SPAZIO – LA TERRA E LA SUA ACQUA

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SPAZIO – Circa il 70 per cento della superficie del nostro pianeta è ricoperta d’acqua. Una domanda che si pongono da tempo gli scienziati è da dove provenga tutta quest’acqua. Una certa quantità probabilmente era già presente sul nostro pianeta al momento della sua formazione. Ma da dove giunge tutto il resto?

La Terra vista dall’equipaggio dell’Apollo 17. L’iconico scatto è conosciuto col nome di “Blue Marble”, biglia blu. Crediti: Nasa

Una risposta al quesito arriva adesso dallo studio di diverse meteoriti, tra le quali la meteorite di Flensburg, caduta sulla Terra il 12 settembre 2019. Le analisi condotte su questi pezzi di roccia da un team di ricercatori guidati dall’Università di Heidelberg, in Germania, suggeriscono che a portare copiose quantità del prezioso liquido sul nostro pianeta sarebbero stati piccoli planetesimi formatisi in una fase successiva dell’evoluzione del Sistema solare primordiale nella sua parte più esterna. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, una rivista del gruppo Nature.

La storia del Sistema solare è cominciata circa 4.6 miliardi di anni fa, quando il materiale della nebulosa solare ha plasmato la struttura di base del nostro sistema planetario, formando il Sole e i pianeti. Quest’ultimi, in particolare, sono emersi dai cosiddetti planetesimi, aggregati di grani di polveri e gas che, continuando ad accrescere materia, hanno formato corpi di dimensioni via via maggiori. In pratica, i planetesimi costituiscono uno stadio intermedio di aggregazione delle polveri e dei gas della nebulosa solare primordiale che nel corso di milioni di anni ha portato alla formazione dei pianeti, la Terra compresa.

Le circostanze esatte nelle quali questi planetesimi si sono formati non sono ancora state chiarite definitivamente. Informazioni importanti a questo proposito si possono però ottenere dalla datazione isotopica di alcune classi di meteoriti, pezzi di roccia che a un certo punto si sono separati da questi piccoli pianeti. Ed è sempre dallo studio di queste meteoriti che possiamo avere indicazioni su come sia arrivata l’acqua sulla Terra.

È quello che hanno fatto Vladimir Neumann, ricercatore dell’Università di Heidelberg, in Germania, e il suo team. Nella loro ricerca, gli scienziati si sono concentrati su diverse meteoriti, e in particolare su quella nota come meteorite di Flensburg, un pezzo di roccia caduto nella Germania settentrionale il 12 settembre 2019. Si tratta di una rara condrite carbonacea con un diametro compreso tra 3.5 e 3.7 centimetri e un peso di poco meno di 25 grammi.

L’obiettivo dei ricercatori era quello di calcolare il periodo di formazione dei corpi progenitori di queste meteoriti. Per farlo, hanno combinato sofisticati modelli di evoluzione termica con i dati termo-cronologici misurati sulle meteoriti stesse. I risultati ottenuti dai ricercatori suggeriscono che durante l’evoluzione del Sistema solare alcuni planetesimi si siano formati molto rapidamente, altri invece tardivamente. Più in dettaglio, le analisi mostrano che il corpo progenitore della meteorite di Flensburg si sia formato 2.7 milioni di anni dopo la nascita del Sistema solare. Questo, spiegano i ricercatori, significa che i planetesimi erano in grado di formarsi anche più tardi nel corso dell’evoluzione del Sistema solare, e a temperature più basse. Le analisi hanno inoltre mostrato che, al momento della formazione, la distanza dal Sole di questi corpi progenitori è stata cruciale nel determinare al loro interno la presenza di acqua. In questo senso, aggiungono i ricercatori, la meteorite di Flensburg conserva le più antiche tracce della presenza del liquido nel Sistema solare.

La meteorite di Flensburg, la rara ara condrite carbonacea di tipo C1 contenente minerali che si formano solo in presenza di acqua. Le sue analisi hanno ora dato un contributo significativo per comprendere come l’acqua sia arrivata sul nostro pianeta. Il fatto che il corpo genitore di Flensburg si sia formato 2,7 milioni di anni dopo la nascita del Sistema solare mostra che i planetesimi erano anche in grado di formarsi più tardi e a temperature più basse, il che significa che l’acqua è rimasta nei corpi genitori ed è stata successivamente portata sulla Terra. Flensburg è quindi la traccia più antica di attività fluida nel Sistema Solare. Crediti: Carsten Jonas

In pratica, secondo questo studio, la formazione del nostro sistema planetario ha vissuto due fasi principali e successive nel tempo, dalla seconda delle quali è dipeso il fatto che il nostro pianeta diventasse quello che è oggi: un pianeta blu.

Nella prima fase, durata meno di due milioni di anni, si sarebbero formati i planetesimi più vicini al Sole. Essendo così prossimi alla nostra stella, questi corpi sarebbero stati sottoposti a temperature elevatissime, perdendo così tutti i loro elementi volatili, inclusa l’acqua. Nella seconda fase si sarebbero formati invece i planetesimi più lontani dalla nostra stella. Vista la loro distanza dal Sole, questi planetesimi tardivi non sarebbero diventati così caldi, e come tali non avrebbero perso l’acqua che contenevano. «Questi piccoli corpi non solo hanno fornito i materiali da costruzione per i pianeti, ma sono anche la fonte dell’acqua della Terra», dice Mario Trieloff, ricercatore dell’Università di Heidelberg e co-autore dello studio.

La domanda a questo punto diventa: come è possibile che questi planetesimi si siano formati così tardivamente durante l’evoluzione del Sistema solare? L’ipotesi dei ricercatori è che dev’esserci stato un meccanismo di ritardo, ad esempio collisioni tra agglomerati di polvere, che ha impedito la rapida crescita di piccoli pianeti. Questo ritardo avrebbe consentito l’accrescimento tardivo di planetesimi oltre la linea di neve – il confine termodinamico oltre il quale la temperatura del disco di gas e polveri che circonda una giovane stella scende abbastanza perché si formi ghiaccio – consentendogli di sfuggire alla perdita di sostanze volatili e di preservare l’acqua.

«La Terra ha inglobato questi piccoli pianeti ricchi di acqua o i loro frammenti sotto forma di asteroidi o meteoriti durante il suo processo di crescita», conclude Neumann. «Questa è l’unica ragione per cui il nostro pianeta non è diventato un mondo completamente arido e ostile alla vita».




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