

NAPOLEONE E L’ELBA

Come si legge in Souvenirs et anecdotes de l’île d’Elbe di Pons de l’Hérault, che fu direttore delle miniere di Rio e testimone diretto dei giorni di Napoleone all’Elba, quando Napoleone arrivò al porto per salire sulla piccola imbarcazione che lo avrebbe condotto a bordo dell’Inconstant a salutarlo c’era una folla di persone fra cui anche l’allora sindaco di Portoferraio.
I cittadini e le cittadine elbane al passaggio di Napoleone rimasero in silenzio e si scoprirono il capo per salutarlo ma molte furono anche le parole che gli rivolsero sia di augurio, che di raccomandazione e di gratitudine.
Il pittore Joseph Beaume ha fissato i momenti precedenti la partenza di Napoleone dall’Isola d’Elba in un dipinto del 1836 dal titolo “Napoléon Ier quittant l’île d’Elbe, 26 février 1815”, esposto presso il Musée Naval et Napoléonien di Antibes in Costa Azzurra.
Di Napoleone all’Elba restano numerose tracce nella storia dell’isola, ma le più visibili sono rappresentate dalle sue due residenze divenute musei nazionali: Villa dei Mulini, nel centro storico di Portoferraio, e Villa di San Martino, la residenza di campagna. In questi luoghi è possibile immergersi nell’atmosfera dell’epoca e immaginare l’Imperatore pianificare le sue mosse verso la riconquista del potere che, però, naufragarono presto dopo la sua fuga.

I 10 MEDI DI NAPOLEONE ALL’ELBA

I 10 mesi di Napoleone all’Elba furono comunque caratterizzati da una fervente attività e da grandi progetti, molti dei quali però rimasti sulla carta come, per esempio, quello di ampliare il porto di Rio Marina per renderlo sicuro o quella di ristrutturare la fortezza del Giove.
Quando Napoleone sbarca a Portoferraio il 4 maggio del 1814, in uno dei manifesti di accoglienza affissi nei vari Comuni dell’Elba, l’arrivo dell’Imperatore viene presentato come “Il più fausto avvenimento che potesse mai illustrar la storia dell’Isola d’Elba si è realizzato in quest’oggi”.
Entrato nella leggenda napoleonica come “il volo dell’Aquila”, la marcia di risalita della Francia da parte di Napoleone si scontrò con una resistenza estremamente blanda. Il generale Andrea Massena, a Marsiglia, venne subito informato dell’accaduto, ma non intraprese nessun’azione decisiva, permettendo così a Napoleone di dirigersi verso Grenoble per vie montane evitando volontariamente Marsiglia e la Provenza con le sue note simpatie realiste. A Laffrey, 25 km a sud di Grenoble, il 5º reggimento di linea dell’esercito francese sbarrò la strada alla spedizione, ma Napoleone seppe portarli dalla sua parte con un convincente discorso accompagnato da gesti plateali ma molto efficaci.

NAPOLEONE VERSO GRENOBLE

Napoleone quindi entrò in un clima di festa a Grenoble e proseguì verso Parigi in un’atmosfera di giubilo che raggiunse l’apice quando, il 14 marzo ad Auxerre, il maresciallo Michel Ney e le sue forze, inviate ad arrestare Napoleone, si unirono invece a lui.
Inutilmente il re continuava a inviargli contro truppe e generali: queste appena raggiuntolo, disertavano e si univano a lui, al punto che in place Vendôme a Parigi comparve un avviso a lettere cubitali: «Da Napoleone a Luigi XVIII. Mio buon fratello, non è necessario che tu mi mandi altre truppe, ne ho già a sufficienza.»
Il 19 marzo Luigi XVIII e la sua corte decisero di abbandonare Parigi, essendo l’esercito napoleonico ormai alle porte; Napoleone vi entrò infatti la sera dopo.

100 GIORNI

Fu l’inizio di quei cento giorni che avrebbero potuto cambiare il volto della storia e quello dell’Europa ma qualche errore dei suoi generali e soprattutto il maltempo fermarono Napoleone a Waterloo. Tornò su un isola ma questa volta nella lontana Sant’Elena.n




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