SPAZIO – GRANDE NUBE DI MAGELLANO: DOPPIA ESPLOSIONE

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SPAZIO – Il quadro che vedete qui dipinto è una regione di formazione stellare dove da circa 8-10 milioni di anni nuove stelle nascono continuamente. Potreste immaginare di vederla volgendo il vostro sguardo verso la Grande Nube di Magellano, e potendovi spingere fino a circa 160mila anni luce dalla Terra. Non la vedreste proprio così, comunque, perché i colori che compongono questa immagine colgono alcune lunghezze d’onda interdette alla vista umana. La nube color viola che avvolge tutta la regione, ad esempio, è stata vista ai raggi X dal telescopio spaziale Chandra. Si tratta di gas surriscaldato ad altissima energia e temperatura, proveniente da un fenomeno astrofisico molto energetico come l’esplosione di una supernova. Si estende per circa 130 anni luce, un’area considerevole se pensiamo che Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, si trova ad appena 4 anni luce.

Immagine della regione di formazione stellare 30 Dor B nella Grande Nube di Magellano, ottenuta dalla sovrapposizione dei dati raccolti nei raggi X da Chandra, dei dati ottici del telescopio di 4m Blanco in Cile e di Hubble, e dei dati infrarossi del satellite Spitzer. Crediti: raggi X: Nasa/Cxc/Penn State Univ./L. Townsley et al.; ottico: Nasa/Stsci/Hst; infrarosso: Nasa/Jpl/Caltech/Sst; processing dell’immagine: Nasa/Cxc/Sao/J. Schmidt, N. Wolk, K. Arcand

 

Per costruire quest’immagine gli autori di un articolo pubblicato su The Astronomical Journal hanno usato oltre due milioni di secondi di osservazione del telescopio spaziale Chandra, puntandolo verso un resto di supernova noto come 30 Doradus B (30 Dor B). Si tratta, più precisamente, di una pulsar, una stella di neutroni rotante che emette radiazione elettromagnetica in un cono ristretto come una sorta di faro. La rilevazione ai raggi X (in viola) è stata poi sovrapposta ai dati ottici del telescopio Blanco di 4 metri in Cile (arancione e azzurro) e ai dati a infrarossi del telescopio spaziale Spitzer della Nasa (in rosso). Infine, sono stati aggiunti anche i dati ottici del telescopio spaziale Hubble della Nasa in bianco e nero per evidenziare più nitidamente alcune caratteristiche dell’immagine.

Non si tratta però di una semplice composizione “artistica”. Grazie alla combinazione di più lunghezze d’onda, gli autori dello studio hanno realizzato che nessuna singola esplosione di supernova potrebbe spiegare quanto osservato. La pulsar 30 Dor B, infatti, risultato dell’esplosione di una supernova dal collasso di una stella massiccia circa 5 mila anni fa, sarebbe responsabile di un’emissione brillante ai raggi X confinata al centro della regione. Il guscio più grande e debole osservato ai raggi X, invece, sarebbe troppo esteso per essere stato generato così recentemente, e potrebbe invece essere stato generato da una seconda esplosione di supernova precedente. L’intervallo di tempo che abbiamo citato all’inizio, 10 milioni di anni, infatti, corrisponde a un tempo di vita sufficiente affinché stelle molto massicce concludano il loro ciclo di vita (molto più breve rispetto alle stelle di media e piccola massa) per generare esplosioni estreme come quelle avvenute in questa regione. Proprio in virtù di questo, gli astronomi usano l’emissione generata dall’esplosione delle supernove in seguito alla morte di stelle massicce per calcolare il tasso di formazione stellare recente delle galassie, ovvero quante nuove stelle stanno formando, in media, anno dopo anno. La nostra galassia, la Via Lattea, ad esempio, forma circa l’equivalente in massa di 3 stelle simili al Sole ogni anno. E non è un caso, infatti, se la regione in cui si trova 30 Dor B, nota anche come Nebulosa della Tarantola, sia considerata la più grande regione di formazione stellare nel Gruppo Locale al quale appartiene anche la Via Lattea.