Addio a Paolo Rossi l’eroe di Spagna 1982

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Paolo Rossi – “Pablito” non è più di questo mondo! La notizia della morte di Paolo Rossi  l’ha confermata Federica Cappelletti, la seconda moglie di Pablito, che l’ha comunicata con un post molto delicato, molto semplice. Due parole: ‘Per sempre’ e un cuore rosso a corredo di una splendida foto della coppia con Rossi sorridente accanto a Federica, al tramonto con alle spalle il mare. Poi su Facebook ha scritto: “Non ci sarà mai nessuno come tu, unico, speciale, dopo di te il niente assoluto.

FEDERICA CAPPELLETTI

Federica Cappelletti è stata la seconda moglie di Paolo Rossi, che quando era giovane si sposò con Simonetta Rizzato, dalla loro unione nacque il primo figlio di Pablito: Alessandro, che venne alla luce nel 1982, l’anno d’oro dell’attaccante. Poi quel matrimonio finì. Nel 1998  Paolo Rossi conobbe Federica Cappelletti, scoccò la scintilla. I due si misero assieme, nel 2010 si sposarono a Roma, al Campidoglio. Non molto tempo fa alle Maldive rinnovarono le promesse nuziali. Hanno avuto assieme due figlie: Maria Vittoria di 10 anni e Sofia di 8. Parlando della loro storia lei una volta disse: “Per me Paolo non è il calciatore, il personaggio, ma l’uomo che mi fa trovare i bigliettini disseminati per casa e scrive lettere d’amore. Un giorno mi ha detto: ‘Io nella vita ho avuto tantissimo, adesso lo voglio dare a te’.

DINO ZOFF

“L’ho saputo cinque minuti fa, mi dispiace tantissimo. Non so cosa dire, è stato fulmine a ciel sereno”. Così Dino Zoff, appresa la notizia della scomparsa di Paolo Rossi, eroe della Nazionale campione del mondo del 1982.

“Abbiamo sempre avuto un grande rapporto con Paolo, simpatico, intelligente – prosegue Zoff al telefono con l’ANSA – Era un po’ che non ci sentivamo, ci avevano detto qualcosa ma non pensavo fosse così grave. I rapporti con lui erano stupendi, era simpaticissimo. Intelligente, aveva tutto per stare bene. Qualcosa difficile da capire”.

ANTONIO CABRINI

“Sei mesi fa ho perso un fratello, oggi ne piango un altro. Non voglio dire altro, per me questo non è il momento di parlare”. Al telefono con l’ANSA, Antonio Cabrini, compagno di squadra di Paolo Rossi per tanti anni alla Juve e in Nazionale, è distrutto nel ricordare il goleador dell’Italia Mundial.

STORIA

Nonostante una carriera ‘troppo breve’ alle spalle (appena 10 anni in Serie A di cui 2 cancellati dalla vicenda delle scommesse), la corsa del Signor Rossi alla notorietà e alla leggenda è costellata da tante serpentine. Dall’esplosione nel Vicenza, all’amarezza nei lunghi giorni della squalifica, dai momenti indimenticabili del Mundial spagnolo, con i tre gol al Brasile che lo hanno proiettato nell’epopea del calcio e gli hanno inimicato un popolo intero (nel 1989, a carriera finita, in Brasile per un torneo di ex glorie, fu fatto scendere dall’auto da un tassista che lo aveva riconosciuto), al desiderio di tornare a essere uno qualunque.

La favola dell’uomo “che ha fatto piangere il Brasile” inizia al termine di una fantastica stagione con il Lanerossi Vicenza: il giovane talento di Prato aveva portato la sua squadra ad un soffio da un leggendario scudetto ed aveva vinto la classifica cannonieri che gli aveva spalancato anche le porte della nazionale. Eppure non tutto era filato liscio fino ad allora: ancora minorenne ma già prospetto di prim’ordine, univa una tecnica sopraffina ad una velocità palla al piede fuori del comune, si scontrò i con i primi tackle della vita, a causa di tre operazioni al menisco. Finisce così al Vicenza e sono parecchi pronti a scommettere su una carriera già finita ancora prima di cominciare.

LA SVOLTA

La svolta arriva dall’intuizione di Gibì Fabbri, l’artefice del ‘Real’ Vicenza, che da ala lo sposta a centro area per mandare in rete quanti più palloni possibile. Sono due anni elettrizzanti, con i biancorossi che dominano il campionato cadetto grazie ai 21 gol di Rossi che si ripete anche nella stagione successiva, vincendo la classifica cannonieri e la convocazione al Mondiale argentino.

Non si spalancano, viceversa, le porte del ritorno alla Juventus. Alle buste, il presidente Farina lo riscatta per 2,6 miliardi, una cifra record per l’epoca che lascia tutti sbalorditi. Ma non serve ai biancorossi per evitare la retrocessione dopo il campionato dei miracoli.

ENZO BEARZOT

La gente si accorge di lui, ma soprattutto se ne accorge la nazionale. Enzo Bearzot capisce che è lui la miccia che può far esplodere la nazionale al Mundial di Argentina. Ciccio Graziani è relegato in panchina, il suo gemello del gol, Paolo Pulici, non gioca neanche un minuto. Insieme a Bettega c’è Pablito. Gol alla Francia, all’Ungheria, l’assist a Bettega che permette di battere i padroni di casa e futuri campioni del mondo, quel tocco di rapina all’Austria. L’Italia non ci arriva in finale, ma dà appuntamento per il 1982 in Spagna, quando la squadra sarà ancora più forte.

PERUGIA

Tocca al Perugia scommettere su quello che ormai definiscono un ex talento e che proprio in Umbria resta invischiato nello scandalo del calcioscommesse. Sfumano gli Europei ’80 e in molti tornano a parlare di carriera finita. Ma il destino aveva ancora molto in serbo per lui. Scontata la squalifica, Rossi passa finalmente alla Juve, ma sembra ormai l’ombra del giocatore ammirato a Vicenza.

Il ct azzurro decide di lasciare in  Italia un ligure che macina gol a grappoli con la Roma (Roberto Pruzzo) e lo aspetta. Sull’aereo per la Spagna Roberto Pruzzo non salirà mai, Paolo Rossi invece sì e sarà la sua consacrazione che lo lancerà nei tre gol al Brasile di Crezo, Falcao, Zico. Socrates, una squadra meravigliosa, forse l’ultima di un calcio romantico che non c’è più.

Dunque il suo mentore stavolta si chiama Enzo Bearzot che, nonostante tutto, crede ancora in lui e decide di portarlo in Spagna, insistendo anche dopo le prime opacissime prestazioni contro Polonia, Perù e Camerun. Ma i gol e il mito sono lì, a due passi. Arrivano, uno dopo l’altro, nemmeno nell’arco di due settimane, dal 29 giugno all’11 luglio: l’Italia di Bearzot esplode contro l’Argentina, 2-1 con gol di Tardelli e Cabrini, ma la madre di tutte le partite è al Sarrià: la tripletta al Brasile di Zico e Socrates diventa storia del calcio, il tabellone luminoso lo proclama “El Hombre del Partido” e in quel torrido pomeriggio spagnolo Paolo rossi capisce che il coronamento di una carriera è arrivato prima ancora dell’alloro finale. Al quale l’Italia arriva con un’altra sua doppietta (2-0 alla Polonia) e il primo dei tre gol alla Germania in finale e della finalissima contro la Germania. Ha vinto l’Italia, ma il sigillo è di Paolo Rossi, divenuto “Pablito”.

PALLONE D’ORO

E’ un sogno che sembra non finire più: a Natale di quell’anno vinse il Pallone d’Oro per acclamazione, il secondo italiano dopo Gianni Rivera. Meritato, meritatissimo, per un ragazzo che è caduto e si è rialzato ed ha combattuto senza mai mollare neppure nei momenti più bui.

Gioie e cadute, trionfo e riscatto hanno da sempre accompagnato il n.20 delle notti Mundial che più dei difensori avversari ruvidi e fallosi ha sempre temuto di più la popolarità devastante che lo ha portato via via ad allontanarsi, prima dal campo e poi dalla ribalta. Il Milan del nuovo corso berlusconiano prova a dargli una nuova chance ma il biglietto è di sola andata, prima di fermarsi alla stazione di Verona dove Pablito giocherà la sua ultima stagione da giocatore. Qualcuno gli dedicherà uno stadio?

CARRIERA

In carriera ha giocato con Juventus, Como, Vicenza, Milan e Verona: ma a chi gli ha chiesto a quale maglia fosse maggiormente legato, ha sempre risposto senza esitare: ‘a quella azzurra’ .

Già l’Italia, quell’Italia divisa che soltanto la nazionale riesce a compattare, quell’Italia che Paolo Rossi ha fatto gioire (tutta ed unita) in quelle magiche notti del mondiale del 1982.

 

 




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