Flavigny: storia di un’abbazia e delle sue dolcezze

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Flavigny – Una prima abbazia sorge nel V secolo, ma quella vera e importante è del 719 e oggi è una delle rarissime abbazie costruite secondo una planimetria carolingia. I monaci che vi si insediano sono benedettini e seguono la regola dell’ora et labora, pregano e lavorano. Così nell’abbazia di Flavigny sorge uno scriptorium famoso, dove si realizzano manoscritti preziosi: ne rimane uno solo, un Vangelo conservato oggi nella biblioteca di Autun.

Chi conosce bene la Francia non può fare a meno di apprezzare molti dei suoi segreti e deli suoi splendori. Tra le tante meraviglie transalpine come non sottolineare la bellezza artistica, la forza della Fede ma anche le gustose ed utili produzioni alimentari di tanti splendidi luoghi.
Una storia unica e che oggi andiamo a “ripassare” è quella dell’abbazia di Flavigny che ha inizio nel 52 a.C. quando da queste parti arriva Giulio Cesare alla conquista della Gallia e fissa il suo quartier generale e gli accampamenti proprio sulla collina di Flavigny. Dopo la vittoria su Vercingetorige dona la collina al suo veterano Flavinius, et voilà il primo nucleo di Flavigny.
Quindi in zona arrivano i Burgundi (che lasceranno il nome alla regione, la Borgogna) che a Flavigny costruiscono una fortezza. Una prima abbazia sorge nel V secolo, ma quella vera e importante è del 719 e oggi è una delle rarissime abbazie costruite secondo una planimetria carolingia.
I monaci che vi si insediano sono benedettini e seguono la regola dell’ora et labora, pregano e lavorano. Così nell’abbazia di Flavigny sorge uno scriptorium famoso, dove si realizzano manoscritti preziosi: ne rimane purtroppo uno solo, un Vangelo conservato oggi nella biblioteca di Autun. E nei campi attorno all’abbazia, per ordine di Carlo Magno in persona, i monaci coltivano l’anice. Già proprio l’anice che anche Giulio Cesare sembra utilizzasse.
La Laus perennis, lode perenne, è cantata giorno e notte nella chiesa dell’abbazia.
Nel 755, Manasse il Grande, abate di Flavigny, vi porta le reliquie di san Prix (chiamato anche san Preietto), vescovo di Clermont-Ferrand nel VII secolo.
Già nell’anno 878 i monaci donano al Papa Giovanni VIII ben otto libbre di anice.
Da allora, fra occupazioni straniere e nuove fortificazioni la storia dell’abbazia di Flavigny e del suo anice continua e attraversa i secoli. Luigi XIV il Re Sole aveva l’abitudine di succhiare bonbon “à l’anisse” che teneva in un portapasticche da tasca, tondo e piatto. Madame de Sévigné, Madame de Pompadour, la Contessa di Ségur andavano pazze per gli “Anis de l’Abbaye de Flavigny” e li donavano agli amici più intimi.
Anna d’Austria (1601-1666), in pellegrinaggio ad Apt nel 1660, si vede offrire “6 libbre di confetture secche, 4 libbre di confetti e 3 libbre e mezza di semi di anice rivestiti di zucchero”.
Nel 1700, durante il suo soggiorno a Digione, il principe di Condé riceve l’equivalente di diciassette chilogrammi di Anis de Flavigny. Nel 1703, riceve nuovamente ventiquattro scatole di Anis.
Nel 1701, Monsieur de Creancey, luogotenente del re per l’Auxois, e la sua sposa ricevono a Semur-en-Auxois dodici casse di Anis de Flavigny, per un peso e un valore complessivi di ventidue libbre e dieci soldi.
Quindi arrivano i tempi delle violenze rivoluzionarie con gli attacchi al clero. Così anche i monaci locali vengono cacciati, e la barbarie colpisce anche una parte della chiesa abbaziale che viene danneggiata brutalmente. Ma otto abitanti di Flavigny non si arrendono ed anzi, continuano a produrre anice all’interno dell’abbazia.
Bisogna arrivare a fine ‘800 perché un imprenditore del posto, Monsieur Galimard, acquisti l’intera abbazia e tutte le piccole aziende all’interno, per creare una sola “fabbrica dell’anice de Flavigny”. Nel 1923 gli subentra Jean Troubat e nasce il business: i bonbon all’anice arrivano a Parigi, nei distributori automatici delle stazioni e del metro, nei grandi magazzini, nei cinema, e vengono esportati anche all’estero.
Nel 1956 un giovane studioso americano di archeologia, Fred Guggenheim, scopre una splendida cripta sotterranea: torna così alla luce Cappella di Notre-Dame des Piliers, gioiello dell’abbazia.
Nel 1965, il figlio Nicolas Troubat prende le redini dell’azienda: la produzione aumenta, ma non cambia luogo e rimane all’interno dell’antica abbazia.
Negli anni 90, dopo aver avuto la gioia di lavorare a fianco di suo padre, Catherine Troubat prende a sua volta in mano le redini dell’azienda, affiancata da sua sorella alla guida della società. Ora gli Anis® si trovano nei garden center, nei negozi di prodotti biologici, nei negozi di aeroporti e stazioni.
I destini della fabbrica e dell’abbazia continuano ad essere legati: i bonbon ottengono il marchio “Site remarquable du goût” nel 1992, nel 2013 le vestigia dell’antica abbaziale sono classificate Monumento Storico e nel 2016 la fabbrica ottiene il riconoscimento prestigioso di “Entreprise du Patrimoine Vivant”, riservato alle attività antiche ancora in attività in Francia.
Visitare questi luoghi è immergersi nella natura, nella grande bellezza e vivere tra la preghiera ed il sapore, tra il sacro ed il profano, una perfetta sintesi di storia, arte e gusto.
L’abbazia oggi è uno degli edifici religiosi più antichi di Francia ed è caratterizzata da un inusuale sviluppo verticale tipico dell’architettura carolingia mantenutosi intatto. La regola benedettina elaborata da san Benedetto da Norcia nel VI secolo organizza la vita quotidiana dei monaci dividendola in momenti dedicati alla preghiera, al lavoro manuale e al lavoro intellettuale.
Come non rimanrere basititi innanzi alla splendida Cripta Carolingia, per 1000 anni luogo di preghiera. Un viaggio nel tempo, fino a quel lontano 719 quando tutto ebbe inizio sotto il regno di Carlo Martello. Una perfetta e suggestiva sintesi di epoche gallo-romane, romaniche e gotiche.
Poi dal sacro si passa al profano negli altri edifici dell’abbazia, dove è allestito il Musée des Anis, quindi il Laboratorio degli Aromi e l’Atelier di fabbricazione (e poi naturalmente libreria, caffetteria, boutique). Un tutt’unico tra sacro e profano, storia e gourmandise.
L’immagine classica delle scatoline non è mai cambiata: un pastore e la sua pastorella, seduti vicini, e lui offre a lei dei bonbon d’anice. Sembrano tutte uguali, ma per qualche minimo dettaglio sono diverse: la coppia è più o meno vicina, la pecorella è a destra o a sinistra, gli atteggiamenti di lei sono riservati o più confidenziali. Tutte le immagini arrivano dagli archivi dell’abbazia, e sono state disegnate dai produttori che si sono succeduti nel corso del tempo. Ma le prime confezioni erano dei lunghi e sottili astucci di cartone.
Fu Jean Troubat, negli anni ‘50, introducendo la vendita nei distributori automatici, ad aver bisogno di una scatolina più robusta di metallo, prima rotonda, poi ovale, e a moltiplicare i gusti. Nel 2013 sono stati riproposti anche gli astucci di cartone, per i bonbon classici, grossi come un pisello e per i petits anis, piccoli come un chicco di riso, quelli che i ragazzini venivano a comprare direttamente in fabbrica.
Tutti da collezionare ma soprattutto da assaporare senza dimenticare che l’anice è una pianta dall’azione digestiva, utile come rimedio contro la tosse e ottima per aromatizzare dolci e liquori. L’effetto più conosciuto dell’anice è quello digestivo, apprezzato già dai Romani che lo utilizzavano alla fine dei banchetti più impegnativi. L’anice è inoltre carminativo e antispasmodico, per questo viene utilizzato per tisane e infusi digestivi e antigonfiore. Favorisce il rilassamento ed è spesso presente nei medicinali contro la contro la tosse.




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