Pallanuoto – Il paradosso: l’ “Acchiappaoro” stavolta potrebbe concludere la stagione senza successi, il tecnico che sistematicamente trasforma le sfide in vittorie, al momento, non ha traguardi da raggiungere. Ratko Rudic, l’uomo del Grande Slam da ct della pallanuoto azzurra, che a 70 anni ha accettato la nuova sfida sulla panchina della Pro Recco, è un generale senza esercito.
I suoi campioni stranieri sono tornati a casa dopo l’ultima partita di campionato (7 marzo), quando ancora erano in programma i raduni per il torneo di qualificazione olimpica poi cancellato; gli italiani sono a casa; quando lui ha deciso di partire per la Croazia è rimasto bloccato. È a Recco, in contatto con la figlia musicista, gli amici, i giocatori attraverso i social, come tutti.
Rudic, si era mai trovato in una situazione simile?
Quando ci fu la guerra nei Balcani, ero in Italia. Non ho vissuto l’esperienza di avere la libertà personale limitata. Ora dobbiamo conviverci. Non io: tutti.
Dopo ne usciremo migliori?
Io vedo la solidarietà e l’impegno di chi fa parte delle istituzioni, di chi lavora per la salute. Dopo, quando finirà tutto, avremo voglia di una grande festa. Ma penso che resterà anche questo spirito solidale.
Lei è uno dei testimonial di #PallanuotoUnita…
Il nostro ambiente si è mobilitato per raccogliere fondi per gli ospedali impegnati nella lotta al virus»
Gli italiani, obbligati a stare a casa, cucinano e fanno ginnastica. Anche lei?
Certo, sto da solo, cucino per me, ma niente piatti elaborati. Cucino al vapore: leggerezza e sapori naturali. E poi faccio movimento anch’io per tenermi in forma. Ma, soprattutto, visto che il tempo non manca, ho riscoperto una mia vecchia passione: la pittura. Non avevo neanche più i pennelli, ho ordinato colori e tele su Amazon. Ora posso ricominciare.
Che tipo di pittura predilige?
L’astrattismo. Mi piace molto Jackson Pollock, ero andato a vedere le sue opere al MoMA di NewYork, mi piace molto anche Kandinsky. Faccio anche qualche ritratto, ma è la pittura astratta che in questo periodo mi affascina. Prima prediligevo il surrealismo: Dalì, Bacon. Ma nell’arte si cambia: chi dipinge e chi guarda.
In questo mese nero c’è stato anche il terremoto a Zagabria, la sua città…
La mia casa è stata danneggiata. Me l’hanno detto, non ho potuto vedere di persona. Ho avvisato l’assicurazione. Ci andrò appena possibile, spero dopo Pasqua.
Cosa ne pensa dello spostamento di un anno dei Giochi olimpici?
Me l’aspettavo. Leggo i giornali sportivi, vedo che ci sono sport, come il calcio, che vogliono ripartire. Chi governa ha parlato di una fase 2, in cui si dovrà convivere con il virus, ma è difficile pensare oggi al come. Il nostro non è uno sport in cui uno sta in una corsia, l’altro in un’altra. Dobbiamo essere tutti molto cauti.
Se fra qualche mese ci fossero le condizioni adeguate, le piacerebbe completare la stagione in estate?
La mia carriera di giocatore è iniziata così, quando la pallanuoto era uno sport estivo. Sarebbe la cosa più bella. Ma dobbiamo aspettare che le istituzioni, che basano le loro decisioni sul parere degli esperti, ci dicano cosa fare e quando potremo farlo in sicurezza. E bisognerà verificare la situazione economica delle società, molte delle quali potrebbero essere in difficoltà dopo questo periodo.
I pallanuotisti, soprattutto quelli di caratura internazionale che disputano le grandi manifestazioni in estate, non staccano mai troppo a lungo. Come sarà riprendere dopo mesi senza nuoto e senza partite?
Non lo sappiamo. Ne risentirà anche il gioco: chi si allena per avere un certo tipo d’intensità deve avere le risorse atletiche necessarie. I miei atleti fanno il massimo di quello che possono: lavorano a secco, seguiti quotidianamente dal preparatore Willians Morales, spesso vedendosi e calibrando gli esercizi via Skype.
Si può fare un bilancio della parte di stagione disputata?
Quest’anno abbiamo scelto una programmazione differente, per non fare come l’anno scorso, benissimo durante l’anno ma non abbastanza bene nel momento decisivo. Però l’ultima sconfitta in Coppa con l’Osc ci è bruciata anche psicologicamente. Non vedevamo l’ora di affrontare il Ferencvaros per riscattarci. Ma non possiamo fare altro che aspettare.
(1-da Il Secolo XIX)