Rosenberg – Il giorno 11 Febbraio 1953, il presidente statunitense Dwight Eisenhower rifiuta la richiesta di clemenza per Ethel e Julius Rosenberg.
Il caso Rosenberg è una vicenda che, negli anni della guerra fredda, e in pieno clima di maccartismo, coinvolse i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg e colpì profondamente l’opinione pubblica mondiale, quando i due furono processati, giudicati colpevoli e condannati a morte come spie dell’Unione Sovietica.
Il loro processo per cospirazione intentato dal governo degli Stati Uniti a si trasformò in uno dei casi giudiziari più famosi del secolo, valicando le aule di tribunale.
L’Internal Security Act del 1950, invece, prevedeva la registrazione delle organizzazioni comuniste e l’instaurazione di un Comitato per il Controllo delle Attività Sovversive al fine di indagare persone ritenute sospette, a questa legge fu aggiunta una proposta dei senatori liberal Hubert Humphrey e Herbert Lehman che proposero di creare centri di detenzione per i sospetti sovversivi, i quali, nel momento in cui il presidente avesse dichiarato uno stato di “emergenza per la sicurezza interna”, sarebbero stati internati senza processo.
Tutti questi provvedimenti contribuirono a creare un clima di paura che portò a decisioni drastiche. Così nella cornice di questi provvedimenti legislativi, i quali non solo chiedevano una totale fedeltà alla propria nazione si può comprendere come sia stato possibile condannare due persone alla sedia elettrica per il reato di cospirazione (conspiracy).
Questo clima interno non veniva di certo favorito da ciò che accadeva fuori dai confini statunitensi. Nel gennaio del 1949 le forze comuniste cinesi entrarono a Pechino e nell’agosto dello stesso anno l’Unione Sovietica fece esplodere il suo primo ordigno atomico. Come se non bastasse nel giugno dell’anno successivo le truppe della Corea del Nord, paese incluso nella sfera di influenza sovietica, attraversarono il 38˚ parallelo e invasero la Corea del Sud, protetta dagli Stati Uniti. Era l’inizio della guerra di Corea, che mobilitò l’opinione pubblica, anche progressista, e che contribuì a mantenere un clima di militarizzazione, sia in politica estera, sia interna.
Ma chi erano i protagonisti di questa intricata vicenda?
Julius Rosenberg era nato nel 1918 a New York, suo padre era un ebreo emigrato dalla Russia zarista negli Stati Uniti e approdato, come molti altri, nel Lower East Side. A diciotto era già diventato un marxista. Nel febbraio del 1939 si laureò al City College di New York in ingegneria elettrica e sposò Ethel Greenglass poco dopo. Lavorò per il reparto comunicazioni dell’esercito fino al 1945, quando fu licenziato dopo che un’indagine rivelò che per ottenere il lavoro aveva giurato il falso, dichiarando di non appartenere al Partito Comunista. Lavorò poi per Radio Emerson, anche qui fino al licenziamento. Nell’ultimo periodo aveva aperto un’officina meccanica, assumendo suo cognato, David Greenglass. Nel 1950, al momento del suo arresto, l’officina era sulla via del fallimento.
Ethel, anche lei ebrea e figlia di un immigrato bielorusso arrivato nel Lower East Side di Manhattan, era nata nel 1915. Era una studentessa modello, diplomata prima del suo sedicesimo compleanno, con una voce straordinaria grazie alla quale fu scelta per cantare l’inno nazionale ai raduni scolastici. Recitare e cantare erano le sue passioni. Faceva parte del Clark Street Players, un gruppo di teatro amatoriale, e dopo il diploma trovò impiego come segretaria. Nel 1935 era diventata un’attiva organizzatrice sindacale e lasciò il Clark Street Players per entrare nel più politicizzato gruppo teatrale Lavanburg Players.
I due si incontrarono in una riunione del sindacato nel 1936, si sposarono nel 1939, il primo figlio, Michael, nacque nel 1943 e il secondo, Robert, nel 1947. Come le famiglie di appartenenza anche i Rosenberg conducevano una vita modesta.
Nel 1950, al momento dell’arresto, essi non indicarono un legale di fiducia, pertanto fu il tribunale federale che assegnò loro due avvocati di ufficio, padre e figlio: Alexander Bloch difese Ethel Rosenberg e ad Emanuel “Manny” E. Bloch spettò la difesa di Julius Rosenberg.
Durante il processo la pubblica accusa fu assegnata al procuratore capo Irving H. Saypol che, insieme ai suoi assistenti, rappresentò il governo degli Stati Uniti.
Il giudice del processo fu l’Onorevole Irving R. Kaufman, giudice federale a vita nominato dal presidente Truman.
Come gli imputati Rosenberg e Greenglass anche i Bloch, avvocati della difesa, erano ebrei, come lo era, peraltro, la pubblica accusa, rappresentata da Saypol e dal suo assistente Roy M. Cohn, e come lo era, infine, anche il giudice Kaufman. Ciò aiutò quelle forze che cercavano di allontanare le accuse di antisemitismo evocate, le quali non solo indebolivano il processo, ma facevano anche nascere tra l’opinione pubblica il sospetto che gli imputati potessero essere vittime di un qualche pregiudizio.
Erano le 10.30 di martedì 6 marzo 1951, quando nel tribunale federale di New York City venne discusso il caso «United States of America vs. Julius Rosenberg, Ethel Rosenberg, Anatoli A. Yakovlev, also known as “John”, David Greenglass and Morton Sobell». Il capo di accusa era quello di cospirazione finalizzata allo spionaggio.
La pena massima prevista era di venti anni di prigione, ma con questa eccezione: «Whoever violates this law in time of war shall be punished by death or by imprisonment for not more than thirty years»
Julius Rosenberg era stato arrestato il 17 luglio del 1950; a sua moglie Ethel toccò la stessa sorte meno di un mese dopo, l’11 agosto. La giuria, composta da undici uomini e una donna, si ritirò per decidere il 28 marzo. Il giorno successivo emanò un verdetto di colpevolezza. Il 5 aprile 1950 il giudice Irving Kaufman condannò Morton Sobell a trent’anni di prigione e i Rosenberg alla pena di morte.
Ma come e cosa portò a questa sentenza? E che cosa indusse gli agenti dell’FBI a bussare all’appartamento nel Knickerbocker Village per arrestare Julius Rosenberg.
Nel gennaio del 1950 il fisico tedesco Klaus Fuchs, fuggito in Inghilterra dopo la presa di potere da parte dei nazisti, confessò di aver fornito all’Unione Sovietica importante materiale sulla costruzione della bomba atomica quando faceva parte, come fisico, della delegazione inglese che lavorava al Progetto Manhattan, programma segreto avviato durante la Seconda guerra mondiale e che condusse gli Stati Uniti allo sviluppo dell’arma atomica. Il suo corriere era Harry Gold, un chimico di Philadelphia che passava le informazioni ottenute dal fisico ad un agente sovietico: Anatoli Yakovlev. A sua volta l’arresto di Harry Gold e la sua confessione portarono a David Greenglass, che, interrogato dall’FBI, confessò di aver passato informazioni sull’ordigno atomico all’Unione Sovietica e coinvolse in questo reato anche sua sorella Ethel e il marito di lei, Julius.
A questo punto appare chiaro come tra i diversi testimoni del processo i tre personaggi chiave portati alla sbarra dall’accusa fossero: Harry Gold, David Greenglass e Ruth Greenglass.
Nell’agosto del 1944 David Greenglass entrò a lavorare come meccanico all’interno dei laboratori di Los Alamos, dove si stava sviluppando la bomba atomica. Alla fine di novembre, David imparò da sua moglie Ruth la natura degli esperimenti che si tenevano a Los Alamos: a dire di Ruth, Julius l’aveva informata di ciò. In diverse occasioni nei mesi successivi David passò a Julius alcune informazioni, tra cui degli schizzi di lenti metalliche usate come detonatori dell’ordigno, un elenco di scienziati che lavoravano a Los Alamos e i nomi di alcune possibile reclute. L’evento cruciale ai fini dell’accusa fu quello che unisce Harry Gold, David Greenglass e Julius Rosenberg.
Dichiarò Saypol nell’arringa finale «Harry Gold, who furnished the absolute corroboration of the testimony of the Greenglasses, forged the necessary link in the chain that points indisputably to the guilt of the Rosenbergs». Infatti Gold, oltre a fornire la conferma a quanto affermato dai Greenglass, costituiva quel legame necessario tra le informazioni sulla bomba atomica, Julius Rosenberg e l’agente sovietico Yakovlev: senza quanto affermato da Gold, semplicemente non ci sarebbe stato nessun caso di cospirazione.
L’incontro in questione avvenne la prima domenica di giugno del 1945, al 209 di North High Street in Albuquerque, quando un uomo, allora sconosciuto ai Greenglass, bussò al loro appartamento presentandosi con la frase che tanto peso avrà per le sorti dell’imputato coinvolto: «Julius sent me». David al momento della visita non aveva il materiale pronto, che poté consegnare al corriere (ricevendo in cambio cinquecento dollari), solo nel pomeriggio. Un altro momento cruciale nella ricostruzione dei testimoni si colloca nel settembre del 1945 a New York quando David disse a Julius «I think I have… a pretty good description of the atom bomb». È infatti in questa occasione che avvenne il coinvolgimento di Ethel Rosenberg. David aveva preparato l’abbozzo di una bomba a implosione con inerente descrizione e fu nel salotto dei Rosenberg, a dire di David, che «Ethel did the typing and Ruth and Julius and Ethel did the correction of the grammar». Infine, nel febbraio del 1950, poco dopo l’arresto di Fuchs, Julius fece visita a David invitandolo a lasciare il paese, ripetendo tale consiglio prima a metà aprile e poi in giugno, quando Julius vide David per l’ultima volta.
Il primo testimone della difesa chiamato a rispondere di tali accuse, fu Julius che, interrogato dal suo avvocato Emanuel Bloch, negò completamente qualsiasi attività di spionaggio rispondendo a molte domande con le stesse tre parole: «I did not». Più volte il giudice Kaufman interruppe l’avvocato Bloch per interrogare l’imputato circa le sue idee politiche, ad alcune domande Julius si rifiutò di rispondere.
L’ultima testimone della difesa fu Ethel Greenglass Rosenberg che fu interrogata da Alexander Bloch. Anche lei come suo marito negò tutte le accuse sulle attività di spionaggio. Ethel inoltre testimoniò che lei non aveva mai battuto a macchina nulla di relativo alla difesa nazionale. Dopo l’arresto di Julius, Ethel era stata portata due volte (il 7 e l’11 agosto) davanti a un Gran Giurì federale. Entrambe le volte aveva invocato di frequente il suo diritto, costituzionalmente garantito, contro l’auto-incriminazione. Ciò fu sfruttato da Saypol durante il processo: egli dedicò ben metà del suo contro interrogatorio ad Ethel a sottolineare questo comportamento della imputata.
La mattina del 29 marzo la giuria emanò infine il suo verdetto: «We the Jury find Julius Rosemberg guilty as charged. We the Jury find Ethel Rosenberg guilty as charged. We the jury find Morton Sobell guilty as charged». Ringraziandoli il giudice Kaufman disse loro «My own opinion is that your verdict is a correct verdict […] I can’t find words to describe this loathsome offense». La sentenza del giudice Kaufman sull’entità della pena da infliggere fu fissata ad una settimana dopo.
Egli si espresse il 5 aprile con un giudizio destinato a rimanere famoso: fama che deriva dalla gravità delle parole pronunciate, che restituiscono tutte le paure e le angosce di un’epoca e che portano all’interno di un’aula di tribunale una guerra lontana, ma molto vicina all’opinione pubblica statunitense.
A questa sentenza seguirono numerose istanze di appello, petizioni internazionali e manifestazioni, interventi di numerosi personaggi (tra gli altri: Pablo Picasso, il premio nobel per la chimica Harold C. Urey, Albert Einstein, Jean-Paul Sartre, la sorella di Bartolomeo Vanzetti e un appello orale di papa Pio XII affinché fosse commutata la pena dei Rosenberg), sospensioni e rinvii dell’esecuzione, comprese due domande di grazia ai due Presidenti, prima a Truman e poi al suo successore Eisenhower. In seguito ai numerosi respingimenti, un’ultima speranza sembrò arrivare il 17 giugno del 1953 quando William O. Douglas, un giudice della Corte Suprema, sospese l’esecuzione per poter analizzare meglio una discrepanza fra due leggi: l’Espionage Act del 1917 e la legge sull’energia atomica del 1946. Di gran fretta venne allora nuovamente convocata in seduta straordinaria la Corte Suprema, che il 19 giugno 1953 annullò il rinvio concesso dal giudice Douglas; la sera di quello stesso giorno, poco dopo le otto, prima Julius e poi Ethel Rosenberg trovarono la morte su una sedia elettrica nel penitenziario federale di Sing Sing.
La vicenda dei coniugi Rosenberg non si concluse con la loro morte quella sera del giugno 1953: i loro due figli Michael e Robert la cui custodia legale era stata affidata dai due genitori al loro avvocato Manny Bloch. Michael e Robert furono poi adottati dai coniugi Meeropol di cui assunsero il cognome. Anche i Meeropol erano stati membri del Partito Comunista, appartenevano dunque alla stessa comunità politica dei Rosenberg, i quali preferirono far crescere i loro figli da militanti come loro piuttosto che dai parenti e Michael e Robert diventarono in qualche modo i figli del movimento. Fu forse anche per questo che essi decisero negli anni Settanta di esporsi e di intraprendere una serie di iniziative legali volte ad ottenere il rilascio di molti documenti fino a quel momento mantenuti segreti e la riapertura del caso. Se il secondo obiettivo non riuscì, essi ottennero importanti vittorie sul primo fronte. Nel luglio del 1975 presentarono «una corposa denuncia ai sensi del FOIA (legge sulla libertà di informazione) contro sette agenzie governative». Nell’autunno dello stesso anno l’FBI accordò il suo primo rilascio di documenti con parecchie centinaia di pagine. Molto fu ciò che emerse da questi e da altri documenti successivamente rilasciati (un totale di trecentomila pagine), da cui emerse che la condotta del giudice Irving Kaufman, che aveva discusso con gli avvocati dell’accusa in merito alla possibilità di infliggere la pena capitale; «altri documenti rivelavano che Kaufman aveva usato il Dipartimento di giustizia e l’FBI per intercedere presso la Corte di Appello e la Corte Suprema affinché accelerassero i giudizi di appello e assicurassero così una più rapida esecuzione». Un altro documento rivelava che, mentre il giudice Douglas stava riflettendo circa la possibilità della sospensione dell’esecuzione, la sera del 16 giugno 1953, il procuratore generale Herbert Brownell si era incontrato segretamente con il giudice capo della Corte Suprema Fred Vinson. Il documento concludeva che, durante quell’incontro, il giudice capo Vinson “disse che se veniva accordata una sospensione, il giovedì mattina avrebbe riunito l’intera Corte in sessione straordinaria per renderla vana” […]. Esso costituisce la prova documentale che il procuratore generale, uno dei massimi funzionari esecutivi del nostro paese, aveva cospirato con il capo dei giudici degli Stati Uniti per annullare la sospensione di un’esecuzione, stabilita da un altro giudice che sedeva nella Corte Suprema, prima di aver letto le basi legali su cui tale sospensione era stata accordata, dal momento che essa non venne scritta fino al mattino successivo.
Altri documenti riferivano di un incontro tra Harry Gold e David Greenglass organizzato dai legali dell’accusa e avvenuto più di due mesi prima dell’inizio del processo, durante il quale i due testimoni si accodarono circa quella frase in codice che, secondo le ricostruzioni processuali, venne utilizzata da Gold per presentarsi a Greenglass in quella mattina del giugno 1945: «Vengo da parte di Julius», frase che, come già ricordato, rappresenta l’anello fondamentale, l’evento per il quale Julius Rosenberg venne condannato.
Nel 1995 fu scoperta un’ulteriore mole di materiale, precedentemente tenuto sotto la massima segretezza, che conteneva anche informazioni sui Rosenberg, ossia la trascrizione del progetto Venona. Con questo nome si identifica una collaborazione avvenuta tra le agenzie di spionaggio statunitensi e quelle inglesi volta a intercettare e a decifrare i messaggi in codice che il KGB inviava dal consolato sovietico di New York a Mosca, soprattutto durante gli anni della Seconda guerra mondiale. Le informazioni contenute in questi documenti non furono utilizzate durante il processo a carico dei Rosenberg, poiché ritenute potenzialmente pericolose per la sicurezza nazionale.
Anche queste rivelazioni come quelle precedenti non permettono di chiarire completamente la vicenda e di far luce sulla totalità dei fatti.
Probabilmente sciogliere tutti i nodi di questo groviglio non sarà mai possibile…………………………
Tuttavia, anche alla luce di quanto emerso dalle trascrizioni di Venona e da quanto dichiarato da Morton Sobell nel settembre del 2008 al «The New York Times», su qualcosa si è giunti ad una qualche convergenza: «nessuno dei due aveva commesso le azioni per le quali furono condannati; il governo degli Stati Uniti aveva sempre saputo che Ethel Rosenberg non era una spia di alcun genere». Quest’ultima posizione è stata confermata anche da David Greenglass che nel dicembre del 2001 ammise in un’intervista per il programma televisivo Sixty Minutes II di aver mentito sotto giuramento quando dichiarò di ricordare la sorella che batteva a macchina i suoi appunti. Sulla completa innocenza di Julius, invece, permangono dei dubbi in quanto la possibilità che egli abbia trasmesso informazioni di carattere industriale-militare ai sovietici non è esclusa, ma oltre a non essere del tutto appurata, essa non rappresenta, come sostengono i figli, il capo d’accusa per il quale loro padre fu condannato e ucciso.
Nel caso Rosenberg l’evoluzione verso un errore politico iniziò a farsi sempre più manifesta in seguito alla condanna a morte inflitta dal giudice Kaufman e ai successivi e ripetuti respingimenti delle domande di grazia, poiché ai primi comitati che denunciavano l’iniquità del processo, si aggiunsero proteste contro la sproporzione della pena inflitta e i movimenti contrari alla pena di morte, che potevano anche considerare imparziale lo svolgimento dell’azione penale. Alle proteste a livello nazionale si sommarono quelle provenienti da altri paesi, a cominciare dalla Francia in cui era più forte la componente che credeva che i Rosenberg fossero vittime dell’isteria generale ma anche in Inghilterra e in Italia si svilupparono movimenti di solidarietà, sia tra i comunisti, sia tra le forze moderate, maggiormente ispirate dal senso di umanità e di giusta proporzione della pena.
Alla storia resta un processo in cui si affrontavano il governo degli Stati Uniti e due personaggi certamente non potenti, la cui dialettica si è sprigionata in tutta la sua forza quando questi ultimi decisero di non cedere. Non esistono certezze sulla loro innocenza o sulla loro colpevolezza ma è sicuro che la pena capitale doveva essere evitata!