La novità tanto attesa ed è giunta da Lahore, dove la Corte Suprema ha accettato il ricorso della donna cristiana accusata di blasfemia e per questo dal 2010 nel braccio della morte. Nel novembre scorso, i legali di Asia Bibi, che ha sempre rigettato le accuse, avevano presentato il ricorso dopo che il mese precedente l’Alta Corte di Lahore aveva confermato la pena capitale.
Sono oltre 2.200 i giorni trascorsi in carcere da Asia Bibi, e non è chiaro se in attesa della sentenza definitiva, sarà liberata (ma sarà estremamente complicato).
La decisione della Corte suprema del Pakistan è un segnale positivo per mettere l’appello in discussione . Purtroppo va segnalato che nella storia del Pakistan, nei casi relativi alla legge sulla blasfemia, non c’è mai stata una conferma già a livello di Alta corte.
Dalle testimonianze raccolte risulta che Asia Bibi ora stia bene fisicamente. È impaurita, perché è una donna molto semplice che non avrebbe mai immaginato di essere accusata in questa maniera. I figli e il marito sono costretti a vivere in un luogo nascosto. D’altra parte, lei è per motivi di sicurezza è da sola nella sua cella. Il cibo che le viene fornito è controllato, la donna è costantemente sotto sorveglianza perché si teme per la sua incolumità. La tensione resta palpabile.
Il governo appare stia cercando di fare il possibile, ma i rischi non sono legati alla Costituzione o alla legge sulla blasfemia o alla mancanza di impegno da parte del governo. Il problema è molto più profondo a causa del fenomeno del fanatismo religioso portato alle estreme conseguenze nella società che è gestito da alcune persone che operano tra le autorità e tra le stesse strutture legislative.
Asia Naurīn Bibi è una donna cristiana cattolica condannata a morte in Pakistan con l’accusa di aver offeso il profeta islamico Maometto. La sentenza è stata emessa nel 2010 da una corte del distretto pakistano di Nankana, nella provincia centrale del Punjab.
La vicenda risale al 14 giugno 2009. Asia Naurīn Bibi è una lavoratrice agricola a giornata. Quel giorno è impegnata nella raccolta di alcune bacche. Scoppia un diverbio con le lavoratrici vicine, di religione musulmana. A lei era stato chiesto di andare a prendere dell’acqua. Ma un gruppo di donne musulmane l’avrebbe respinta sostenendo che Asia, in quanto cristiana, non avrebbe dovuto toccare il recipiente. Il 19 giugno, le donne denunciano Asia Bibi alle autorità sostenendo che, durante la discussione, avrebbe offeso Maometto. Picchiata, chiusa in uno stanzino, stuprata, è infine arrestata pochi giorni dopo nel villaggio di Ittanwalai, nonostante contro di lei non ci sia nessuna prova. Viene condotta nel carcere di Sheikhupura. Asia Bibi ha sempre negato le accuse e ha replicato di essere perseguitata e discriminata a causa del suo credo religioso. L’11 novembre 2010, oltre un anno dopo l’arresto, il giudice di Nankana Sahib, Naveed Iqbal, emette la sentenza, nella quale esclude «totalmente» la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente, aggiungendo inoltre che «non esistono circostanze attenuanti» per lei. La famiglia ha presentato ricorso contro la sentenza avanti l’Alta Corte di Lahore.
Nel dicembre 2011 una delegazione della Masihi Foundation (Mf), ONG che si occupa dell’assistenza legale e materiale di Asia Bibi, ha visitato la donna in carcere. Le sue condizioni di igiene personale erano terribili e le sue condizioni di salute, sia fisica che psichica, sono apparse critiche. Secondo Haroon Barkat Masih, direttore internazionale di Mf, Asia Bibi ha comunque espresso parole di perdono nei confronti dei suoi accusatori: “In primo luogo vivevo frustrazione, rabbia, aggressività. Poi, grazie alla fede, dopo aver digiunato e pregato, le cose sono cambiate in me: ho già perdonato chi mi ha accusato di blasfemia. Questo è un capitolo della mia vita che voglio dimenticare”. La donna ha quindi espresso il desiderio di poter tornare alla sua famiglia.
Nel 2012, secondo alcune fonti, Qari Salam, l’uomo che ha accusato Asia Bibi di blasfemia avrebbe dichiarato di essersi pentito di aver sporto la denuncia, che sarebbe stata basata su pregiudizi personali ed emozioni religiose esasperate di alcune donne del villaggio. L’uomo starebbe quindi pensando di non portare avanti l’accusa ma sarebbe comunque in difficoltà perché sotto pressione da parte di organizzazioni fondamentaliste islamiche.
Nel 2013, per questioni di sicurezza, la donna è stata trasferita dal carcere di Sheikhupura a quello femminile di Multan. Per i familiari è diventato molto più difficile vederla, dato che le due località distano sei ore di auto. Il 16 ottobre 2014, dopo quasi quattro anni dalla presentazione del ricorso avverso alla sentenza di primo grado, si è pronunciata l’Alta Corte di Lahore confermando la pena capitale per la donna. Ed eccoci arrivati ad oggi con il pronunciamento atteso della Corte Suprema.
Il caso ha suscitato proteste da parte di gruppi cristiani e di organizzazioni per la difesa dei diritti umani de ha portato molti pakistani a chiedere di cancellare o rivedere la legislazione nazionale sulla blasfemia. Tra questi il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, che si è recato a trovare Asia Bibi in carcere e che proprio per il suo impegno nella revisione delle norme sulla blasfemia è stato ucciso il 4 gennaio 2011 a Islamabad da una delle sue guardie del corpo. In seguito Shahbaz Taseer, figlio di Salmaan, verrà rapito con l’intento, secondo alcuni esperti, di ottenere la liberazione dell’assassino di suo padre.
Come Salmaan Taseer, due mesi dopo, anche il ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico, è stato assassinato da estremisti islamici. Scriverà in una lettera Asia Bibi a proposito:
« Tutti e due sapevano che stavano rischiando la vita, perché i fanatici religiosi avevano minacciato di ucciderli. Malgrado ciò, questi uomini pieni di virtù e di umanità non hanno rinunciato a battersi per la libertà religiosa, affinché in terra islamica cristiani, musulmani e indù possano vivere in pace, mano nella mano. Un musulmano e un cristiano che versano il loro sangue per la stessa causa: forse in questo c’è un messaggio di speranza. »
La Commissione pakistana sulla condizione delle donne, costituita nel 2000 per rimuovere le discriminazioni sessuali, ha sostenuto di essere rimasta “choccata” dalla notizia della condanna a morte e ha chiesto l’immediata liberazione di Asia Bibi. In particolare la Commissione ha condannato la decisione del tribunale sulla base degli articoli 295-B e C del Codice penale pachistano e ha ribadito come sia illegittimo richiedere a una donna cristiana di aderire ai principi dell’Islam.
Paul Bhatti, ex ministro federale per l’Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), ha dichiarato «Siamo fiduciosi e aspettiamo che in un futuro prossimo possa essere liberata. Questo giudizio è un passo positivo non solo per lei, ma anche per le molte altre persone accusate di blasfemia. I giudici supremi decidono secondo diritto e non si fanno influenzare da elementi esterni, garantendo giustizia per tutti. Finora la Corte suprema non ha mai giustiziato nessuno se accusato ingiustamente per blasfemia, quindi ci sono speranze per un esito positivo della vicenda».
Si è espresso in modo più cauto Naveed Aziz, che era in aula per assistere alla decisione della Corte, ricordando che i tre giudici potrebbero impiegare molto tempo (almeno un altro anno, secondo uno dei suoi avvocati) per emettere una sentenza e che il calvario di Asia Bibi è tutt’altro che finito. Il membro della British Pakistani Christian Association, ong che aiuta i cristiani perseguitati, ha dichiarato: «Sono contento di questa decisione. È ovvio che la pressione internazionale ha portato a questo risultato e ringrazio tutte le persone che hanno chiesto libertà per Asia Bibi. Ora lei dovrà spendere ancora molto tempo in carcere, ma la sua libertà ora è una possibilità».
Anche dal Vaticano sono stati lanciati accorati appelli: il 18 novembre 2010 Papa Benedetto XVI ne chiese la liberazione: “Esprimo la mia vicinanza spirituale alla sig.ra Asia Bibi e ai suoi familiari, mentre chiedo che, al più presto, le sia restituita la piena libertà. Inoltre prego per quanti si trovano in situazioni analoghe, affinché anche la loro dignità umana ed i loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati”.
Papa Francesco ha incontrato i familiari della donna ed ha loro assicurato il suo appoggio. Lo scorso aprile il Santo Padre ha incontrato per la prima volta il marito di Asia Bibi, Ashiq Masih e una delle sue cinque figlie, Eisham Il breve incontro è avvenuto in piazza San Pietro, subito dopo l’udienza generale, a cui hanno potuto assistere in prima fila i familiari della donna cattolica pakistana, condannata ingiustamente a morte per blasfemia e in carcere da oltre 2.000 giorni.
Ashiq Masih, ha chiesto al Papa di «pregare per Asia Bibi, per noi e per tutti i cristiani in Pakistan». Il Santo Padre ha stretto la mano al marito di Asia Bibi e ha risposto: «Prego per Asia, per voi e per tutti i cristiani che soffrono». Ashiq Masih e la figlia sono rimasti «molto contenti» dell’incontro con il Papa, anche se breve. A chi era con loro hanno detto che pregare in piazza San Pietro con tutto il popolo cristiano è stata un’esperienza «toccante e impressionante». Inoltre, hanno aggiunto di essere «confortati» dal fatto che il Papa preghi per Asia Bibi e che questo «aumenta» la loro speranza che venga alla fine scagionata.
Raffaele Dicembrino