Fabrizio Quattrocchi: “Vi faccio vedere come muore un italiano”

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Quattrocchi – “Nel giorno in cui ricorre il barbaro omicidio di Fabrizio Quattrocchi, abbiamo presentato una mozione per chiedere che venga intitolata una piazza, una via o un viale alla memoria di un Italiano che sarà ricordato nella storia patria per aver scosso le coscienze di tutto il mondo e segnato i cuori di un’intera Nazione quando, rifiutando di essere bendato, pronunciò le parole “Vi faccio vedere come muore un Italiano” prima di essere giustiziato dai sequestratori iracheni”.

Tutto questo è avvenuto ieri nel comune di Orvieto per rendere omaggio a Fabrizio Quattrocchi il cui barbaro assassinio è ancora contornato di mistero.
Fabrizio Quattrocchi fu vittima di un brutale atto terroristico rivolto contro l’Italia e con eccezionale coraggio ed esemplare amor di Patria, ha affrontato la barbara esecuzione tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese rifiutando, mentre veniva assassinato, di essere bendato e, orgogliosamente rivolto ai vigliacchi aguzzini, pronunciando: “Vi faccio vedere come muore un Italiano”. Parole brevi, semplici, ma così profonde da scuotere le coscienze di tutto il mondo e segnare i cuori di un’intera Nazione.

LA VITA DI FABRIZIO QUATTROCCHI
Nato a Catania ma cresciuto a Genova, svolse il servizio di leva nell’Esercito italiano, raggiungendo il grado di caporal maggiore, e prestò servizio nel 1987 come caporale istruttore nel 23º Battaglione fanteria “Como” di stanza a Comoreparto poi sciolto nel 1996. Congedatosi, Fabrizio Quattrocchi continuò a essere impegnato, fino al 2000, nell’attività di famiglia, una panetteria nel quartiere di San Martino, con i genitori, il fratello e la sorella. Dopo la morte del padre cedettero l’esercizio. Venuta meno la principale fonte di sostentamento, Quattrocchi, appassionato di arti marziali e praticante il taekwondo, brevettato paracadutista, prese a seguire corsi di addestramento per prepararsi al lavoro di guardia del corpo e addetto alla sicurezza nei locali notturni, secondo quanto in seguito dichiarato dal fratello e dalla fidanzata.
Per un periodo seguì corsi di addestramento e lavorò per Ibsa, società di sicurezza e investigazioni, successivamente liquidata, della quale erano titolari Roberto Gobbi e Spartaco Bertoletti, che fu rappresentante in Italia di un’analoga società internazionale, di nome IBSSA (simile a quello della società genovese), con sede a Budapest e centro operativo in Israele. Nell’ottobre 2003 fu ingaggiato come bodyguard in occasione della visita del ministro Claudio Scajola al Salone Nautico di Genova. Secondo Gobbi, Fabrizio Quattrocchi si sarebbe recato in Iraq in seguito all’accettazione (ottobre 2003) del suo curriculum da parte di un non meglio individuato “mercenario genovese” impegnato nel reclutamento per l’Iraq, per conto di un’azienda del Nevada, la DTS, per istruire personale locale alle tecniche di sicurezza e proteggere manager, magistrati, strutture d’interesse strategico, quali gli oleodotti. La partenza per il paese in guerra era avvenuta nel novembre del 2003, per un compenso mensile – sempre secondo quanto dichiarato dal Gobbi alla stampa – variabile (a seconda delle condizioni di rischio) tra i seimila e i novemila dollari.

TESTIMONIANZA GIORNALISTICA
L’unica testimonianza giornalistica nota e diretta sull’attività svolta in Iraq da Fabrizio Quattrocchi è offerta dal periodico di approfondimento televisivo della RTSI (Radio Televisione della Svizzera Italiana) Falò che, nel programma andato in onda il 14 maggio 2004, ha presentato un ampio servizio (circa 39 minuti) in esclusiva dedicato alle “guardie di sicurezza private” operanti in Iraq e nel resto del mondo. L’inchiesta giornalistica – curata in origine dalla Televisione Svizzera francese e mai ritrasmessa in Italia, benché diffusa in italiano dalla RTSI e contenente le uniche immagini disponibili di Fabrizio Quattrocchi libero in Iraq – è stata realizzata direttamente nel paese arabo, e si chiude con un’ampia sezione (circa otto minuti) dedicata alla Presidium Corporation, la compagnia di sicurezza italiana presso la quale operava Quattrocchi. Il capo squadra, Paolo Simeone, appare nel video accompagnato da una persona identificata come Luigi e dallo stesso Quattrocchi, che compare armato in diverse inquadrature mentre sorveglia la scena dell’intervista realizzata dalla televisione svizzera e poi mentre i tre si esercitano, in una zona extraurbana, al tiro con il fucile.
Fabrizio Quattrocchi, che durante le riprese ha accompagnato con Simeone e Luigi i giornalisti svizzeri, viene definito nel servizio come il più discreto tra gli interlocutori da essi incontrati durante la loro inchiesta in Iraq. Quattrocchi appare con un giubbotto antiproiettile indossato su una maglietta dello stesso colore di quella visibile nelle immagini diffuse dai suoi rapitori prima del suo assassinio.

PRESA OSTAGGI

Fabrizio Quattrocchi fu preso in ostaggio a Bagdad il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi Falangi Verdi di Maometto, mai identificati. I rapitori lanciarono all’Italia un ultimatum: chiesero al governo il ritiro delle truppe dall’Iraq e le scuse per alcune frasi che avrebbero offeso l’Islam. L’ultimatum fu rifiutato. Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l’8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia. A seguito di una trattativa con il 21 maggio 2004 nei pressi dell’ospedale gestito a Baghdad la CRI trovava dei resti umani che venivano attribuiti a Fabrizio Quattrocchi. La conferma sarebbe arrivata il 23 maggio dalle analisi sul DNA. Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. da un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf.

PINO SCACCIA
il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo: «Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: “Posso toglierla?” riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde “no”. E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: “Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. “È nemico di Dio, è nemico di Allah”, concludono in coro i sequestratori.».
L’Italia di questi tempi avrebbe bisogno di mostrare simil coraggio davanti al mondo.




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