SPAZIO – C’è il carbonio 350 milioni di anni dopo il Big Bang

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SPAZIO – All’epopea di un atomo di carbonio è dedicato il racconto che conclude Il sistema periodico di Primo Levi, che ci introduce alle peripezie di questo elemento dall’esistenza tumultuosa che si combina e si scombina in sostanze dalle innumerevoli parvenze, volando come anidride carbonica, incatenato nella cellulosa di un cedro, molecola di glucosio che sguazza in un bicchiere di vino, tanto per dirne qualcuna. Punto di partenza del periglioso viaggio è una roccia calcarea, nella quale l’atomo giace incastonato da milioni di anni: “[…] ha già una lunghissima storia cosmica alle spalle, ma la ignoreremo”, ci tiene a comunicarci l’autore. Là dove Levi tace ci porta questa vicenda, che si svolge in un tempo remoto, agli inizi della storia dell’universo, trecentocinquanta milioni di anni dopo il Big Bang. Per quel che ne sappiamo, questo è il tempo in cui si accendono le prime galassie, il cui flebile segnale ha viaggiato indisturbato per miliardi di anni prima di giungere a noi. Di idrogeno e, in minor quantità, di elio e ossigeno si credevano impastate le nubi gassose di questi antichi sistemi. Fino a che quei fotoni che percorrevano leggiadri lo spazio interstellare non hanno avuto l’accidente di schiantarsi sullo specchio del telescopio spaziale James Webb. E così si è scoperto che non proprio questa era la ricetta delle prime galassie.

Di che pasta erano fatte ce lo raccontano alcuni ricercatori guidati da Francesco D’Eugenio del Kavli Institute for Cosmology di Cambridge, in Inghilterra. L’ingrediente mancante era proprio lui: il carbonio. Elemento cardine per le molecole organiche e dunque per la vita sul nostro pianeta, il carbonio è stato rivelato miriadi di volte nell’universo, in galassie più e meno distanti dalla Via Lattea. E però non era mai stato rivelato così lontano e soprattutto così precocemente nella storia cosmica. Gs-z12 si chiama la galassia nella quale l’elemento è stato rinvenuto e dista oltre tredici miliardi di anni luce dalla Terra. Si tratta di fatto della rivelazione più antica di un elemento chimico che non sia idrogeno. Lo studio che riporta la scoperta è stato accettato per la pubblicazione su Astronomy & Astrophysics ed è disponibile su arXiv.

Ci speravano, di vedere delle righe, solo che non si aspettavano quella lì, racconta D’Eugenio a Media Inaf, alludendo alla riga di carbonio nello spettro di Gs-z12. Agli inizi l’universo era costituito quasi interamente da idrogeno, da piccole quantità di elio e da scarse tracce di litio. All’interno delle stelle vengono “cucinati” molti degli elementi più pesanti, denominati metalli in astrofisica, e che vengono sparpagliati nel mezzo interstellare durante le esplosioni di supernova, arricchendo le successive generazioni stellari. Solo di idrogeno e di elio potevano dunque disporre le primissime stelle che si sono accese nell’universo, il che ha un impatto sui processi chimici che accadono al loro interno, diversi da quelli che caratterizzano le stelle generate più avanti come il nostro Sole.

Lo spettro NirSpec della galassia Gs-z12 in cui si nota una riga di emissione del carbonio (C III]). Crediti: D’Eugenio et al., A&A, 2024

«Studi precedenti suggerivano che il carbonio iniziasse a formarsi in gran quantità relativamente tardi, all’incirca un miliardo di anni dopo il Big Bang», ricorda Roberto Maiolino, coautore dell’articolo. «Ora abbiamo trovato che il carbonio si forma molto prima. Potrebbe essere addirittura il metallo più antico di tutti». La scoperta è stata realizzata con lo spettrografo NirSpec e fa parte del programma Jades (JWST Advanced Deep Extragalactic Survey). Dello stesso programma è la scoperta della galassia più lontana mai osservata, Jades-Gs-z14-0, risalente al maggio scorso. Gs-z12 presenterebbe però delle caratteristiche spettrali differenti rispetto alla sua “collega” più distante, nella quale il carbonio non era stato rivelato.

Dunque c’è il carbonio trecentocinquanta milioni di anni dopo il Big Bang. Gli astronomi non se l’aspettavano, in quanto si pensava che le prime stelle producessero più ossigeno che carbonio. Il fatto che l’ossigeno sia stato solo scarsamente rivelato in Gs-z12 suggerisce che vadano riviste le modalità di funzionamento delle prime stelle. In particolare, si pensa che a quel tempo le supernove possano essere state meno energetiche del previsto, favorendo la diffusione del carbonio, situato negli strati stellari più esterni e dunque meno avvinto alla gravità della stella, a discapito dell’ossigeno. È naturale chiedersi se Gs-z12 sia un oggetto peculiare o se galassie simili possano essere la norma a quelle epoche cosmiche. «Secondo me a quelle epoche abbiamo ancora troppe poche galassie per trarre delle conclusioni. Forse abbiamo trovato un oggetto simile, anche se a redshift più basso. Non mi sbilancio troppo visto che l’analisi è ancora in corso», dice D’Eugenio. «Avremmo bisogno di più informazioni per fare un’analisi più approfondita, ma purtroppo neanche Webb riuscirebbe a ottenere dati migliori in un tempo ragionevole. Forse, in futuro, dati migliori si potranno avere per sorgenti simili a Gs-z12 amplificate da lenti gravitazionali».

Lontanissima e piccina, centomila volte meno massiccia della Via Lattea, ed eppure nel futuro questo oggetto potrebbe evolvere in una galassia non dissimile dalla nostra. Implicazioni ci sarebbero pure riguardo all’insorgenza della vita nell’universo. Il carbonio infatti funge da catalizzatore per la formazione dei grani di polvere che, aggregandosi tra di loro, genererebbero i primi planetesimi, ovvero gli embrioni dei futuri pianeti. Non a caso “elemento della vita” lo definisce Levi. «Queste osservazioni ci dicono che il carbonio può arricchire facilmente il mezzo interstellare nell’universo primordiale, e poiché il carbonio è fondamentale per la vita come la conosciamo, non è necessariamente vero che essa si sia evoluta più tardi nell’universo. Forse la vita è emersa molto prima – benché se ci fosse vita da qualche parte nell’universo potrebbe essersi evoluta in maniera differente da come è avvenuto sulla Terra», conclude D’Eugenio.




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