Zdenek Zeman: 72 anni e non sentirli

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Zeman – Quando nel mondo del calcio si nomina Zdenek Zeman molti occhi si illuminano. Già perché ‘mister Z’ è uno degli allenatori che ha lasciato maggiormente il segno nella storia del calcio italiano. Chi di voi segue il calcio si starà ponendo un interrogativo? Ma che cosa ha vinto il tecnico boemo? Ha vinto la cosa più importante, la stima ed il rispetto di molti tifosi e critici del calcio. Zeman però si è fatto anche molti nemici: alla Juventus non lo hanno mai amato per alcune sue esternazioni sulla compagine di Torino, altri ricordano le loro squadre perdere partite già vinte per quel suo desiderio di vedere le sua squadre continuare ad attaccare anche quando sono in vantaggio. Ma come non ricordare un tecnico che ci ha regalato partite conclusesi 7-2, 5-1, 4-0 con tanti gol ed imprese degne di rilievo a danni di squadre blasonate ma messe duramente in crisi dal gioco delle squadre di Mister Zeman. Il suo Foggia, la sua Lazio e l’ultimo capolavoro il Pescara di Immobile, Verratti ed Insigne che fece una splendida cavalcata dalla serie B alla massima serie.

Tantissime sono le parole e le frasi che hanno segnato la sua storia e quella del calcio ma, in queste ore, il boemo è tornato alla ribalta della cronaca per un’esternazione provocatoria che in molti abbiamo pensato ma che soltanto lui poteva candidamente dichiarare. “Cristiano Ronaldo, meno bene di Quagliarella”. Per poi aggiungere: “la Juventus senza di lui ha vinto di più”.

Questa la dichiarazione più significativa di un’intervista rilasciata ai media in queste ore durante la quale ha parlato anche della malattia che ha colpito suo figlio Andrea e che ha causato dolore e sofferenza a dei genitori che hanno lottato con lui per un ritorno alla normalità.

L’intervista è nata con lo scopo di festeggiare  il suo compleanno: la carta di identità recita 72, portati alla grandissima. Zeman dice la frase che ci saremmo aspettati da lui: “Io me ne sento 40, non di più”. “Che faccio? Tiro palline… (traduzione, gioco a golf ) e vedo calcio, anche se mi diverte poco. E aspetto la chiamata giusta. Le tre quattro ricevute quest’anno non lo erano”.

Come è stata questa stagione vista da fuori?

“Brutta, perché in 50 anni sono stato fermo poche volte. In più non è stato un anno di grande calcio in Italia. Tra le cose positive la Nazionale che sta cambiando mentalità”.

La lotta scudetto è finita presto.

“Sono otto anni che finisce prima di cominciare”.

Ecco la domanda più chiacchierata! Come giudica la stagione di Ronaldo?

“Un po’ peggio di quella di Quagliarella”.

“È un campione. Ma il salto di qualità della Juve non c’è stato. Senza Ronaldo aveva raggiunto due finali di Champions”.

Da chi si aspettava di più?

“Forse dal Napoli di Ancelotti, ma aprire un nuovo ciclo non è facile. L’Inter si ritrova a lottare fino all’ultimo come l’anno scorso. Ha costruito poco. Mi aspettavo un calcio migliore”.

Cosa è successo alla Roma?

“Troppe cose non hanno funzionato. A partire dalla campagna acquisti, non mirata. Mi è dispiaciuto per Di Francesco ottimo ragazzo e tecnico. Se prendi uno come lui poi devi seguire le sue indicazioni. Ma oggi i tecnici contano poco”.

Dopo Totti la Roma ha salutato anche De Rossi

“Capisco la delusione dei tifosi, ma cerco di capire anche il club. Un giocatore che ha dato 18 anni alla Roma meriterebbe di decidere lui quando smettere. Ma il calcio di oggi non lo permette. Mi spiace che De Rossi abbia fatto con me la peggior stagione della sua carriera: non so ancora se per colpa mia o sua”.

Cosa salva del campionato?

“L’Atalanta, che gioca il calcio più europeo di tutte. La Coppa Italia della Lazio, la salvezza di Spal e Bologna. Mihajlovic ha cambiato mentalità alla squadra: con lui ha giocato sempre per vincere”.

Si aspettava quattro inglesi nelle finali di Coppa?

“Le inglesi hanno mentalità offensiva, giocano per fare un gol in più. E il loro campionato è più bello e divertente. Qui è l’opposto. Si gioca per non prenderle”.

In Premier le prime 5 hanno tecnici stranieri: merito loro?

Nulla di nuovo in Europa?

“A livello tecnico e tattico no. Ma la conferma che le squadre che vogliono proporre qualcosa, alla fine vanno avanti”.

Si è riproposta la divisione tra risultatisti e giochisti…

“E lo chiede a me? Un allenatore deve cercare di far divertire la gente. I risultati sono la conseguenza di quello che proponi. Chi gioca bene a lungo andare vince”.

Cosa pensa dell’idea della Superchampions?

“Che questo piano ammazzerebbe i campionati. È una corsa solo ai soldi ma il calcio per me è la passione della gente che può assistere alle partite. Trovo giusta la protesta dei club contrari”.

Quanto è difficile nell’era dei social entrare nelle teste dei giocatori?

“È molto più difficile. Ho cominciato che la squadra era una famiglia, si stava insieme, oggi il calcio è uno sport di 11 individui. Ognuno si fa gli interessi propri”.

Cosa pensa degli staff tecnici così allargati?

“Sono una esagerazione. Un allenatore non deve demandare troppo, ha lui il dovere di sapere tutto ciò che c’è da fare in campo”.

Il suo Lecce è tornato in A , il suo Palermo invece è retrocesso in C…

“Sono contento per la piazza di Lecce che vive di calcio. Sul Palermo ci sarebbe da parlare due giorni”.

È un suo cruccio non averlo allenato?

“Sì. Sono sempre stato convinto che avrei finito la mia carriera lì dove la cominciai da ragazzo…”.

Aspetta una nuova panchina?

“Passione, voglia e testa sono le stesse. Le mie idee e il mio calcio ancora moderni. Sei anni fa dissi che ero avanti 20 anni: resto in vantaggio di 14”.

Quando le candeline costano più della torta si cominciano a fare bilanci… Qual è la cosa più importante nella vita? E cosa la spaventa?

“La propria salute e quella di chi hai vicino. E di conseguenza mi spaventa la malattia. Ho vissuto in questi ultimi anni il dramma di mio figlio Andrea che ha affrontato con coraggio una grave malattia. In quel momento in cui hai paura che il corso della natura si stia rovesciando, nulla ha più un senso. Ogni certezza si sgretola. È stato uno shock di cui parlo solo ora perché si è risolto abbastanza bene. Ma solo chi ha vissuto qualcosa di simile può capire sensazioni, il vuoto, il male dentro che niente può attenuare finché le cose non tornano al loro posto”.

Guardando indietro ha rimpianti? Cambierebbe qualcosa?

“Non potrei farlo anche volendo. Ho commesso errori, ma chi non ha mai fatto cose di cui si è pentito? Sciocchezze però rispetto alla vita globale. Ho vissuto la mia come volevo e se ho sbagliato l’ho fatto in buona fede. C’è solo una ferita mai rimarginata, ma non per colpa mia…”.

Quale?

“Nell’estate del 1968 da Praga venni a Palermo con mia sorella per passare le vacanze con mio zio Čestmír Vycpálek. Scoppiò l’insurrezione politica che portò alla Primavera di Praga. E nella notte fra il 20 e il 21 agosto ci fu l’invasione sovietica. Rimasi in Italia senza poter tornare: per venti anni non ho più rivisto la mia famiglia. Venti anni senza ricordi. Non mi mancano coppe e scudetti, mi mancano quei 20 anni”.

E cosa chiede al futuro?

“La salute dei miei familiari e altri 20 anni per me. La carriera dipende da chi chiama ma spero ancora di ricevere l’affetto degli sportivi, il riconoscimento per quello che sono riuscito a dare e dire alla gente”.

Lo aspettiamo di nuovo su una panchina: le sue ultime esperienze a Roma e Pescara sono state difficile e ricche di problematiche: “I miei giocatori non vogliono mai fare i gradoni” ha dichiarato Zeman più di una volta ma a chi ama il bello del calcio mancano le sue idee, le sue giocate, le sue parole in sala stampa. A presto Mister Zeman.




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